Pallotta tiene aperto l'affare con Friedkin
IL TEMPO - AUSTINI - Bocche cucite a Houston, ma da Roma confermano: l'affare tra Pallotta e Friedkin è ancora in corso. Lo si evince dalla relazione del club sulla semestrale chiusa al 31 dicembre 2019 con 87 milioni di perdite, approvata ieri dopo il rinvio per lo stop del campionato. «Sono in essere - si legge nella nota - contatti tra tale società (la controllante con base in Usa, ndr), e un potenziale investitore al fine di permettergli di valutare l'opportunità di un possibile investimento». Poi la Roma specifica che i contatti si sono «rallentati» per l'emergenza coronavirus e nel caso in cui l'operazione andasse in porto, sarebbe proprio Friedkin, non nominato nel comunicato, a coprire i fabbisogni finanziari del club.
Pallotta, a dir poco irritato per il blocco della Serie A imposto dal governo, ha comunque garantito per iscritto in una lettera il supporto finanziario alla Roma dopo aver già versato 89,9 milioni di euro sui 150 totali dell'aumento di capitale. A quanto risulta, il bostoniano, spinto dai soci, è ora pronto a trattare al ribasso il prezzo della vendita del club, accettando una minusvalenza pur di disimpegnarsi definitivamente.
Regna il caos, entro il 25 maggio la Uefa vuole il quadro completo
IL MESSAGGERO - BUFFONI - La Uefa entro il 25 maggio ha chiesto di sapere dalle 55 federazioni le loro intenzioni. Anzi, da 53 federazioni perché Olanda e Francia hanno già archiviato la pratica. Da Nyon hanno fatto sapere: “I club che sono ancora in corsa per Champions ed Europa League potranno giocare lo stesso”, nella fattispecie Psg e Lioneancora in corsa in Champions. Entro il 3 agosto, poi, la Uefa vuole una classifica “di merito sportivo” per organizzare le Coppe 2020/21. Tutto nella massima libertà di ricorrere anche a formule inedite come i playoff. Tutto, però in contrapposizione alla Fifa. Il presidente Infantino, infatti, avrebbe ben visto una stagione articolata sull’anno solare con Europeo spostato all’inverno del 2021 che avrebbe allineato il calcio europeo al Mondiale di Qatar ’22.
Tommasi: “Il calcio è parte del paese, serve sicurezza”
IL MANIFESTO - Nel dibattito che ha coinvolto le varie fazioni del calcio italiano sull’eventuale ripresa delle attività, spesso la posizione dell’Aic, rappresentata dal suo presidente Damiano Tommasi, è stata in contrapposizione con le idee di club e federazioni che spingevano per un ritorno in campo. Sull’argomento allenamenti però, sembrano tutti d’accordo sul voler riprendere, rispettando ovviamente la sicurezza di tutti i calciatori. L’ex centrocampista della Roma e della Nazionale ha parlato di questi temi. Di seguito, le sue dichiarazioni:
Sugli allenamenti siamo tutti dalla stessa parte: vogliamo che avvengano in sicurezza. La nostra richiesta è renderli possibili in forma individuale anche per gli sport di squadra. Serve un protocollo ad hoc, come quello che seguono gli atleti di sport individuali, da applicare almeno per le prossime settimane. Così si potrebbe arrivare al 18 maggio, quando dovrebbero ricominciare gli allenamenti in squadra, avendo fatto individualmente una parte del lavoro presso i centri sportivi. Questa richiesta di valutazione è al vaglio. Il comitato scientifico non ha ancora validato il protocollo del 18 e visto che l’allenamento individuale ha meno vincoli speriamo di poter fare almeno quell’attività sul campo sportivo.
E il campionato?
Per il momento non se ne sta parlando. Sicuramente l’orizzonte temporale non è quello che tutti speravamo. Ci sono pochi mesi davanti.
Continuano a scarseggiare i tamponi e per ricominciare a giocare bisognerebbe usarne un bel po’ per la Serie A. Ha senso?
È una delle condizioni che hanno chiesto anche i giocatori, con tutto il mondo del calcio. La sicurezza deve inserirsi nel contesto paese. Soprattutto in alcune regioni è doveroso che nel caso in cui ci sia la possibilità di fare attività sportiva con i test, come da protocollo eventualmente approvato, ciò dovrà avvenire sapendo che si è in Italia, in Lombardia, in emergenza e non ci si può permettere di creare ulteriori tensioni.
Spadafora: "Ok alla ripresa se ci sarà l'accordo sul protocollo. Altrimenti chiuderemo la stagione"
Il Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora è intervenuto su Rai Tredurante la trasmissione Mi manda Rai Tre:
“Siamo in un punto dove bisogna lanciare un appello alla Lega Calcio di finire polemiche e scontri. Il calcio deve dividerci solo per il tifo. In questi giorni il comitato scientifico sta incontrando gli esponenti dello sport, compresi quelli della FIGC, se si troverà una sintesi sul protocollo riprenderanno gli allenamenti e questo darà un riflesso positivo anche alla ripresa del campionato. Altrimenti il governo si muoverà per chiudere qui la stagione cercando di limitare i danni economici, ricordiamo che il calcio è una grande impresa del nostro paese”.
Roma e Lipsia verso l'accordo per Schick
Patrik Schick, giocatore della Roma in prestito al Lipsia, è a un passo dal restare in Bundesliga. Come riportato da Sky Sport, preso le due società troveranno l'accordo definitivo, con la Roma che incasserà circa 30 milioni di euro, senza alcun sconto al club tedesco.
Balzaretti: "A livello europeo Zaniolo è uno dei talenti più grandi. Ringrazio sempre la Roma che mi ha permesso di essere un dirigente"
Federico Balzaretti, ex giocatore della Roma prima e dirigente poi, ha parlato di se e della squadra giallorossa ai microfoni di TeleRadioStereo:
Il gol al derby
"Un momento dove si è fermato il tempo ed è bello che sia rimasto nella memoria collettiva di tutti. Tutte le volte che ricevo un messaggio che mi ricorda quel momento e mi scrivono grazie, rispondo sempre grazie a voi".
Come stai vivendo questo periodo complicato?
