Arrivederci Roma, Totti: «Hanno cacciato i romani dal club. Tornerò con un'altra proprietà»

LEGGO - BALZANI - Niente lacrime stavolta, ma sorrisi amari e bordate a spaccare la porta proprio come faceva da calciatore. Ieri Totti - in un Salone d'Onore del Coni gremito - ha dato le dimissioni da tesserato della Roma dopo 30 anni. Francesco ha scoperchiato il vaso di Pandora in quasi 90 minuti intensi di conferenza a reti unificate. «Ho mandato una mail alle 12.41 per dire che mi dimettevo. Se morivo era meglio. Lasciare la mamma non è facile. Per il bene di tutti, meglio che mi stacco io. Tanti dirigenti hanno detto che sono un peso troppo ingombrante. Speravo che questo giorno non arrivasse mai». Passata la commozione spiega i motivi: «Non ho mai avuto la possibilità operativa di poter lavorare nell'area tecnica della Roma. Hanno fatto l'allenatore e il ds senza neppure chiamarmi. Mi hanno invitato a Londra due giorni prima, quando avevano deciso tutto. Il pensiero fisso di alcune persone da 8 anni a questa parte era uno: «Via i romani dalla Roma. Hanno ottenuto quello che volevano». Poi su Baldini: «Non ho mai avuto un rapporto con lui e mai ci sarà: si doveva scegliere e mi sono fatto da parte io. L'ultima parola era sempre a Londra. Solo quando erano in difficoltà mi hanno chiamato. Con Fienga che ringrazio abbiamo scelto Ranieri. Un uomo vero. Avrò fatto 10 riunioni in due anni. Se io avessi Totti e De Rossi gli darei in mano tutto, Pallotta invece si circonda di persone sbagliate. Ma se sbaglio da 8 anni, me la farò una domanda?».

Ma chi ha pugnalato Re Totti alle spalle: «Qualcuno dentro Trigoria, ma non farò mai i nomi. Ci sono delle persone che fanno il male della Roma e gioiscono quando perde, Pallotta tante cose non le sa eppure continua a fidarsi sempre delle stesse persone. Nelle ultime settimane ha cercato in tutti i modi di trattenermi, mentre in due anni non mi ha mai chiamato». Poi ha spiegato come l'unico allenatore con cui ha parlato «è stato Conte che a me aveva detto sì, poi ha saputo della rivoluzione che avrebbe distrutto la continuità di questa squadra». E svelato retroscena di mercato: «Di Francesco aveva chiesto 5 giocatori non gliene hanno preso neppure uno. Io avevo sconsigliato un giocatore con tremila infortuni (Pastore, ndr) e consigliato uno dell'Ajax (Ziyech) ma nessuno mi ha ascoltato».

Capitolo De Rossi: «Da settembre dico ai dirigenti di trattare con rispetto Daniele, e di comunicargli la verità per tempo. Io mi fido di De Rossi al 100%, magari un giorno andremo in Sud insieme». Poi altri siluri alla dirigenza: «Hanno fatto tante promesse, ma cose concrete non tante. Bisogna dire la verità ai tifosi, io sono trasparente quindi non posso stare qui dentro. Ci sono problemi finanziari. E per questo devi vendere giocatori importanti e la squadra s'indebolisce». Consiglia Pallotta di essere più spesso a Roma («perché il capo serve o i giocatori fanno come gli pare»). «Qualcuno ride dopo le sconfitte», aggiunge alla domanda su Florenzi che dice di non aver sentito. Infine parla del futuro: «Se un'altra proprietà mi chiama e crede nelle mie potenzialità, tornerò. Se Malagò diventasse presidente ci starei. Cordate arabe? La Roma è amata e stimata e tanti la vorrebbero, ma se non vedo nero su bianco non ci credo Per ora ho avuto offerte di squadre italiane, una stamattina (la Samp, ma anche la Fiorentina di Pradè, ndr)».


Ore 14: Capitale deserta come ai Mondiali

LEGGO - CHILLE' - Il re di Roma abdica e la Capitale si ferma. Dagli uffici ai bar, passando per i Roma Club, tutti sono rimasti ad ascoltare con attenzione le parole d'addio, assolutamente non scontate né banali, di Francesco Totti. L'ex capitano, dopo due anni da dirigente, ha deciso di lasciare il proprio ruolo in polemica con la dirigenza e tante persone, approfittando della trasmissione in tv o in streaming sul web, sono rimaste in religioso silenzio a seguire la conferenza stampa dalla sede del Coni.

