Roma-Empoli, arbitra Maresca. Giallorossi imbattuti col fischietto partenopeo
INSIDEROMA.COM – ILARIA PROIETTI – Poco tempo a disposizione per leccarsi le ferite. Dopo l’uscita di scena in Champions League contro il Porto, la Roma si prepara ad affrontare l’Empoli nel monday night della 27esima giornata di campionato. La direzione della gara è stata affidata a Fabio Maresca della sezione di Napoli, supportato dagli assistenti Mondin e Bottegoni, IV uomo Minelli. VAR e AVAR rispettivamente Massa e Costanzo.
I PRECEDENTI – Il fischietto partenopeo ha arbitrato i giallorossi per sole tre volte in Serie A. Nei pochissimi precedenti la Roma risulta imbattuta: una vittoria e due pareggi. Il successo risale a marzo dello scorso anno, la vittoria per 3-0 contro il Torino allo Stadio Olimpico. L’ultimo dei due pareggi, invece, è della partita 1-1 con il Milan dello scorso febbraio. L’altro incontro è lo 0-0 in trasferta contro il Chievo del dicembre 2017.
Negativo invece lo score dell’Empoli, che con Maresca non ha mai vinto: nei quattro precedenti due pareggi e due sconfitte.
Claudio atterra, Monchi parte la Roma cambia «Non ho dormito per l’emozione sono migliore rispetto a prima»
GAZZETTA - CECCHINI - chi avrebbe mai il cattivo gusto di contare le rughe in aggiunta o i capelli in diminuzione? Il tempo, a Trigoria, è una variabile trascurabile. Sicuri che quell’uomo in tuta in mezzo al campo sia Claudio Ranieri e abbia 67 anni? Proprio certi che quel vecchio ragazzo che lo accoglie in sede – insieme al Ceo, Guido Fienga – sia Francesco Totti e vada per i 43? Eppure è proprio così: c’è un passato che non passa e un futuro invece tutto da scrivere. «Sono felice di essere tornato a casa – dice il nuovo allenatore giallorosso –. Quando la Roma ti chiama è impossibile dirle di no».
FACCIA A FACCIA Sbarcato poco dopo le 10 a Ciampino, Ranieri si è recato nella sua elegante casa di viale Buozzi per poi andare appunto nel centro sportivo per firmare il contratto, che lo legherà al club fino a giugno per un ingaggio di circa un milione e – senza porre limiti alla provvidenza di un rinnovo – anche la promessa di entrare nello staff dirigenziale. Dopo aver salutato i volti vecchi e nuovi di Trigoria, ovvio però che l’attenzione si sia spostata sul primo discorso alla squadra, a cui ha dato «piena fiducia» sul piano della qualità, ma chiesto «senso di appartenenza». Paradossalmente, il punto meno importante può essere quasi considerato l’allenamento – condotto con gli assistenti Benetti, Cornacchia e Azzalin – visto i pochi giocatori che aveva a disposizione.
«noi tifosI» «Tornare a Roma per me significa tanto, tutto. Sono sempre stato tifoso della Roma fin da bambino. Ne sono stato giocatore e tecnico. Quando ho saputo che potevo essere io l’allenatore non ho dormito. Era da tanto che non mi succedeva, per cui è un buon segno. Alla Roma mi lega la mia romanità, la Roma era nel mio dna. Sono tornato a Trigoria e l’ho trovata cambiata. Si sta dando veramente una struttura da squadra internazionale. Ora però ai giocatori chiederò in queste ultime 12 partite di dare il meglio di loro, di aiutarsi ad essere squadra, di sentire la Roma, di dare tutto loro stessi perché solo così io sarò appagato. Il primo aspetto da valutare è sicuramente l’aspetto psicologico, Dopo due k.o. consecutivi e l’uscita dalla Champions i ragazzi saranno sicuramente abbattuti. Ma questo ormai è passato e devono saper reagire da uomini. Noi siamo dei fortunati, pagheremmo per stare nella Roma, e dobbiamo fare di tutto proprio per questo motivo. È logico che i tifosi siano insoddisfatti quando la squadra non gioca bene e perde, ma se vedono la squadra che lotta e si impegna, e poi magari l’arbitro non ti dà un rigore e neanche vuole andarlo a rivedere al Var, sanno apprezzare. Per questo chiedo alla gente di stare vicino ai ragazzi, soprattutto nei momenti difficili, perché poi alla fine chi soffre veramente siamo noi tifosi». Ranieri poi conclude: «Sicuramente sono cambiato. Se sono stato chiamato dalla Roma significa che mi sono aggiornato. La voglia di migliorarmi non mi abbandona. Sono migliore di due anni fa».