"Fortunatamente stiamo tutti bene a casa e nessuno dei nostri familiari è stato colpito dal Covid 19. Poi posso dire che noi riusciamo a stare bene in famiglia per cui le giornate passato tranquille insieme alle bambine, dato che con Eleonora ne abbiamo 4, quindi non ci si annoia di certo. La mattina facciamo i maestri e poi cerchiamo di fare delle attività che coinvolgano tutta la famiglia. Con i compagni del Palermo abbiamo creato un'associazione fondi che sta andando molto bene per aiutare le famiglie che sono in difficoltà. Si cerca quindi di rendersi utili e fare delle cose importanti per la comunità".
Oltre al gol al derby, qual è stata l'emozione più grande che ha provato da calciatore? Cosa è mancato alla Roma della stagione 2014-15 per fare un ulteriore salto di qualità?
"Un momento che ricordo è la semifinale dell'Europeo 2012 con la Germania. Nel mio cuore quella partita ha un posto speciale, è stato davvero un bel momento dal punto di vista personale. Anche perché dal punto di vista fisico loro erano molto forti, il più piccolo era un metro e ottantacinque. Ci sembravano grandissimi e invece riuscimmo a dare una grande soddisfazione a tutti gli italiani. Purtroppo nella stagione 2014-15 ho vissuto soltanto gli ultimi 2 mesi e mezzo con la squadra, perché stavo combattendo contro quella maledetta pubalgia. Nell'ultimo periodo sono rientrato in gruppo perché me lo chiese anche la società, dato che era un momento particolare e bisognava stringere i denti e conquistare la Champions League. Il rimpianto più grande posso dire che è stato il primo anno, quello delle vittorie consecutive. Se non ci fosse stata una Juve straordinaria avremmo potuto provare a vincere il titolo".
Qual è la difficoltà più grande per un direttore sportivo? Zaniolo può diventare un top player in poco tempo?
"Il direttore sportivo ha più aree di competenza, la parte sportiva non è soltanto comprare i giocatori o fare i contratti. È un ruolo molto grande e totale e soprattutto meno tangibile nell'immediato. Ha bisogno di più tempo e di un certo tipo di continuità, ripeto il ds lega molte più aree all'interno della parte sportiva. Deve essere bravo a legare questi rapporti e deve avere persone vicino fidate, perché non può gestire tutto. È una squadra nella squadra, ha bisogno di collaboratori bravi. Su Zaniolo dico che se non lo è già, sicuramente lo diventerà. Stiamo parlando a livello europeo di uno dei talenti più grandi che c'è in circolazione".
Come vive un calciatore professionista l'evoluzione a dirigente e cosa deve studiare per arrivare al top della forma in questa nuova veste?
"Io ho intrapreso questa strada perché mi piace, molti vogliono fare gli agenti o gli allenatori. Ognuno cerca la propria strada. A me piace molto un ruolo manageriale ma bisogna studiare. Il mio percorso è iniziato con la Roma, che ringrazio sempre, che mi ha dato la possibilità di seguire tutti i ragazzi in prestito e collaborare con la direzione sportiva. Un ruolo molto importante e di responsabilità. Io ho preso il diploma di direttore sportivo e poi da quando mi è scaduto il contratto con la Roma sto facendo un master universitario che fa la UEFA, dove siamo ex calciatori come Drogba, Kakà, io, O'Shea, per cui dico che bisogna sempre studiare e aggiornarsi, poi però l'esperienza la fai sul campo. Non c'è un giorno in cui non guardo almeno 2-3 partite, ieri ad esempio abbiamo fatto una sessione su come la UEFA sta lavorando sul Covid 19, ci sta dando la possibilità di aggiornarci e studiare con questo corso. Poi però c'è assolutamente una parte di pratica che va fatta sul campo. Non basta essere stato un buon giocatore per essere un buon dirigente".
Come agiresti per far ripartire il calcio in questo momento?
"Bisogna davvero avere un quadro totale e se devo essere sincero, in questo momento non ce l'ho. Parlo da tifoso e da grande appassionato di calcio e sapendo quello che porta a livello di emozioni a tutti noi è chiaro che la speranza sia quella di poter ripartire. Non c'è dubbio. In Italia, il calcio ha un valore altissimo ma è chiaro che ci sono dei pensieri molto più grandi da fare. La salute delle persone va sicuramente tutelata per cui bisognerebbe avere un quadro talmente grande e completo per poter prendere questo tipo di decisioni che io sinceramente non ho. C'è la speranza che si possa ripartite con calma, ma le soluzioni non sono facili. Ripeto, ieri abbiamo fatto questa lezione di due ore e la stessa UEFA ha tanti dubbi. Si parla di trasferimenti, di viaggiare da una città all'altra, di talmente tante cose, ad esempio dei giornalisti e addetti ai lavori. Mi auguro e spero che vengano prese decisioni che salvaguardino la salute delle persone a casa e in secondo piano per il calcio e che per una volta gli interessi personali possano essere messi dietro a quelli che sono gli interessi della collettività. La speranza rimane quella che si possa ricominciare e finire la stagione".
Del Pino, presidente Serie A: "Pieno spirito collaborativo. Ci atterremo rigorosamente alle decisioni del Governo"
Paolo Del Pino, presidente della Lega Serie A, ha risposto tramite una nota ufficiale al Ministro dello Sport Spadafora. Queste le sue parole pubblicate sul sito legaseriea.it:
"Apprezzo molto le parole del Ministro Spadafora di questa mattina e il suo appello. Da parte della Lega Serie A c’è stata e sempre ci sarà disponibilità a un dialogo costruttivo, nella certezza che il lavoro del Ministro dello sport e il nostro non possano che mirare a un bene comune nella sua accezione più ampia. È un momento tremendo per il Paese e per il mondo, solo uniti e compatti se ne uscirà insieme.
Come tutti gli italiani vorremmo tornare a lavorare e a vivere la nostra vita quanto prima. Naturale che la Lega Serie A voglia giocare a pallone, sarebbe contro natura dire il contrario. Chi ha un mestiere vorrebbe sempre continuare a farlo. Se sarà possibile farlo rispettando norme e protocolli sanitari, bene. Altrimenti ci atterremo rigorosamente, come abbiamo sempre fatto, alle decisioni del Governo. Il Ministro può avere certezza del nostro spirito costruttivo e collaborativo e che la mia sintonia con il presidente della FIGC Gravina è assoluta".