Se da un lato le parole di Totti hanno confermato quanto già saputo dai tifosi della Roma, alcune dichiarazioni hanno lasciato il segno. Quando l'ex capitano ha annunciato di voler tornare solo quando si sarà insediata una nuova proprietà, in molti hanno scosso la testa sconsolati, ben consapevoli che, dopo l'addio di De Rossi, è finita un'era. «Non bastavano tanti anni senza trofei, ora ci tolgono anche l'identità romana, l'unica cosa che ci distingueva da tutti gli altri. In cosa ci stanno trasformando?», ha esclamato un tifoso che seguiva la diretta in un bar. Tra i commenti dei tifosi, i più bersagliati sono ovviamente James Pallotta e Franco Baldini, poco stimati anche dagli avversari laziali. Angelo, tifoso biancoceleste che stava seguendo la conferenza stampa, ha infatti commentato così: «Non amo la Roma dal punto di vista sportivo, ma quello che stanno subendo i suoi tifosi è qualcosa di inaccettabile. Si fa tanto per costruire identità ed appartenenza e poi arrivano persone che decidono dall'estero e tolgono l'anima ad una squadra».


Trent'anni d'amore tra cucchiai e magie

IL MESSAGGERO - MEI - Quando Raffaele Ranucci lo portò via dalla Lodigiani, Francesco Totti era un adolescente. Era un'ipotesi. La Lazio lo aveva occhieggiato, ma vuoi mettere la Roma?, per un ragazzino di Porta Metronia il cui cuore aveva già scelto da che parte stare. Calcisticamente, s'intende. La storia d'amore è stata lunga trent'anni e 307 gol. E' difficile che un amore duri così a lungo, è difficile che un calciatore segni così tanti gol; sembra ormai impossibile, poi, che lo faccia indossando sempre la stessa maglia di club. Proprio a vestirne un'altra, era solo quella azzurra.

DAL FOGGIA IN POI Trent'anni e 307 gol in 786 partite, in serie A le reti sono 250 e le partite 619. Il primo al Foggia, data 4 settembre 1994. L'ultimo non si deve ricordare: non è stato lui a scegliere quale fosse l'ultimo, lo hanno fatto altri. Eppure si trattava di gol pesanti: quelli che davano alla Roma un'altra chance da Champions, la possibilità che questa Roma con Totti semplice gagliardetto anziché bandiera, non ha avuto. E' vero, Totti c'era ancora, ma forse alla scrivania semplicemente a far trascorrere il tempo. L'esordio lo si deve a Boskov, quello che rigore è quando arbitro fischia, un uomo di calcio grandissimo e anche un grandissimo uomo. Era il 28 marzo del 93, avversario il Brescia. Trent'anni hanno portato a tifare per la Roma generazioni intere: come disse lui il giorno dell'addio al calcio giocato, i bambini che gridavano Totti-gol adesso sono diventati padri e portano allo stadio i figli. I quali cantano anch'essi Totti-gol. Francesco è cresciuto con la Roma e nella Roma, fino a uno scudetto, fino a quel magico 2007 che l'ha visto capocannoniere e scarpa d'oro, vincitore di due coppe. E' cresciuto incarnando sempre un certo spirito romano (romanesco? forse), rugantino e strafottente all'apparenza; generoso e ironico, tanto che quando si sentì sommerso dalle barzellette che gli cucivano addosso riciclandone dal passato, prese a raccontarle per primo lui stesso e così sminò le prese in giro. Di quelli con la puzza sotto il naso, perché non conosce i congiuntivi. Come ora perché non sa l'inglese. Vecchia frase di sapore classista dell'Avvocato Agnelli: «Anche le segretarie lo parlano benissimo».Totti è andato avanti con colpi da maestro: mica solo i gol, anche gli assist; mica solo i cucchiai, anche gli aquiloni. Nel pantheon dei suoi devoti c'è ampia libertà di scelta per quale sia stato il gol più bello: quello che gelò il Bernabeu? Quello che fece alzare in piedi Marassi? Quale cucchiaio? Ne ha sfornato un servizio d'oro. L'unico oro che gli è mancato è quello del pallone, perché la giuria che vota si affida più alla squadra che non all'individuo, altrimenti non sarebbe un rimbalzello noioso tra titolari dei Champions. «Mo' je faccio er cucchiaio» disse andando incontro a Van der sar. Glielo fece e lo beffò. Lì per lì Van der Sar, che non parava molti rigori ma del resto il portiere della Juve non necessitava di questo atout,, non apprezzò. Ma poi ha reso l'onore delle armi al Capitano quando è andato in congedo, non per volontà sua. Rigori? Famoso anche quello che segnò, quando non c'era più tempo che per quel tiro, contro l'Australia nel 2006 mondiale. Si prese tutta la responsabilità, e l'Italia non tornò mestamente a casa ma proseguì trionfalmente fino a Berlino. Trent'anni d'amore, alti e bassi, Carlos Bianchi detto il mago della pampa (scherzavano i più è un mago, ha fatto sparire la Roma) voleva venderlo; Mazzone gli fece da calcistico papà; Zeman, Capello e poi Spalletti che lo prese di punta, nel senso che lo mise prima punta. Poi l'avrebbe preso di punta anche nella sua seconda avventura romanista, ma questa è un'altra storia. Amara.