TOTTI E PALLOTTA A Trigoria sono tanti a sottolineare che, pur essendo stato lui a stabilire il contatto, Ranieri è il primo tecnico non «vidimato» (anche se non certo ostacolato) da Franco Baldini. Troppo poco per dire che i tempi sono cambiati, ma abbastanza per sottolineare il maggiore coinvolgimento di Totti, a cui il club ha fatto fare un comunicato sul tecnico. «Claudio non è solo un tifoso della Roma, ma è uno degli allenatori più esperti nel mondo del calcio. Ora abbiamo bisogno di mani del genere, in grado di guidarci tra le prime 4 per rigiocare la Champions. Ci mancano 12 partite e dobbiamo vincerne il più possibile». Detto che anche alcuni giocatori (primo fra tutti De Rossi) hanno parlato con Ranieri, analizzando anche il problema infortuni e il modulo, il sigillo di Pallotta non poteva mancare. «L’obiettivo che abbiamo è la qualificazione in Champions – ha detto il presidente, su cui vengono smentite le voci di un litigio con Di Francesco – .e abbiamo deciso di chiamare un allenatore che conosca il club, comprenda l’ambiente e sia in grado di motivare i giocatori. Claudio risponde a tutte queste caratteristiche e si è dimostrato molto entusiasta nell’accettare questa nuova sfida». Proprio vero. Per questo, quasi a farsi perdonare, ieri sera Ranieri si è presentato a casa con un mazzo di fiori per sua moglie Rosanna, anche se poi a tavola c’erano anche i collaboratori. Come dire, incerti del mestiere.
De Cataldo: «Arriva un commissario saggio, vedrete...»
GAZZETTA - D'URSO - Una lettera intrisa di affetto e comprensione, firmata Giancarlo De Cataldo, alto magistrato, romanziere di successo e tifoso romanista, recapitata a tutti i «fratelli» giallorossi nel momento più critico, nel giorno di Claudio Ranieri atto secondo, quando la rabbia sembra prevalere su tutto e l’angoscia del sostenitore medio non lascia intravedere luce in fondo al tunnel: «Cari tifosi, io vi dico: resistere, resistere, resistere. E forza Roma, sempre».
La sua passione è una sentenza, De Cataldo, come una di quelle lette da lei in Corte d’Assise. Ma se fosse presidente della Roma, l’esonero di Di Francesco lo avrebbe mai sentenziato?
«Avrei aspettato la fine della stagione, entriamo come è logico in valutazioni che riguardano i rapporti nello spogliatoio, che probabilmente si saranno pure deteriorati se si è arrivati a questo punto. Ma, in ogni caso, io avrei atteso ancora un po’».
Non una sentenza di condanna, allora, ma un rinvio a giudizio…
«Facciamo un rinvio per trattative. Un patteggiamento, in termine tecnico-giuridico, a fine stagione».
Tutto il fatalismo romanista, in tv, ha attraversato Roma, le Alpi, fino a raggiungere Oporto e i tifosi presenti allo stadio.
«E già, se quel tiro di Dzeko nel secondo tempo supplementare fosse entrato, staremmo a parlare di altre cose. In quel momento, l’ultrà giallorosso ha detto: “E’ finita”. Come un film già visto altre volte. A Roma uno poi le cose se le chiama».
Di Francesco è il 6° tecnico che salta in 8 anni di gestione Pallotta, via pure il medico sociale. E il d.s. Monchi è ai saluti: è un momento che riflette, se vogliamo, anche il periodo storico della città.
«Da quando sono a Roma, cioè dagli anni Settanta, la Capitale è confusa. La squadra ha vinto con Liedholm, una personalità forte, e con Capello, un italiano con mentalità austro-ungarica: probabilmente c’è bisogno di questo...».
Ma Ranieri è il «poliziotto» giusto, se lo dovessimo immaginare protagonista di uno dei suoi noir di ispirazione poliziesca?
«È un commissario saggio, quello che tiene a bada i giovani sbirri turbolenti».
E come potrà risollevarla, la Roma?
«Fatelo arrivare... (e ride), e presto vedremo. Servono di sicuro calma e serenità, adesso. Con la sua esperienza e il suo buon senso, troverà l’alchimia giusta per riportare più su la squadra».
Qual è il giocatore, secondo lei, che può e deve trascinare il gruppo fuori dalle secche?
«Non lo so, ma faccio una riflessione amara: nel calcio contemporaneo le squadre le fanno i bilanci. E se ce n’è una che vince da otto anni, se c’è sempre un Paperone che prevale sugli altri, è chiaro che prima o poi ci si annoierà e la gente passerà ad un altro sport...».