Fanchini: "A Trigoria abbiamo strutte ampie che ci permetterebbero di allenarci in sicurezza"
Maurizio Fanchini, Head of Club Performance della Roma, ha parlato per il sito ufficiale giallorosso spiegando come si stanno allenando i giocatori capitolini:
Come avete reagito allo stop delle attività agonistiche causato dall’epidemia da Covid-19?
"La situazione è arrivata nel pieno della nostra stagione sportiva, quando ci stavamo preparando alla trasferta per gli ottavi di Europa League. Il 9 marzo è stato l’ultimo allenamento svolto a buona intensità, perché il 12 avevamo in programma la sfida contro il Siviglia. L’11 marzo la partita è stata rinviata e abbiamo lasciato qualche giorno libero ai giocatori. Da quel momento è iniziato il nostro percorso di lavoro a distanza, perché c’è stato anche lo stop delle competizioni europee, ma non siamo stati colti totalmente alla sprovvista”.
Eravate già orientati a un’eventuale chiusura totale?
"Ovviamente leggevamo le notizie e avevamo coscienza di quello che stava accadendo, soprattutto nel nord del Paese. E allora ci siamo preparati per l’eventuale lockdown in tutta Italia. Dal 16 marzo, infatti, abbiamo inviato ai ragazzi un programma da svolgere da remoto, stilando un protocollo che ci permette di controllare quanti più aspetti possibili".
Quanto è complicato creare un programma a distanza per i calciatori?
"Non così tanto, se ci si comporta allo stesso modo della sosta natalizia. Anche in quella situazione mandiamo dei programmi ai giocatori e utilizziamo il supporto tecnologico per raccogliere dei dati: la nostra società è ben fornita e molto avanzata da questo punto di vista. Abbiamo inviato ai calciatori delle cyclette, degli attrezzi della palestra per fare esercizi di forza e dei cardiofrequenzimetri che registrano la loro attività e tramite un’applicazione tutti i dati vengono mandati ad un software cui possiamo accedere per controllare il carico di allenamento. Abbiamo mantenuto gli standard di raccolta dati che analizziamo di solito a Trigoria, attraverso dei questionari rivolti ai singoli calciatori con l’obiettivo di valutare il carico di allenamento".
Cosa devono fare nello specifico i ragazzi per comunicarvi i loro dati?
"Ogni mattina controllano il peso e mandano una foto al nostro nutrizionista, che la registra nel sistema informatico della Società. Mentre si allenano, poi, il cardiofrequenzimetro registra il carico cardiaco e al termine di ogni seduta valutiamo lo sforzo di ogni allenamento attraverso delle domande sottoposte ai ragazzi. Ovviamente la tipologia di carico è diversa rispetto a quella abituale sul campo, perché c’è differenza, per esempio, tra una pedalata e una corsa".
Avete stilato un piano individuale per ciascuno dei ragazzi?
"Abbiamo diviso prima di tutto la rosa in due gruppi. Il primo è relativo ai calciatori che dovevano recuperare da un infortunio o che erano in procinto di tornare in campo dopo un periodo di stop: sono stati affidati ai nostri fisioterapisti e preparatori atletici, che li seguono attraverso delle videochiamate e con una scheda giornaliera. Per quanto riguarda il resto dei calciatori, invece, li abbiamo divisi in due gruppi, uno gestito da me e uno dal collega Nuno Romano, ovviamente allineati sul lavoro da svolgere, preparato tenendo in considerazione le esigenze del singolo. Abbiamo approfittato di questa finestra di stop per poterci concentrare su qualche problematica che durante la stagione, dato il ritmo serrato tra una partita e l’altra, non riusciamo ad approfondire".
Quindi questo periodo vi ha anche permesso di concentrarvi su altri aspetti sui quali solitamente non è possibile lavorare durante la stagione?
"Non essendoci una gara ogni tre giorni, abbiamo avuto l’occasione di provare a condizionare la muscolatura in un certo modo, cosa poco fattibile quando si viene da un ritmo partita troppo alto. Con tutti abbiamo fatto un lavoro graduale, che ha visto crescere il carico nei giorni. Ci siamo basati sul feedback che ci viene fornito dai mezzi tecnologici e dal questionario a cui risponde ciascun ragazzo al termine di ogni sessione di allenamento. Ovviamente un effetto di “detraining” ci sarà sempre, mancando la corsa e la specificità del allenamento. E noi, con questa tipologia di lavoro, stiamo provando a limitare i danni".
Avete fornito anche un supporto psicologico per i ragazzi?
"Gli atleti professionisti sono abituati a stare molto fuori casa, tra allenamento, viaggi e partite: per questo abbiamo dovuto inserire ulteriori misure. Stare chiusi tra le mura domestiche, come accade nella popolazione normale, può creare dei problemi anche a un calciatore, con le dovute proporzioni. Abbiamo quindi creato un questionario psicofisico per monitorare anche questi aspetti e lo abbiamo esteso sia alla squadra femminile sia alla Primavera. Raccogliamo i dati ogni due settimane, perché questa è una situazione straordinaria ed è bene tener conto di tutto. In più facciamo continue videochiamate con i giocatori, non solo per controllarne il lavoro, ma anche per tenerli stimolati e per fare gruppo".
Oltre al peso da monitorare ogni giorno c’è anche un controllo dell’alimentazione?
"Certo, seguendo la routine che c’era prima. Il nostro nutrizionista ha aggiornato il piano alimentare per i giocatori, modellandolo sulle problematiche di questo momento, tutto a livello individuale. Nell’inviare il materiale di allenamento, poi, abbiamo anche fornito ai ragazzi degli integratori selezionati dalla nostra area medica".
Com’è cambiato il lavoro dei giocatori nelle diverse fasi della quarantena?
"Nonostante nei primi giorni ci fosse la possibilità di correre nella città di Roma, perché i parchi non erano ancora chiusi, abbiamo comunque dato indicazione ai ragazzi di non uscire. Lavorando in quel modo ci si può comunque infettare, senza dimenticare che su un terreno scosceso si potrebbe rischiare un infortunio. E se ciò dovesse accadere, si andrebbe ad affaticare un ospedale, per una diagnosi o una cura, nel momento in cui le strutture sanitarie hanno cose ben più importanti a cui pensare. A quel punto, quando è arrivata la chiusura per tutta Italia e il divieto di attività motoria all’aperto, i nostri calciatori stavano già seguendo questa linea da giorni".