SENZA LIETO FINE Come quella che si è appena conclusa, al Salone d'Onore del Coni. Chi più di Francesco meritava l'onore? Dal 1998 ha indossato la fascia del capitano, che gli cedette Pluto Aldair. Ora non era più il Pupone, era il Gladiatore: al mio segnale scatenate l'inferno. Lui, per la verità, ha scatenato il Paradiso nei cuori del popolo giallorosso.Tutto è contemporaneamente vivido e sfocato: 6 Unica, Vi ho purgato ancora, il selfie sotto la curva, il cameraman improvvisato, il quattro e a casa. Poi anche il tentativo di sputo a Poulsen, il calcio a Balotelli. E gli infortuni e le fortune. In trent'anni c'è stato pure il modo di vedere la mutazione del calcio. Ma Totti è stato sempre Totti. E sarà così.


Nei luoghi di Checco, più rassegnazione che rabbia dei tifosi

IL MESSAGGERO - MEI - Il pizzicarolo del banco 25 (lo chiamano così i colleghi di mercato, a Piazza Epiro dove ancora si trovano pure le visciole), Francesco, va un attimo nel retrobottega, prende la maglia di Totti. Francesco non gliela ha ancora firmata: «L'altro giorno è venuto a via Vetulonia per il ciak del film, ma c'era troppa gente: non ho potuto avvicinarlo». Sempre, dov'era (e dove sarà) Totti, c'è troppa gente. Come quel 17 giugno di tanto tempo fa, un'altra era geologica e giallorossa, quando la Roma vinse il terzo scudetto e il popolo romanista tinse dei suoi colori la città intera e cantava «alza l'occhi ar cielo e guarda sta città, è tutta giallorossa e te ne devi anna'». Ieri la città era assolata e desolata: rassegnata forse. Non vedevi striscioni. Sì, i murales per Francesco c'erano, ma quelli ormai fanno parte del paesaggio urbano, la street art del cuore. Il Circo Massimo, invece, era una fornace: mica s'aspettava il concerto. Qualche gru s'allungava per mettere su un palco che verrà, non per la Roma, per questa Roma. Non è nei pronostici. Una comitiva di giapponesi guardava il Palatino dal basso, fotografava. Qualcuno sapeva di Totti, un brand più conosciuto della Roma stessa.

CIMELI PARLANTI Il pizzicarolo mostrava i suoi cimeli: perfino il biglietto per la finale dell'84, il numero di serie 0000452, che vuol dire che arrivò presto al botteghino, o quello della partita d'addio di Bruno Conti. S'avvicina Silvio, un amico, e racconta che «Francesco lo chiamavano er mitraglia». Perché quando la Roma vinceva, sempre quell'era geologica e giallorossa fa, si presentava al mercato con una pistola d'acqua e, dice lui, «sparavo sui macellari laziali». I quali, una volta che la Roma perse, lo aspettavano brandendo per scherzo il coltello. Imitava Batistuta, la bandiera della Fiorentina che da quelle parti vorrebbero di nuovo sul pennone, e invece qui... Altri tempi: i tifosi non erano clienti.