L’addio del d.s. saluti spagnoli «Ho dato tutto, ma traguardi solo parziali»
GAZZETTA - CECCHINI - Il «Metodo Monchi», in fondo, è anche questo: chiudere la porta con garbo, ma senza indugio. Quella di ieri, d’altronde, è solo una breve cronaca di un lungo addio. L’atto finale, sancito dalla rescissione (con una transazione legata a dei bonus maturati), che consegna il d.s. spagnolo alla storia di questo club. Certo, il 24 aprile del 2017, quando ha iniziato la sua avventura, forse Monchi conosceva troppo poco una piazza che, stremata dalle promesse, non era in grado di pazientare. Anzi, le parole chiave che aveva scelto piacquero proprio perché non consentivano alibi. Ne ricordiamo tre: 1) «Qui alla Roma non abbiamo un cartello in cui è scritto “si vende”, ma uno in cui è scritto “si vince”»; 2) «I tifosi non vanno allo stadio per applaudire i bilanci ma i trofei»; 3) «Se entro due anni non riesco a vincere qualcosa, me ne vado a casa». Come si vede, frasi impegnative e mai sentite a queste latitudini. Sarà per questo che, impossibilitato a rispettare le prime due, ha tenuto fede alla terza, nonostante solo a gennaio avesse detto in «Gazzetta»: «Io resto alla Roma». Qui però le cose vanno veloci e, come il Marziano di Flaiano, anche «il più bravo d.s. del mondo» (parola di Pallotta, con cui il rapporto è sfiorito anche per il ruolo del consulente Baldini) – quello che aveva fatto diventare Siviglia una potenza a suon di trofei – si è ritrovato ad essere rigettato dall’ambiente, come la lite con gli ultrà a Oporto ha certificato.
TOP E FLOP «Hai distrutto la Roma», gli hanno rimproverato i tifosi. Ed il pensiero è naturalmente corso a Salah, Rudiger, Paredes, Nainggolan, Strootman e Alisson. Ovvio che la gente non consideri le decine di milioni di plusvalenze, anche perché il mantra del d.s. – stimatissimo da tutti i colleghi – era: «Non conta come si vende, ma come si compra». Con una filosofia ben chiara: «Un occhio a “WyScout” e un altro a “Excel”». Come dire: talentoi e bilancio. E così per i vari Under, Pellegrini, Cristante, Kolarov e Zaniolo sbarcati a Trigoria, pur sospendendo il giudizio su Schick e Kluivert, Monchi sarà ricordato anche per Moreno, Karsdorp, Gonalons, Bianda e Defrel per arrivare a Pastore, su cui a Trigoria dicono amari: tra cartellino e ingaggio quinquennale si è perduta tutta la plusvalenza per Alisson. Perciò fa sorridere però pensare che il d.s., salutando i dipendenti, abbia detto: «Se tutti i calciatori fossero come voi...»
EREDI Il saluto dello spagnolo però è elegante: «Mi sono innamorato subito della Roma e vi ho messo tutto me stesso. Il futuro non l’ho deciso. È il momento di ricordare le coe belle. Spero che arrivi fra le prime 4. So che non abbiamo raggiunto tutti i risultati per cui abbiamo lavorato e talvolta ci siamo scontrati, ma sarà impossibile dimenticare Roma». E viceversa, crediamo. Comunque, a differenza che per Di Francesco – benedetto da Pallotta – , il saluto è stato affidato a Fienga, che ha ridato il ruolo di d.s. a Massara, in attesa di possibili eredi, visto che piacciono Giuntoli (Napoli), Ausilio (Inter) e Petrachi (Torino). Ultima considerazione su Monchi: la «damnatio memoriae» già in lievitazione, va scontrarsi con un fatto che non si sposa coi giudizi più trancianti. Come mai un d.s. così «incapace» andrà probabilmente in uno dei primi club al mondo (l’Arsenal, ma lo corteggia forte anche il Psg)? Il tempo darà la risposta. Che, come succede nella vita, non sarà mai unica e valida per ogni stagione
La Roma di Claudio san saba e parioli e poi testaccio questa è casa sua
GAZZETTA - STOPPINI - «Bella, Clà». Che poi a Roma vale un saluto, funziona così pure con chi non ti conosce ma dopo cinque minuti ti tratta come fossi il suo migliore amico. Bella, Clà. Bentornato. Le radici non le tiri mica via, si muovono lì sotto. Hai voglia ad annaffiarle con un po’ di spagnolo, di greco, di inglese, di francese. Clà è Ranieri, allenatore della Roma, sempre e per sempre con la bandieretta in mano . Clà non s’è ingrigito sotto il cielo londinese. Clà resta quello di San Saba. Del cinema ai Parioli. Del bar del Fico. Del barbiere in Prati. Del ristorante in via dei Giubbonari, un alito da Campo de’ Fiori. Dategli retta, quando dice che «questa è la città più bella del mondo, anche se noi romani a volte ce ne dimentichiamo».