La corsa è l’aspetto che forse manca di più ai giocatori?
"Chiaramente. Sono abituati a fare certi movimenti e noi abbiamo iniziato a lavorare nell’ultimo periodo per poterli riabituare a certe attività. I ragazzi fanno esercizi di corsa con cambi di direzione dentro casa, in giardino o sul balcone, per poterli avvicinare a quello che potranno rifare sul campo. Anche se ovviamente non è la stessa cosa".
Come hanno reagito i calciatori ai vostri input in questo periodo?
"Molto bene. La situazione è particolare per tutti. Alcuni di loro sono con la famiglia, ma altri sono soli in casa. Questo, però, è un gruppo eccezionale, con una dedizione al lavoro molto alta. Sono tutti molto presenti negli allenamenti a distanza, mandano dati e collaborano. Il messaggio del mister è sempre stato uno: non si saprà quando si ripartirà, ma facciamoci trovare ponti a ogni evenienza. E il nostro staff ha lavorato in tal senso".
Da lunedì inizia la fase due in Italia, che occasione è questa per i nostri calciatori?
"È l’occasione per riprendere la meccanica della corsa individuale e mettere in pratica certe esercitazioni che mancano da tempo. Correre su un campo è diverso rispetto a correre su un balcone di casa o in un corridoio. Al giocatore di calcio serve poter correre ad alta intensità, mantenendo 18-20 chilometri all’ora. Questo è un fattore importante sul quale dovremo lavorare quando ci sarà la riapertura delle attività individuali".
Quanto ci vorrà per riprendere la forma fisica che c’era prima dello stop?
"Questo periodo potrebbe essere paragonato alla fine della stagione. Ma se si fa un’attenta riflessione, si potrà notare che le differenze sono notevoli. Prima di tutto, quando i calciatori si fermano a metà maggio hanno fatto già molti mesi di attività, mentre qui ci siamo fermati a marzo. Nella pausa estiva, poi, i calciatori vanno in vacanza, si fermano, recuperano energie mentali e fisiche. E molti di loro seguono programmi di allenamento che prevedono attività di corsa ordinaria. La preparazione estiva, poi, prevede 5-6 settimane di lavoro. Nel nostro caso, invece, se andrà bene avremo quattro settimane e in più veniamo da un periodo in cui si sta cercando di mantenere una condizione fisica dentro casa, in uno stato di incertezza. Se poi si riprenderà a giocare ogni tre giorni, ci aspetta un lavoro molto importante e non abbiamo moltissimo tempo per farci trovare pronti. Prima si ricomincia, anche in forma individuale, meglio è. Prima di tutto per evitare infortuni, non solo per una questione di performance".
Quale sarebbe la condizione ideale per ricominciare?
"Secondo noi sarebbe rientrando nel nostro centro sportivo, dove abbiamo le condizioni ideali per mantenere gli standard di sicurezza. A Trigoria abbiamo strutture molto ampie progettate quando la società ha ristrutturato la sede, nelle quali si possono rispettare le distanze di sicurezza. Ci sono tre campi in erba, uno sintetico. La nostra area medica ha predisposto dei protocolli che ci permetterebbero di riprendere l’attività individuale in grandissima sicurezza".
Perché ha più senso allenarsi a Trigoria e non all’aperto in un parco?
"Per diversi fattori. Pensate a quante persone ci sono in giro. Chiunque potrebbe avvicinarsi al calciatore, anche solo per un saluto. Questo porterebbe al rischio di contagio per i cittadini e per i giocatori. La fonte di pericolo è molto importante e mettere un personaggio pubblico in un parco aumenterebbe la difficoltà nel rispettare il distanziamento sociale. Ci vorrebbero le forze dell’ordine a mantenere la sicurezza e a evitare l’avvicinamento tra i singoli, ma in un periodo così non mi sembra il caso di sovraccaricarle anche con questo compito. Senza parlare dell’aspetto legato agli infortuni, perché un parco ha buche e terreni asfaltati".
Come si potrebbe rispettare il distanziamento sociale tra calciatori nel centro sportivo?
"Potremmo accogliere i calciatori in gruppi, abbiamo tre campi di allenamento in erba naturale e questo vorrebbe dire avere sullo stesso terreno di gioco massimo tre giocatori per volta, tenendoli a distanza. Ognuno ha la sua camera e potrebbe farsi la doccia lì. In più, la nostra è una struttura chiusa e controllata, dove l’accesso sarà consentito solo ai pochi calciatori e al personale che deve lavorare in quel momento, senza creare situazioni ambigue".
Con questi metodi il calcio può riprendere in sicurezza?
"Non conosco le realtà di tutti i club, ma penso che con un po’ di organizzazione si possa cercare di avere una situazione controllata a livello di allenamento individuale. È meglio fare attività dentro il centro sportivo, dalla Serie A alla Serie C. È bene sfruttare le proprie strutture, per poter controllare gli accessi e dividere in gruppi le persone, mantenendo la sicurezza di tutti".
Totti: "Roma è una piazza particolare, non puoi sbagliare. Per Tonali farei carte false, volevo portare Barella alla Roma"
Francesco Totti, ex capitano della Roma, ha parlato in diretta Instagram con il conduttore e tifoso interista Paolo Bonolis:
Il gol con il City a Manchester o con l’Inter a San Siro?
"È diverso, perché uno l’ho fatto interno e l’altro di esterno. Contro il City era una partita di girone, a San Siro è stato più bello. Tra Inter e Milan, ne hanno visti di campioni".
Cosa ti piacerebbe fare nel mondo del calcio?
"Ho intrapreso questa nuova avventura di scouting. Stando alla Roma non ho potuto esprimermi come avrei voluto e neanche ne voglio più parlare. Voglio trovare altri Totti, altri Cannavaro o Buffon. L’occhio mi è rimasto".
Sulle qualità di un giocatore.
"La cosa più importante per un giovane è la famiglia che ha dietro. Poi certo, deve avere talento, doti, fortuna, passione… Ma quando la famiglia ti segue e ti trasmette i valori importanti hai ancora più possibilità".
E non comporta un ostacolo la famiglia troppo vicina?
"Il rispetto che ti insegna la famiglia ti aiuta".
Molti ragazzi perdono quella voglia di accettare la fatica per riscattarsi...