MAMMA FIORELLA Ricordano, qui, mamma Fiorella che scendeva di casa e veniva a fare la spesa la mattina. Prendeva anche il caffè al bar della piazza, dove, ricorda Rita, il giorno dopo quello scudetto misero i tavolini fuori, tortellini per tutti e pure una porchetta fatta scendere da Ariccia.

La colpa, qui non hanno dubbi, «è de Baldini, e de Pallotta, venuto per fare il business, come se fossimo quelli dei Boston Celtics: ha fatto il business di se stesso». Forse neppure quello. «Quando s'è sposato De Rossi al Celio ricorda sempre Rita la mamma di Totti è venuta qui per scaldare il latte al biberon di uno dei ragazzini di Francesco». Roma non è fatta di grattacieli e di bostoniani. «A Roma conclude Francesco del banco 25 c'è er còre'. E quelli lo tradiscono».

LA CITTÀ DI CHECCO Quelli che senti in giro per la città di Totti, quella che va da Porta Metronia dove tutto cominciò, ai covi romanisti, alle case dove abitò, ai luoghi di questa sua Roma di oggi e forse di domani, il Coni, il Circolo Aniene, la Figc, la sua casa oltre l'Eur, che oltre tutto la sede nuova della società gli sarebbe perfino stata più comoda, pure se lui, comunque, avrebbe preferito Trigoria, chissà... Il presidente della squadra Trastevere, Betturri, lancia ancora il suo messaggio: torna da noi. Lì il Capitano tirò i primi calci. E sogna la terza squadra della Capitale, da far giocare magari allo Stadio Flaminio, dove nel frattempo è cresciuta la giungla.

CAMPIONE SENZA FINE Se s'incontra un tifoso di «quelli che Totti», ti spiega che «Francesco è eterno, come la Roma, mica come Pallotta e Baldini; lui poteva guadagnare il triplo e invece è rimasto da noi». Per ripagarlo, gli manda «un bacione», non salviniano s'intende, e gli lancia una invocazione: «Nun molla', compratela te la Roma». E' un auspicio. Di fronte al Coni, aspettando la conferenza stampa dell'addio (o dell'arrivederci, come è nei voti e nei volti di tanti) il bancarellaro che vende i tarocchi dello sport, maglie spurie e sciarpe ed altro, è un tipo pronto: la mercanzia ieri mattina era rigorosamente giallorossa. Forse s'aspettava l'arrivo dei tifosi. Se lo aspettavano anche le forze dell'ordine, prudentemente sistemate all'ingresso del Palazzo H, non si sa mai.

SOLO TRISTEZZA E invece si poteva immaginare, pure se la precauzione non è mai troppa: più che la rabbia, il sentimento che tracimava per la città di Totti era la tristezza, era la rassegnazione. E se fosse questa la maggior colpa dei colpevoli? E se toccasse ancora una volta a Totti riaccendere l'entusiasmo magari, andando, come ha promesso, «con Daniele in Curva Sud». Ma siamo certi che lo farebbero entrare, dopo che l'hanno fatto uscire due volte in malo modo?

 


Il verbo di Francesco diventa universale

IL TEMPO - F. SCHITO - «I presidenti passano, gli allenatori passano, i giocatori passano, le bandiere no». Che Francesco Totti sia stato, è e sempre sarà una bandiera della squadra giallorossa è innegabile, a darne ulteriore dimostrazione è stato l'evento mediatico che ha dell'incredibile creato attorno a quella che è stata la conferenza stampa di un dirigente che dà le dimissioni.

Certo, non si parla di un dirigente normale, si tratta di un campione, di un uomo che aveva scelto di legare a doppio filo la sua vita professionale e non solo a una fede calcistica. Un calciatore che ha scritto pagine indelebili di storia di una società da cui poi ha scelto di separarsi forse per troppo amore. A fare da cornice - diciotto anni dopo la conquista del terzo scudetto giallorosso all'addio di un simbolo che tale rimarrà per sempre nel cuore e nelle menti della sua gente è stato il Salone d'Onore del Coni. Al suo fianco, il presidente Giovanni Malagò e Paolo Condò, che ne ha raccontato le gesta nella sua biografia uscita lo scorso 27 settembre e che ieri ha moderato la sua ultima conferenza da dirigente della Roma, fresco di dimissioni.