IERI... Chi non dimentica è Testaccio, se provi a fare un giro in queste ore non c’è altro nome all’infuori di Clà. Lì Ranieri ha conosciuto il mondo del lavoro. Metà anni Sessanta, il nostro andava in giro in bicicletta a consegnare la carne che il papà Mario aveva preparato nella macelleria di piazza Testaccio, angolo via Luca della Robbia. Eccola qui, l’origine del soprannome «Er fettina». Salite e discese, la vita è così. Papà Mario era un «bancarolo», cioè lavorava dietro al banco della macelleria Giorgetti, un nome: il proprietario era il suocero di Tonino Fusco, uno dei giocatori della mitica Roma di Testaccio. Poi Mario Ranieri decise di mettersi in proprio. Fino a 16 anni fa, quando al posto della macelleria comparve una pescheria. Ranieri è nato in via della Piramide Cestia. È cresciuto al di qua di Testaccio, ai piedi dell’Aventino: una palazzina rossa, anni Cinquanta, all’inizio di viale Giotto. Da lì all’oratorio di San Saba è un attimo, lì Claudio ogni tanto mollava la bicicletta e le consegne per tirare calci al pallone.
...E OGGI Oggi Ranieri fa correre gli altri, dietro al pallone. La casa di oggi è una palazzina gialla e rossa – eh, i segnali... – di viale Bruno Buozzi, nel cuore dei Parioli. Da lassù, raccontano, si controlla tutta Roma, e sì che per controllare bene l’hanno richiamato da queste parti. Dall’attico al quinto piano, per lo scudetto del 2001, la figlia Claudia tirò fuori un bandierone che sventolò per un anno intero. Venti metri più in là, via Schiaparelli, il garage custodisce gelosamente le sue auto e una moto d’epoca, una Gilera. Pochi passi ed ecco il Gepy bar, dove il nostro spesso passa a prendere il caffé. Parioli è il quartiere della residenza. Dei cinema. Ma per passeggiare, Claudio ama il centro storico. Ama piazza del Fico, dove la moglie Rosanna ha un negozio di modernariato. L’Isola Tiberina è la cartolina di Roma che preferisce. Non toccategli Roscioli, il ristorante di via dei Giubbonari: i proprietari, lazialissimi, erano in campo con lui a festeggiare il titolo della Premier a Leicester, nel 2016. La tavola è un cult: Da Francesco in piazza del Fico, l’Osteria der Belli a Trastevere, oppure Pipero al Rex. Una serata stellata? La Pergola, da Heinz Beck. Una puntata fuori porta? Tutti all’Isola del Pescatore a Santa Severa, magari con il nipotino Orlando, quattro anni e tanta voglia di nonno Clà. Che di sicuro prima o dopo lo porterà a tagliarsi i capelli. Franco, via Belli, quartiere Prati, è un amico da 30 anni: «Per lui, quando allenava all’estero, tenevo aperto il lunedì. Ora non ci sarà più bisogno. E pensare che ai tempi del Napoli andavo lì io da lui». Adesso è tutto più facile. Complicato è altro. Rimettere in piedi questa Roma, per esempio. Bella, Clà. Buona fortuna.
Florenzi è giù ma non si arrende
GAZZETTA - ZUCCHELLI - Non ci fossero state, come le ha ribattezzate qualcuno sui social network, le “Idi di marzo” di Trigoria, forse questi giorni per Alessandro Florenzi sarebbero stati ancora più duri. Perché ancora più forti sarebbero state le luci dei riflettori, dopo il fallo da rigore contro il Porto che è costato carissimo — e non solo in senso economico — alla Roma. Le lacrime al Do Dragao hanno fatto il giro d’Europa, la mattina successiva, in aeroporto, per Florenzi è stato difficile incontrare i tifosi, ancora più difficile tornare a casa e rendersi conto che quello che era successo non solo era tutto vero, ma era anche l’apice di un percorso sempre più complicato. Tanto complicato da fargli davvero prendere in considerazione, nella notte di Oporto, l’idea di salutare a fine stagione. Pensieri negativi che sono durati lo spazio di qualche ora. Perché Alessandro Florenzi, adesso, ha voglia di rimettersi in gioco.
CONDIZIONI Lo farà parlando con Ranieri, che ha l’esperienza giusta per aiutarlo. Lo farà magari rinunciando a qualche partita, ma non scenderà più in campo mettendo a rischio non tanto la sua salute, quanto la serenità della squadra, evitando figuracce a se stesso e agli altri. E lo farà anche confrontandosi con Totti e De Rossi, oggi dirigente e capitano, per lui semplicemente amici. Lo erano così tanto che, anni fa, Alessandro aveva come foto del profilo Whatsapp, orgogliosamente, i loro nomi incisi sulle lattine di Coca Cola. Sognava di diventarne l’erede, adesso quel sogno sta diventando un incubo perché, di continuo, gli viene rinfacciato di non essere come loro.
L’ABBRACCIO Qualcuno lo ha accusato persino di aver finto ad Oporto le lacrime, ma per informazioni basta chiedere a un signore che si chiama Iker Casillas e che in casa ha più trofei che piatti: è stato lui il primo a consolarlo, perché i campioni fanno così. Forse Alessandro Florenzi campione come Casillas non lo sarà mai e difficilmente avrà la sua bacheca, ma diventare un pilastro come lo spagnolo è stato nel Real una vita è il suo obiettivo. I fischi gli fanno male, le scritte sui muri legate anche alla nonna ancora di più, per non parlare delle vergognose minacce che gli sono arrivate sui social mercoledì scorso.