"Nel calcio se non c’è fatica o voglia di emergere non vai da nessuna parte. A quindici anni devi lasciare da parte tante piccole cose, come la discoteca, la fidanzatina. Lì per lì non riescono a capirlo, poi quando crescono se ne rendono conto. Tanti ragazzi che erano bravissimi pensavano più a divertirsi che a lavorare".
Se ne incontrassi uno come risolveresti il problema?
"Cercherei di direzionarlo dalla parte giusta, ma è il ragazzo che deve capire e venirmi dietro e non è facile. C’è bisogno di armonia".
Non voglio sapere quali giovani stai monitorando, ma tra quelli che sono già in Serie A vedi qualcuno che potrà essere un perno importante per il futuro? Come Tonali?
"Per Tonali farei carte false. Secondo me diventerà uno dei centrali più forti del mondo. Ha tutto ciò che un giocatore deve avere. Bravo tecnicamente, di testa, è sempre lucido in qualunque partita".
Zaniolo?
"Ne ho già parlato. È un giovane fortissimo e ancora deve dimostrare che giocatore sia. Ha dei margini di miglioramento elevatissimi. Quando lo hanno dato via, è stato un errore".
Hanno pensato di fare la cosa giusta...
"A volte è anche l’ambiente che fa emergere i giocatori. Ci vuole fortuna per chi incontri in quel percorso. Io mi reputo fortunato perché ho incontrato Mazzone e mi ha cresciuto sia in campo che fuori. Zaniolo ha incontrato Di Francesco che in lui ha sempre creduto. A volte si preferiscono i veterani e i giovani non riescono a mettersi in luce. Il problema di Roma è che è una piazza particolare. Non puoi sbagliare, specialmente se sei giovane".
Roma ha degli alti e bassi umorali enormi. Fai un gol e sei fortissimo, sbagli una cosa e ti odiano.
"Appunto è necessario avere delle persone dietro che ti proteggono. Ti portano dalle stelle alle stalle in un attimo".
Quanto talento ha sprecato Cassano?
"Tanto, secondo me si è espresso al 30%. Antonio tecnicamente è il giocatore che mi ha fatto divertire più di tutti. Ci capivamo ad occhi chiusi, quello che abbiamo fatto a Roma difficilmente si vedrà di nuovo. Il problema è che è matto".
Riccardo Poletta?
"Gioca con Cristian negli Under 15, è del 2005. È bravissimo".
Barella?
"È stato uno dei miei pupilli. Lo avrei portato alla Roma il prima possibile ma non ci sono riuscito".
Un consiglio per gli aspiranti osservatori?
"In primis devono capire di calcio. Se non sai l’abc è inutile che ci provi. È comunque un modo per rimanere nel mondo del calcio".
Il campionato della Lazio.
"Stanno facendo una stagione che nessuno si sarebbe mai aspettato. Un plauso a Inzaghi e a tutta la squadra. Ha quei tre o quattro giocatori che gli stanno facendo la differenza. Tare è un grande direttore sportivo e un grande intenditore".
Ti manca la Curva Sud?
"La curva rimarrà sempre con me, quindi non mi mancherà mai".
Salah vi ha abbandonato per andare al Liverpool?
"Non ci ha abbandonato. La società in quel momento era in crisi e doveva vendere. Lui era quello che in quel momento aveva più mercato, quindi non è stato lui a scegliere di andare via".
Il problema stadio si risolverà?
"Non lo so, ci vuole tempo. Forse se cambiano location, a Tor di Valle la vedo complicata".
Giochi a paddle?
"Me la cavo, dopo il calcio è lo sport che mi piace di più".
Nicolò sta recuperando?
"Sì. Ha detto che il ginocchio risponde bene, ma non bisogna affrettare i tempi".
Sei mai stato vicino a lasciare la Roma?
"Nel 2004 mi aveva cercato il Real Madrid. E stato difficile dire di no, però la famiglia e gli amici mi hanno spinto a rimanere e ho fatto la scelta giusta".
Anche il Milan?
"Si, c’è stato un momento in cui Galliani e Berlusconi avrebbero fatto carte false per portami a Milano".
Ti manca lo spogliatoio?
"È l’unica cosa che mi manca. Lo spogliatoio era tutto: divertimento, incazzatura, gli scherzi. C’era di tutto e di più. Sentivi cose impensabili uscire dalle bocche dei compagni".
Romagnoli può diventare come Nesta o Cannavaro?
"È un buon giocatore. Lo conosco bene, giocava in primavera con la Roma, poi è stato in prima squadra e ora capitano del Milan. Quindi ha buon prospettive".
Se va via Pallotta torni a Roma?
"Nella vita mai dire mai".
Quello con cui ti sei arrabbiato di più?
"Io mi arrabbiavo difficilmente con i giocatori, mi arrabbiavo più quando perdevo le partite".
Il calcio a Balotelli.
"Ho detto a Mario l’altro giorno: «Ti ha detto bene che non ti ho preso, altrimenti sai dove ti mandavo»"
Il difensore più forte che hai affrontato?
"Nesta".
Cosa pensi di Ibrahimovic?
"Mi fa impazzire per come gioca, poi vuole sempre vincere e ha la mentalità diversa da altri giocatori. È un fenomeno".
Le dichiarazioni di Osvaldo?
"È matto, che ti devo dire. Gli hanno chiesto alcune cose e lui l’ha presa un po’ alla larga, ma non posso dire niente io. Lui ha detto tutto e io niente".
Florenzi?
"Lo sento spesso, lo saluto. È a Valencia. Ha detto che è un posto magnifico".
Pastore: "Perché possono gli sport individuali e noi non possiamo? Rispettiamo le regole come abbiamo fatto fino ad adesso"
Javier Pastore ha parlato ai microfoni di Roma Tv, il centrocampista si schiera apertamente per la ripresa degli allenamenti. L'intervista sarà trasmessa domani alle 19:30. Questa un'anticipazione:
"Sì, è un po’ assurdo sinceramente. Tutti sappiamo che a Trigoria hanno fatto i lavori per garantire la nostra sicurezza e di quelli che devono andare ad allenarsi lì. Possiamo uscire al parco, ma non abbiamo bisogno di quello o di una strada, ma di un campo buono, adatto alle nostre condizioni. Perché possono gli sport individuali e noi non possiamo? Rispettiamo le regole come abbiamo fatto fino ad adesso. E’ un po’ assurdo perché possiamo dividerci i tempi nella giornata per allenarci singolarmente nel centro sportivo e farlo in sicurezza. La Roma è stata chiara: la salute prima di tutto. Ci hanno messo in condizione di farlo. E’ brutto che dobbiamo aspettare due settimane per allenarci bene."