Francesco è arrivato accompagnato da Silvia Blasi, sorella maggiore di Ilary. Ad accoglierlo, oltre a centinaia di giornalisti e fotografi, anche vecchi amici che hanno scelto di supportarlo in questa sua ultima uscita da romanista, per il momento. Seduti ad ascoltarlo c'erano Vincent Candela che con lui ha festeggiato il terzo scudetto romanista il 17 giugno di 18 anni fa, Alberto Aquilani, Odoacre Chierico che ha lasciato il ruolo che ricopriva nel settore giovanile per lasciar spazio al figlio Luca impegnato con la Primavera di Alberto De Rossi, Marco Cassetti, Carlo Cancellieri, l'avvocato Taormina e Sebino Nela, un altro che di scudetti con la Roma se ne intende. Presente al Salone d'Onore del Coni anche il bambino che interpreterà il giovane Totti nel documentario che racconterà la sua vita e sarà presto sugli schermi, nonché diversi direttori dei maggiori quotidiani sportivi e non e i giornalisti con cui si è confrontato per tutta la sua carriera.

A rendere universale il verbo di Francesco è stata soprattutto la copertura televisiva, con Sky Sport che ha mandato in diretta la conferenza dell'ormai ex dirigente giallorosso, così come ha fatto anche Rai Due, in un'edizione speciale del Tg Sport con tanto di Rosella Sensi ospite in studio a commentare le parole di Totti in una diretta durata circa un'ora e mezzo. Sia durante, sia dopo la conferenza, i social network sono stati letteralmente invasi da commenti relativi a quanto detto dall'ex numero 10 della Roma. Su Twitter, a due ore dal termine della conferenza, c'erano otre 15.000 tweet relativi a #Totti, trending topic d'eccellenza di giornata sul social dei cinguettii. «Lasciare la Roma per me è come morire», le parole della bandiera giallorossa.

Un sentimento fin troppo condiviso dal suo popolo, come si legge sui social. Una pagina amara della storia della Roma si è consumata in diretta nazionale, si è diffusa sui siti tematici e sui social, sarà argomento di dibattito nei prossimi giorni sulle radio capitoline e nei bar della città. Totti lascia la sua Roma e per le vie della capitale, anche quelle dei social network, torna in auge uno stendardo che ben rappresenta il pensiero della stragrande maggioranza dei supporter giallorossi: «Speravo de morì prima».

 


Totti, la città non riesce a dirgli addio: «Continuerai a sventolare»

LA GAZZETTA DELLO SPORT - Trent’anni d’amore fatti a pezzi. Questa la sensazione dopo la conferenza stampa di addio di Totti, condivisa anche da chi ha assistito dal vivo all'intervento del capitano. «Sono talmente provato da non sentire più neanche le emozioni – rivela l’attore Andrea Carpenzano, che ha indossato la maglia della Roma nel film «Il Campione» di Leonardo D’Agostini –. Mi fa impressione il suo addio obbligato, si sta sgretolando tutto». Difficile restare lucidi, perciò è apprezzabile il tentativo di Lorenzo Pellegrini, dal ritiro dell’Under 21, di accarezzare i romanisti. «Oggi è una giornata particolare per le persone che vogliono bene a Francesco, come è stato per Daniele».

Come è potuto accadere che sia finita così? Secondo l’ex d.s. Walter Sabatini, «per l’ambiguità perenne della Roma. Peccato, perché Totti aveva l’esperienza per fare il d.t. Così hanno perso entrambi». «Mi auguro, spero, anzi credo sia solo un arrivederci», auspica Damiano Tommasi. E questo, davvero, oggi lo sperano tutti i romanisti.


Roma e il 17 giugno: felicità e dolore di un anniversario

IL MESSAGGERO - FERRETTI - Totti è la Roma, ha sentenziato due anni fa la Curva Sud, il cuore pulsante del tifo giallorosso. Difficile, e non soltanto numeri alla mano, non essere d'accordo con la gente che ha una Lupa tatuata sulla pelle e che l'ha omaggiato in quel modo. Francesco, per un numero infinito di anni, non è stato soltanto il Capitano della Roma, ma anche il capitano dei tifosi giallorossi. Perché a loro, nel bene e nel male, ha dedicato tutta la propria vita calcistica. Onorando come pochi altri la maglia dall'alto di un dna a prova di stilettate tosco-statunitensi.