TRE MESI In questo momento la famiglia e gli amici di sempre sono il suo scudo e hanno la bocca cucita, così come lui. Che vorrebbe pure raccontare il suo dispiacere, ma per adesso non lo fa. Pensa a riconquistare la gente sul campo, a capire cosa voglia Ranieri da lui e cosa può dare in più. A se stesso e alla Roma. A giugno, poi, si vedrà. Per non perdersi definitivamente c’è ancora tempo.
Roma, addio Monchi. La rivoluzione parte da Ranieri e Totti
LA REPUBBLICA - PINCI - Un milione di euro più bonus per dodici partite, oltre 83mila euro a partita. Tanto guadagnerà Claudio Ranieri, il restauratore di una Roma in ginocchio che continua a perdere i pezzi. Dopo Di Francesco infatti se ne è andato anche il direttore sportivo Monchi, risolvendo il contratto con Pallotta: l’ultimo pezzo di una squadra da semifinale di Champions League che in 310 giorni dal match col Liverpool ha salutato tre dirigenti - oltre allo spagnolo, pure l’ad Gandini - quattro calciatori, un allenatore e giusto ieri, una decina di dipendenti. Solo tra ieri e giovedì, 10 addii: vittime di una rivoluzione a cui il termine ristrutturazione sta decisamente stretto se pure l’ex dg Baldissoni, promosso vicepresidente, ha lasciato le deleghe sportive. Il riassetto stravolge Trigoria, dove crescerà - è inevitabile - il peso di un signore che sulla carta d’identità ha scritto il nome Francesco Totti. Il nuovo ceo Fienga gli ha affidato il ruolo chiave di referente della società nello spogliatoio: se con la squadra sorgerà un problema, l’interlocutore sarà l’ex numero dieci. Non fosse altro perché con la dirigenza traslocata negli uffici inaugurati due settimane fa all’Eur, oggi nel centro sportivo il curriculum più pesante è il suo. Il più alto in grado sarà però Massara, ex vice di Sabatini prima e Monchi poi, che dallo spagnolo ha ereditato le deleghe alla gestione sportiva. Anche se a giugno potrebbe arrivare un nuovo ds, Luis Campos del Lille. E forse è anche il frutto di questi nuovi equilibri se ieri 8 dipendenti riconducibili allo staff tecnico-sanitario sono stati congedati senza possibilità d’appello. Tra di loro anche il medico sociale Riccardo Del Vescovo. E, come non bastasse, il capo dei fisioterapisti: alle sue mani si erano affidati i leader Kolarov, Dzeko, De Rossi. Chiaro che con l’addio ad allenatore e direttore sportivo sia saltato il tappo facendo fuoriuscire i miasmi di situazioni pendenti. Una su tutte: quella dei 39 infortuni muscolari registrati in questa stagione dallo staff medico romanista, ultimi ieri Manolas e Schick. Una situazione rimpallata tra i preparatori di Di Francesco, certo in sintonia con l’allenatore, e chi si ritrovava a dover gestire quell’ecatombe. A un certo punto ieri, a svolgere esami medici a Villa Stuart c’erano 6 calciatori giallorossi, più di mezza squadra sul lettino del dottore. Curiosamente a Villa Stuart è comparso pure Ranieri: non che i suoi 67 anni spaventassero i dirigenti, semplici visite di idoneità. Certo la situazione generale concorre a complicare il suo esordio. Lunedì all’Olimpico contro l’Empoli non avrà Dzeko, Kolarov e Faziosqualificati, Pellegrini, Manolas, De Rossi e Ünder infortunati, Pastore e forse pure Juan Jesusin dubbio. L’allenatore sta già studiando quella che dovrà essere la sua Roma, e che immagina con un modulo diverso: raccontano abbia in testa un 4-4-2, più cauto del 4-3-3 o 4-2-3-1 che ha inchiodato Di Francesco. Florenzi potrebbe tornare a fare l’esterno di centrocampo, Zaniolo potrà giocare ovunque: in mezzo, sulla fascia e accanto al centravanti, da trequartista-seconda punta. Di certo ci sarà più flessibilità. «È importante che i calciatori diano tutto quello che hanno, ma c’è la possibilità di tornare quarti. Stanotte al pensiero di venire non ho dormito», ha assicurato l’allenatore. Ricevendo la benedizione di Totti: «Avevamo bisogno di mani esperte capaci di guidarci tra le prime quattro per rigiocare la Champions».