Nzonzi resta un'altra stagione al Rennes
Steven Nzonzi resterà al Rennes per un'altra stagione. In seguito alla decisione della LFP di sospendere la Ligue 1 e di decretare la classifica finale, il club francese ha chiuso la stagione al terzo posto, qualificandosi così ai preliminari di Champions. Scatta in automatico l'opzione per il prolungamento del prestito del centrocampista, presente nell'accordo tra Roma e Rennes.
Nei giorni scorsi era stato il tecnico del Rennes, Julien Stephan, a rivelare l'esistenza di questa clausola. Ora, con il pass per la Champions già conquistato, Nzonzi potrà restare in patria fino al giugno 2021.
Kluivert: "La Roma è un club meraviglioso"
Justin Kluivert si racconta in una lunga intervista rilasciata al sito web del club giallorosso ASROMA.COM. Queste le sue parole:
Quali sono i tuoi primi ricordi legati al calcio giocato? O al calcio in generale?
“Penso che il primo ricordo che ho sia legato a quando giocavo per l’ASV De Dijk e nella stessa squadra giocavano anche i miei cugini e i miei fratelli. Penso sia la prima cosa che mi ricordo davvero. Ovviamente mi ricordo anche di quando tiravo calci al pallone assieme ai miei fratelli. Mi è sempre piaciuto avere un pallone, ci giocavamo molto”.
Quando hai iniziato a giocare più seriamente, quali erano i giocatori che prendevi da esempio?
“Ovviamente, mio padre era uno dei giocatori a cui mi ispiravo quando ero piccolo – e mi ispiro tuttora a lui. Ma ammiravo anche altri giocatori come Cristiano Ronaldo. È un giocatore da prendere ad esempio, così come Lionel Messi, ovviamente”.
Quando hai iniziato a giocare, giocavi sempre in squadre organizzate? Oppure giocavi anche, ad esempio, al parco con gli amici?
“Certamente. Giocavo in contesti organizzati ma andavo anche a giocare al parco. Nella casa in cui vivevamo, la recinzione sul retro confinava con un campetto. Quindi scavalcavamo la recinzione e ci mettevamo a giocare all’aria aperta. Giocavamo a calcio e anche ad altri sport assieme agli altri ragazzi del quartiere. Credo che questo ti renda più forte – perché impari molte cose”.
“Ci ho messo un po’ di tempo per capirlo, ovviamente. All’epoca, anche quando ne ho preso coscienza, era comunque qualcosa di strano per me, perché per me era semplicemente mio papà. Non l’ho mai visto giocare – almeno non nel picco della carriera. C’erano molte persone che lo ammiravano per i traguardi che aveva raggiunto. Lo ammiravo e lo ammiro ancora, ma lo vedevo in maniera diversa”.
Pensi che le persone ti abbiano trattato in maniera diversa, considerato che giocatore è stato tuo padre?
“Sì, penso di sì. Forse quando giochi da piccolo, magari quando hai 10 anni, molte persone parlano troppo, pensano che tu venga scelto perché sei figlio di tuo padre o cose del genere. Ma è una cosa che mi ha sempre motivato. Mi ha reso quello che sono oggi, mi ha reso un giocatore migliore, perché mi ha motivato giorno dopo giorno, per dimostrare a queste persone che nulla mi era dovuto solamente per il cognome che portavo”.
È interessante, perché non tutti reagirebbero allo stesso modo – trasformandolo in uno stimolo.
“Per me lo è sempre stato”.
Hai sempre pensato di diventare un calciatore professionista? Hai mai avuto dubbi a riguardo?
“Sì, ho sempre pensato di voler diventare un calciatore professionista. L’ho sempre sognato. A una certa età, senti di poter diventare un grande giocatore. Ma, sì, quando sei più giovane e giochi nell’Ajax, gli allenatori ti dicono cose del tipo: ‘in questa squadra, ci sono forse due o tre giocatori che ce la faranno’. Poi in spogliatoio ti guardi attorno e pensi: ‘Sarò io oppure no? Sono uno dei tre migliori giocatori di questa squadra?’ Ma questo ti motiva anche a lavorare più duramente ogni giorno. Ti motiva a essere migliore degli altri”.
Com’è stato crescere nel vivaio dell’Ajax? È considerata da molti una delle migliori scuole calcio d’Europa.
“Penso che lo sia, penso che sia la migliore, soprattutto perché è sotto gli occhi di tutti come i giocatori del vivaio rendano al massimo anche in prima squadra. Le squadre giovanili sono organizzate molto bene. In termini di alimentazione, istruzione, tutto è perfetto. E il livello di calcio è il migliore d’Olanda e credo anche d’Europa”.
“Solitamente la giornata iniziava con la scuola alle 7:30. Venivano a prenderti con il pullman e ti portavano a scuola. C’era un pullman speciale per i giovani del vivaio. Li portava a scuola e li portava alla foresteria, dove bisognava studiare. Dopo la scuola c’era il pranzo, poi c’era l’allenamento e poi si cenava nuovamente nella foresteria. Dopo cena il pullmian riportava tutti a casa. Arrivavo a casa attorno alle 20:30. Funzionava tutti i giorni così. Tutto era organizzato al meglio”.
Sembra una giornata abbastanza intensa e sembra che tu abbia quindi stretto legami importanti con i tuoi compagni di squadra.
“Sì, penso che in quel periodo avessimo tutti un ottimo rapporto con gli altri compagni di squadra. Sono ancora in contatto con molti di loro. Alcuni sono ancora nell’Ajax e poi c’è Matheus Pereira, che è alla Juventus e di cui sono amico. Potrei nominarne molti altri”.
È un periodo della tua vita a cui ripensi con affetto?
“Penso sia bello e divertente ripensare a quei momenti. Pensare a dove abbiamo iniziato e a dove siamo ora”.
Com’è stato per te arrivare in prima squadra? È successo tutto rapidamente?
“Sì. È stato un sogno che diventava realtà. Giocare all’Amsterdam Arena era un sogno che coltivavo sin da bambino. Era l’unica cosa a cui pensavo. E sono riuscito a realizzare quel sogno. Era il mio obiettivo principale e sono contento di averlo raggiunto. È la cosa che sogni ed è il motivo per il quale lavori così duramente. Penso di aver lavorato duramente per dieci anni per raggiungere quell’obiettivo, avevo appena sette anni quando ho iniziato e l’esordio è arrivato a 17 anni”.
È stato un grande salto passare dal calcio giovanile al calcio professionistico?
“Ho sicuramente capito che il calcio professionistico era molto diverso da quello giovanile! È difficile da spiegare a parole. Il calcio è completamente diverso quando arrivi in prima squadra, è un tipo di gioco diverso. Sono tutti…forti. Sono tutti intelligenti. Tutti hanno una grande energia, è tutto molto diverso. È tutto diverso ed è difficile fare paragoni. A livello giovanile le cose sono più semplici. Poi fai il grande salto e ti chiedi cosa stia succedendo. È tutto più veloce, la fisicità è maggiore. Ma impari rapidamente e questa è una cosa molto positiva”.
“Di tutte le cose, direi il mio esordio. Ma mi ricordo bene anche tutti i gol che ho segnato con quella maglia, soprattutto quelli più belli. Ed è stato bello far parte del gruppo che è arrivato a giocarsi la finale di Europa League”.
Arriviamo, quindi, all’estate del 2018. Quando e come hai deciso di lasciare l’Ajax?
“All’inizio non pensavo davvero ad andare via. Poi sono arrivate alcune offerte interessanti e mi si sono presentate delle opportunità delle quali ho dovuto parlare assieme alla mia famiglia e a chi mi stava vicino. Non è stata una decisione semplice, senza dubbio. Perché avevo giocato per tutta la vita nell’Ajax e lasciare l’Ajax sarebbe stato sicuramente una scelta importante. Alla fine ho pensato che sarei stato in grado di fare il grande passo. Quindi ho preso la mia decisione e tutti mi hanno appoggiato al 100%”.
Quindi avevi diverse possibilità. Cosa ti ha convinto della Roma?
“In parte è stato il club in sé. Avevo visto la Roma raggiungere le semifinali di Champions League la stagione precedente. È davvero un grande club. È un club meraviglioso. Era una grande opportunità per me. Poi pensi anche alla città, una città bellissima, e a quanto sia bello poter vivere in una città del genere. Ho pensato, poi, che alla Roma avrei potuto crescere come calciatore, quindi era una situazione vantaggiosa a prescindere”.
Quando sei arrivato in Italia hai pensato che, come nel passaggio dal calcio giovanile al calcio professionistico, passare dal campionato olandese alla Serie A fosse stato un altro grande passo?
“Sì, è stato un altro grande cambiamento – ma alla fine è quello che vuoi. Qui il calcio è più fisico e anche più tattico. Ma vuoi riuscire a calarti al meglio nel contesto, adattarti e crescere. Per questo motivo ho deciso di fare questo passo avanti, per mettermi alla prova ad un livello più alto. Penso sia quello che sto facendo ora – e voglio fare ancora meglio”.
Come valuti la tua prima stagione alla Roma?
“Ho imparato molto. Come ho detto, tutto cambia quando passi dal calcio giovanile a quello professionistico e tutto cambia di nuovo quando arrivi in Serie A. Ho dovuto ambientarmi e le cose non sono andate sempre bene – anche perché la squadra ha avuto qualche difficoltà. Penso non ci fossero le condizioni per sperimentare qualcosa di nuovo con i diversi giocatori, ma questo fa parte delle cose che impari. Ma sono ancora giovane e devo passare anche attraverso momenti negativi per raggiungere gli obiettivi che mi sono prefissato. Questo è quello che penso”.
“Sì. Assolutamente”.
Hai sempre pensato che saresti andato a vivere da solo? Anche questa è una decisione importante.
“Sì, l’idea era quella. Ma va bene così, anche perché la mia famiglia e i miei amici vengono a trovarmi periodicamente”.
E per quanto riguarda l’italiano? So che hai parlato un po’ in italiano nell’intervista post-partita dell’altra settimana…
“Sì. È difficile, ma sto cercando di impararlo. Lo scorso anno si trattava di imparare le basi, ma voglio migliorare. Ora capisco meglio ma voglio migliorare anche nel parlato”.
Questa stagione ha segnato un nuovo inizio: come ti trovi con Paulo Fonseca?
“Le impressioni erano buone sin dall'inizio. Quando è arrivato, era subito chiaro quale fosse il suo obiettivo. ed è sempre chiaro quando parla e spiega le cose. Gli piace molto lavorare con la palla in allenamento e questa è una cosa che a noi giocatori piace. Credo che insieme potremo certamente ottenere risultati importanti”.
Sei stato impiegato molto in quasi tutte le partite di questa stagione. Quanto è stato importante per te?
“Penso sia stato molto importante. Pensando allo scorso anno e guardando alla nuova stagione, ho pensato: ‘Ok, questo deve essere il mio anno’. Non posso rimanere in panchina anche in questa stagione, perché non è quello il tipo di giocatore che voglio diventare. Se reagisci in maniera negativa a un momento o a un commento negativo… se non cerchi di fare qualcosa a riguardo, le cose non cambieranno. Ma se provi a cambiare, se pensi ‘Cosa posso fare per cambiare la situazione?’, ci sono più possibilità che tu riesca a cambiare le cose. È quello che cerco di fare sempre”.
“Sicuramente. Ovviamente speravo di riuscire a partecipare già quest’anno e stavo lavorando duro anche per questo obiettivo oltre che per la Roma e per me stesso. Con il rinvio, avrò più tempo per prepararmi. Avrò un anno in più di esperienza e questo può essermi d’aiuto. Dovrò fare in modo di dare il massimo con la Roma per riuscire a ritagliarmi un ruolo da protagonista anche con l’Olanda e darò il 100% per questo”.
Prima della sospensione sembravi aver intrapreso una striscia positiva a livello di continuità e di gol, come quello contro il Gent.
“Sì è vero, stavo facendo bene, dando il mio contributo con gol importanti ed è questo che voglio sempre fare per a squadra. Quando sono arrivato mi sono fissato come obiettivo di segnare in maniera costante, sapevo che avrei dovuto imparare molto e superare degli ostacoli duri. Ho anche subito un infortunio molto fastidioso ma sono tornato più forte e in fiducia. E più ti senti in fiducia più riesci a tirare fuori il meglio da te stesso e viceversa. Ho segnato alcuni gol importanti come quello di Gent ma poi tutto si è fermato, com’è giusto che fosse. Ora sono ancora più affamato e voglioso di farmi trovare pronto quando si ripartirà”.