Ranieri: "Non ci ho dormito". Ma ha solo mezza squadra
LA REPUBBLICA - FERRAZZA - Che non sarebbe stato semplice lo immaginava, che fosse da subito così complicato, forse no. Claudio Ranieri ha cominciato a lavorare ieri a Trigoria con una squadra dimezzata, costretto ad avviare la sua avventura romanista in piena emergenza. In totale sono ben 8 gli assenti, tra infortuni e squalifiche, situazione che complica le prove di 4-4-2, modulo che il tecnico predilige. Il mister testaccino dovrà adeguarsi alla situazione in cui è stato improvvisamente catapultato, non pensando di poter stravolgere tutto per imporre il suo calcio. Stravolta è già la rosa che avrà a disposizione. Le tegole sulla testa di una Roma che si prepara ad affrontare le ultime dodici partite di campionato — a cominciare da quella di lunedì sera all’Olimpico — non smettono di cadere pesanti, ultima quella di Manolas. Il greco dovrà stare infatti fermo per tre settimane a causa di una lesione al soleo del polpaccio destro. Vista la quantità di gol incassati dai giallorossi, l’assenza del difensore è uno shock pesantissimo da digerire, al quale si somma l’assenza per squalifica di Fazio, con l’unica coppia proponibile — almeno lunedì — formata da Marcano e Juan Jesus.
Squalificati anche Kolarov e Dzeko, con Santon e Schick che dovranno sostituirli contro l’Empoli. La tegola precipitata sulla testa di Manolas, è la stessa che ha colpito De Rossi: anche il capitano deve fare i conti con una lesione al soleo del polpaccio destro e anche per lui si parla di tre settimane di stop. Alla lista dei caduti sul campo del Porto, va aggiunto Lorenzo Pellegrini che la lesione l’ha riportata al bicipite femorale destro. Un’autentica ecatombe, che ha trasformato ieri Villa Stuart in una succursale affollata di Trigoria (anche Ranieri ha svolto lì le visite mediche di routine prima di firmare il contratto). Ai freschi ko, si sommano i già noti indisponibili, vedi Ünder e Pastore, per un totale, come detto, tra infortuni e squalifiche, di otto defezioni. «Ci giochiamo il futuro in 12 giornate, abbiamo la possibilità di tornare in Champions — le prime parole da romanista di Ranieri a Roma Tv — i ragazzi sono sensibili, alcuni potrebbero non essere abituati. Stiamogli vicino, incoraggiamoli soprattutto nei momenti difficili. Io sono cambiato, ma se sono alla Roma vuol dire che mi sono aggiornato e non mi abbandona la voglia di migliorarmi. Per me tornare a Roma significa tutto, sono sempre stato tifoso e la notte prima di arrivare, non ho dormito». Insieme all’aiuto di Totti e De Rossi, l’ex tecnico del Fulham (che prenderà un milione di euro, più bonus, senza assicurazioni per la prossima stagione) è tornato al suo primo amore e lunedì sera saluterà di nuovo la tifoseria, che per il momento sta lasciando semi-vuoto lo stadio Olimpico per la gara con l’Empoli. L’entusiasmo non è certo alle stelle e la rivoluzione in casa Roma — tra nuovo allenatore e l’addio di Monchi (al suo posto Massara) — crea un senso di precarietà e preoccupazione dilaganti.
La sfida di Ranieri-Tinkerman che frigge con l’olio che ha
LA REPUBBLICA - SISTI - Nelle sue molte incarnazioni Ranieri ha visto di tutto. Non ha mai detto di essere un fenomeno, non ha mai dimostrato di essere una scartina. Ha solcato i mari, ha rischiato colpi clamorosi e accettato figuracce (la più clamorosa come ct della Grecia). L’hanno chiamato Fettina, Pecione, Sor Claudio e poi anche Sir Claudio per le glorie inglesi. Quand'era al Chelsea venne per lui coniato un termine elastico e centrato, “the tinkerman”, per alludere ai suoi certificati talenti da “minestraro”, di colui che fa quel che può con gli ingredienti rimasti in dispensa. Ranieri è un pezzo di Roma città e di Roma squadra. Col suo naso camuso potrebbe posare per il busto di qualche imperatore. Adesso all’imperatore chiedono un posto in Championslavorando per soli tre mesi, mentre la società traballa così tanto che è difficile mettere a fuoco persino le competenze del magazziniere. Il suo dire sì al “progetto” non fa di Ranieri né un eroe né una scelta disperata. Non gli sfuggirà tuttavia di avere appena affittato una casa vacanze nella stagione delle piogge: esci con il costume da bagno ma ti porti l’ombrello. Ranieri è un uomo dalla panchina poliglotta (non ha allenato soltanto in Germania…) ma non è un vincente. Proprio con la Roma, subentrato a Spalletti, fu sul punto di regalarsi il classico trionfo oltre ogni immaginazione. Era il 2010 e stava accadendo l’impossibile. Non si sa bene come la sua Roma aveva quasi vinto lo scudetto. E non si sa bene come lo perse nel secondo tempo contro la Samp. C’era Rosella Sensi, oggi non c’è nessuno o quasi. E Totti è in borghese. Contro l’Empoli non avrà a disposizione mezza squadra e l’altra mezza ha il morale nebulizzato. Può un uomo di 67 anni restituire in poche ore slancio, allegria e obiettivi credibili a 25enni invecchiati rapidamente? Più che un gioco, deve dare un senso. L’unica speranza è che dietro l’anziana silhouette si nasconda l’animo del ragazzino. Che insomma sia lui il quadro. E Dorian Gray i fatti.