Come’è allenarsi da soli? È difficile trovare le giuste motivazioni?
“Io sono sempre motivato. Ho grandi obiettivi e questi mi mantengono sempre motivati. Mi sto allenando ancora più duramente non solo per mantenermi in forma ma per migliorare”.
Ti sembra strano che il Governo abbia dato il via libera agli allenamenti per gli atleti individuali dal 4 maggio mentre i calciatori devono attendere fino al 18?
“Sì mi sembra decisamente strano, ovviamente tutti vogliamo ricominciare il prima possibile. Non mi sembra ci sia molta differenza tra il rischio di correre individualmente in un parco con altra gente intorno a noi e il farlo a Trigoria con i soli compagni di squadra, anzi… Ma non spetta a noi decidere. Vogliamo tornare a giocare il prima possibile ma la decisione non dipende da noi. Attendiamo le scelte e ci faremo trovare pronti”.
“Quando sono arrivato qui, ho scelto di giocare con il numero di maglia del mio amico Abdelhak Nouri, a cui penso sempre. Mi sono detto che, sebbene non lo avessi comunicato pubblicamente, avrei giocato con il numero 34 per un anno. Volevo farlo per lui, era un modo per essergli sempre vicino. Poi, questa estate, è arrivato il momento di cambiare. Volevo il numero 11, a dire la verità, ma ce l’ha Aleksandar Kolarov. Gli ho chiesto di darmelo un centinaio di volte, ma non è stato possibile”.
Glielo hai davvero chiesto? Sei stato molto coraggioso…
“Sì, sì. Ma non ha ceduto. Avevo pensato anche ad altri numeri, ma non erano disponibili neppure quelli. Quindi ho pensato che avrei giocato con il 99 sulla schiena. Sono nato nel 1999, l’ho scelto per questo motivo”.
Ha rappresentato un nuovo inizio per te? Numero nuovo, persona nuova…
“Un po’ sì”.
Hai indossato il 34 in onore di Appie Nouri. Eri in campo al momento dell’incidente? Come si può riuscire a metabolizzare una cosa del genere?
“È molto difficile, perché è successo tutto molto velocemente ed è stato strano vedere come si è svolto il tutto. È chiaro che all’inizio ho sperato per il meglio, ma poi è successo il peggio. È molto triste, per la famiglia e per i giocatori che erano in campo assieme a lui in quel momento. È qualcosa di impossibile da dimenticare, perché non sono cose che succedono nel calcio. Non succedono mai, a dire il vero. È qualcosa che non potrò mai dimenticare”.
Pensi che abbia cambiato il modo in cui vedi le cose o il modo in cui vedi la tua carriera?
“In un certo senso, sì. Se ci ripenso, mi ha insegnato a godermi il presente, a godermi ogni momento, perché non si sa come possono andare le cose nella vita. È sicuramente un insegnamento che ho tratto da quell’incidente”.
È semplice cercare di isolarsi dalla pressione? Cosa fai per riuscire a “staccare” mentalmente?
“Mi piace stare a casa. Mi piace guardare film o giocare alla PlayStation. Mi piace trascorrere del tempo con la mia famiglia, è un bel modo per rilassarmi. È bello non fare niente. Guardare film e rilassarmi con la mia famiglia”.
Qual è il rapporto con i tuoi fratelli? Siete molto legati?
“Andiamo tutti molto d’accordo. Ho due fratelli nati dai miei stessi genitori e in più ho un fratellastro più piccolo da parte di mia madre e un altro fratellastro più piccolo da parte di mio padre. È un po’ complicato, ma andiamo tutti molto d’accordo. Voglio bene a tutti loro ed è bello trascorrere del tempo insieme”.
Come diresti di esserti inserito nella squadra? Sei uno a cui piace scherzare? Oppure sei uno serio?
“Direi che probabilmente sono quello serio!”
“Sì mi sono concentrato un po’ su questo progetto, soprattutto in questo periodo di isolamento. Ho messo insieme diversi video che avevo girato, sulla mia vita attuale, sul mio passato e sui miei obiettivi futuri. È qualcosa che vorrei condividere con le persone, per mostrare un po’ della mia vita al di fuori del calcio, con un occhio rivolto anche al campo. Mi piacerebbe portare gli spettatori nel dietro le quinte e offrire qualcosa di diverso sulla vita di un calciatore. Vi terrò aggiornati su questo e spero anche di poter dare una motivazione ulteriore a giovani che si avvicinano al calcio”.
Uno dei tuoi fratellastri più piccoli, Shane, si sta facendo notare nel mondo del calcio. Gli dai consigli?
“Sì, certo. È giovane ma ha già il suo telefono e cose del genere e mi scrive spesso. Lo aiuto come posso, ha un padre che ha fatto moltissimo nel calcio e ora ha un fratello che gioca, in cui può immedesimarsi. Mi fa moltissime domande e capisco cosa stia vivendo”.
E quando hai domande tu, quando hai bisogno di consigli calcistici, ti rivolgi prevalentemente a tuo padre?
“Sì, è la persona a cui mi rivolgo di più. Perché ha vissuto quello che sto vivendo io. Mi è sempre stato d’aiuto”.
Ovviamente ti ha aiutato molto, in quanto fonte di consigli e motivazioni. Ma, a un certo livello, non ti infastidisce il fatto che tutti – soprattutto in interviste come queste – vogliano in qualche modo paragonarti a tuo padre? Che tutto quello che si dice su di te viene sempre rapportato con quello che è stato tuo padre?
“No, non mi preoccupo di cose del genere. Perché penso che quello che abbiamo sia qualcosa di molto bello e per me è fantastico avere qualcuno che ha già vissuto quello che sto vivendo io. Qualcuno che può mostrarmi come affrontare le cose, darmi consigli e quant’altro. È tutta la vita che le persone fanno paragoni. Ma, come ho detto, questa cosa mi ha sempre motivato, mi ha spronato a migliorare, a cercare di arrivare al suo livello e magari, chissà, un giorno potrò diventare anche più forte di lui”.