Ranieri, un uomo chiamato Roma
IL MESSAGGERO - ANGELONI - Sir Claudio Ranieri is here. Direttamente da Londra, con un volo privato verso la Capitale. Intorno alle 10,30 lo sbarco a Ciampino, lui bello, sorridente, elegante. Disponibile con i cronisti che lo hanno atteso fuori l'aeroporto. «Sono tornato a casa», ha fatto subito sapere. Ma chi glielo ha fatto fare, s'è subito pensato. Perché uno come lui, già protagonista nel biennio 2009-2011 sulla panchina giallorossa (sfiorando lo scudetto e fallendo la finale di Coppa Italia contro l'Inter del triplete), uno che ha vinto e guadagnato bene ovunque, si è preso l'onere di condurre la Roma in questa mini avventura? Semplice: «Quando la Roma ti chiama è impossibile dirle di no, non ci ho dormito». Ecco, appunto. Uno come lui alla Roma non dice no, pur sapendo che questo amore di ritorno durerà solo tre mesi: contratto da un milione (lordo) all'incirca. Magari non sarà solo fino a giugno, Claudio arriverà tra le prime quattro e si guadagnerà il rinnovo (difficile), oppure un ruolo in società (probabile). Consulente tecnico, direttore tecnico, dirigente generico, Ranieri ha l'esperienza per fare un po' tutto nella sfera strettamente calcistica. Conosce la Roma, ma questo non è detto sia un bene («È cambiata molto da quando sono stato qui nove anni fa») e conosce Roma.
TOTTI CRESCE Ha buoni rapporti con la vecchia guardia, da Bruno Conti al sempre più considerato Francesco Totti (che, con Fienga, lo ha accolto per primo a Trigoria «Claudio non è solo un tifoso della Roma, ma è uno degli allenatori più esperti nel mondo del calcio, abbiamo bisogno di mani esperte», le parole di Francesco), passando anche per Daniele De Rossi, che per adesso se lo ritrova - infortunio permettendo - in campo come guida tecnica. Ranieri, all'arrivo, è passato a casa, il tempo di un bicchier d'acqua e subito a Trigoria, lì ha avuto inizio ufficialmente la sua avventura bis con la Roma. Firma del contratto, stretta di mano con i dirigenti, l'ad Guido Fienga e poi l'incontro con il vice presidente Mauro Baldissoni, poi la passerella negli spogliatoi e in infermeria (ahilui, piena), dove ha incontrato calciatori e vecchi amici, tipo Vito Scala. Foto di rito, materiale per web, social, mezzi di comunicazione vari e poi tuta addosso e primo allenamento, (si è portato Paolo Cornacchia come match analyst e Paolo Benetti come vice), durante il quale ha tirato fuori la sua dote da motivatore. Nel frattempo il presidente Pallotta da Boston ha inviato i suoi auguri. «Con Ranieri abbiamo l'obiettivo di ottenere la qualificazione in Champions. Volevamo un allenatore che fosse in grado di motivare i giocatori».
Si ferma anche Manolas, l’11 anti Empoli è un rebus
IL MESSAGGERO - Sarà complicato per Claudio Ranieri far fronte all’emergenza che ha decimato la squadra in vista della partita contro l’Empoli. Sono 8 i calciatori che non potranno essere a disposizione del nuovo tecnico per infortuni e squalifiche (Dzeko, Kolarov e Fazio) e salgono a 38 i guai muscolari che hanno colpito la rosa da inizio stagione. All’infermeria già affollata si aggiunge anche Manolas a cui è stata diagnosticata una lesione al soleo del polpaccio destro che lo terrà fuori per tre settimane, rientro previsto dopo la sosta per la gara contro il Napoli del 31 marzo. Il greco ieri mattina è ha svolto dei controlli alla clinica Villa Stuart assieme a Pellegrini, Fazio, Under, Schick e De Rossi, dove pochi minuti dopo è arrivato Ranieri per le visite di idoneità. Se al nuovo tecnico non è stato riscontrato nulla di ostativo alla firma del contratto, a Pellegrini è stata evidenziata una lesione al bicipite femorale destro che lo terrà fermo tre settimane.
UNDER ANCORA KO Meno grave Fazio (che era comunque squalificato) a cui è stato diagnosticato un risentimento muscolare al flessore, ma con la Spal sarà regolarmente a disposizione. Intanto a Trigoria qualcuno ha gridato al miracolo quando ha visto Pastore recuperare (parzialmente) dalla ricaduta al polpaccio sinistro di martedì: l’argentino ha svolto l’allenamento atletico con la squadra per poi rientrare in palestra e proseguire l’allenamento. Brutte notizie per De Rossi che starà fermo 20 giorni per una lesione al soleo del polpaccio destro, proverà a recuperare entro il Napoli, ma senza fretta. Un 2019 da scordare per Under: il turco è fuori dal 19 gennaio, prima partita dell’anno contro il Torino in cui ha giocato i 6 minuti iniziali per poi chiedere il cambio per una lesione al flessore della coscia destra. Il turco è ancora alle prese con il recupero (allenamenti individuali in campo) a causa di una ricaduta a pochi giorni dal derby. Non sono chiari i tempi di recupero. Schick si è sottoposto a controlli per via di un edema, ma l’esito è stato negativo.
Monchi, l’illusione e poi l’abbandono
IL MESSAGGERO - CARINA - «Ramon, ci sveli qualcosa sul tuo futuro?». «Mi spiace, non è ancora il momento». Non più tardi di un paio di settimane fa, il giorno dell'inaugurazione della nuova sede del club all'Eur (22 febbraio), Monchi dribblò così le domande sulle voci, sempre più insistenti, che lo volevano lontano dalla Roma. L'utilizzo dell'avverbio ancora era semplicemente il prologo di quanto accaduto nelle ultime ore. L'esonero di Di Francesco e l'ingaggio di Ranieri, i rapporti azzerati con Pallotta (non è un caso che ieri nel comunicato ufficiale a ringraziare il ds sia stato il Ceo Fienga e non il presidente) più la sensazione iniziale, ormai divenuta certezza, che ogni sua decisione dovesse ricevere l'avallo del consigliere di Londra (Baldini, ndc), gli hanno fatto fare in anticipo un passo indietro. Proprio nella City, partirà a breve la sua nuova avventura: l'Arsenal e Emery lo attendono. L'ex ds ha affidato ai social il suo commiato: «C'è voluto un secondo per scegliere la Roma, sarà impossibile dimenticarla». A Trigoria per ora è stato promosso Massara. Ma la partita è aperta: dall'arrivo di Ausilio al corteggiamento per Giuntoli più l'outsider Petrachi, i candidati non mancano. Come chi si propone (Mirabelli).
EUFORIA E GELO Monchi se ne va - dopo aver effettuato ieri una transazione sui bonus maturati nel suo anno e mezzo in giallorosso - con un carico di speranze naufragate. Il 3 maggio del 2016 s'insedia a Trigoria dicendo di aver scelto la Roma «perché qui potrò essere Monchi». E in effetti, all'inizio, sembra aver preso realmente il testimone di Sabatini, potendo sfoggiare in più un curriculum di successi. Annuncia così l'addio di Totti al calcio, promette un futuro roseo («Si può colmare il gap con la Juventus») e risponde stizzito a chi gli chiede se sia venuto qui per far quadrare i conti («La Roma non ha un cartello al collo con scritto si vende', ma uno con scritto si vince'»). Nel giro di 45 giorni arriveranno le cessioni di Salah, Ruediger (negata pochi giorni prima) e Paredes. Non il miglior avvio. Ma Monchi e il suo metodo meritano fiducia. Il ds si contraddistingue subito per una gentilezza e un savoir-faire fuori dal comune. Persona garbata che si guadagna il rispetto dei media e dei tifosi, ai quali promette a Pinzolo: «Ci vediamo al Circo Massimo». Una battuta che in seguito gli verrà rinfacciata spesso. Il primo mercato si caratterizza nell'attesa per l'esterno Mahrez: alla fine arriverà Schick, una seconda punta. Nella sessione di gennaio, oltre alla telenovela Dzeko, promette che avendo Emerson e Schick ristabiliti, «saranno loro i rinforzi». Dieci giorni dopo il brasiliano firma per il Chelsea. La semifinale di Champions fa dimenticare un campionato contraddistinto da alti e bassi, terminato comunque al terzo posto. Si riparte con quella che da tutti viene considerata la prima vera campagna acquisti di Monchi. Lo scippo di Malcom sanato con l'arrivo di Nzonzi, preceduto da Pastore, una nidiata di giovani impreziosita da Zaniolo, Kluivert, Cristante, Olsen e Marcano fa da contraltare alle partenze di Alisson, Nainggolan e Strootman. La piazza inizia a interrogarsi. Il resto è storia recente: dalla difesa strenua di Di Francesco al battibecco di Oporto con i tifosi. In precedenza, agli «Ask Monchi» di Pallotta replica a gennaio con il primo strappo in pubblico: «Per fare mercato bisogna avere i soldi». A tal proposito, qualche numero: nella sua gestione, 21 calciatori acquistati per 264,7 milioni spesi; 223 quelli guadagnati (che potrebbero lievitare a 260 a bonus maturati). De «ganar», però, nemmeno l'illusione.