Ha vinto uno scudetto ma non se l'è tenuto per sé, l'ha immediatamente condiviso come dimostrato dalla dedica del 17 giugno di 18 anni fa subito dopo aver battuto all'Olimpico l'amico Gigi Buffon, allora portiere del Parma. E' vostro, è vostro... il suo urlo dal campo un attimo dopo la prima delle tre reti tricolori. Francesco, del resto, da calciatore è sempre stato così: generoso come sanno esserlo soltanto coloro che amano distribuire il proprio sapere agli altri.
Ha costantemente condiviso la sua arte con il prossimo, con i compagni, con la società, con la tifoseria. E' stato, anzi è amato come nessun altro esattamente per questo: per aver regalato gioie con giocate da Totti, non da tutti. Ha scritto la storia della Roma sistematicamente in positivo, battendo tutti i record che poteva battere ed entrando così di diritto tra gli Intoccabili. Venticinque anni di anni di vita a due colori, e sempre con il sorriso sulle labbra. Anche con una gamba spezzata in due e un pezzo di ferro a tenergli ancora oggi dritta la tibia.

Ha fatto ridere tanto e pure piangere tantissimo, come accaduto a fine maggio di due anni fa. Si era illuso che quello fosse il momento più triste della sua convivenza in Casa Roma, invece si sbagliava. Il peggio, come nei più deludenti film prodotti a Boston, doveva ancora arrivare. Ci hanno pensato in due a ricordarglielo, confezionando un regalo che non avrebbe mai voluto ricevere. E che adesso Francesco terrà lì, in attesa di poter tornare a casa.


Rosella Sensi: «Il mio Capitano trattato come fosse una figurina»

IL MESSAGGERO - LENGUA - Rosella Sensi fa il suo ingresso al Coni in punta di piedi, quando Francesco Totti nel Salone d’Onore ha terminato la conferenza stampa. I due si lasciano andare a un lungo abbraccio, non serve parlare perché entrambi sanno cosa c’è nel cuore dell’altro. Un feeling mai scomparso anche dopo tutti questi anni, ma che non è mai sbocciato tra l’ex numero 10 e la proprietà americana.

Se Rosella Sensi fosse stata presidente come avrebbe reagito alla conferenza di Totti?
«Credo che un mio giocatore non sarebbe mai arrivato a questo punto perché ci avrei parlato prima. Specialmente con un giocatore come Totti, sapendo il valore che ha Francesco per questa società e nel calcio mondiale».

Come si fa ad arrivare a una rottura del genere con una bandiera come Totti?
«Si è tirata troppo la corda. Bisogna conoscerlo e parlarci perché il suo aspetto un po’ sornione e bonario nasconde la sua determinazione. Quando dovevamo rinnovare il contratto, pur essendo circondato da personaggi competenti, era lui che aveva l’ultima parola. È determinatissimo nelle sue cose, non bisogna mai sottovalutare la sua volontà, competenza e determinazione. Andava tenuto in considerazione, senza trattarlo da gagliardetto o da figurina. È buono e tranquillo, ma il troppo aspettare e pazientare non ha portato a nessun esito, perché poi è arrivato al punto di rottura e non ha dato motivo di ritorno».

La “deromanizzazione” di cui ha parlato Totti dove porterà?
«Non è un’idea giusta e non so dove porterà perché a noi tifosi non è stata spiegata. In questo mondo del calcio oltre al business, devono essere portati avanti dei valori importanti e questi giocatori sono stati simbolo di qualcosa di grande per i bambini che approcciano al calcio non solo qui in Italia, ma in tutto il mondo. Sono persone attaccate alla propria città e che sono rimaste nella stessa società per molti anni. Questi sono valori che non stridono con il business e la modernizzazione del calcio. I tifosi della Roma vogliono vedere una continuità, ma dove sta? La continuità sono Totti e De Rossi».

È difficile parlare con trasparenza ai tifosi?
«Ci va messa la faccia e spiegare. Ha ragione Francesco quando dice che le cose ai tifosi vanno dette come stanno. Ma è anche difficile dirle perché puoi essere soggetto a critiche. Quando si fa calcio succede anche questo, a me è accaduto e soffrivo io per i tifosi. Ma poi i nostri piccoli grandi successi li abbiamo portati casa, lottavamo sempre e qualche Coppa Italia l’abbiamo vita. Però dovevamo dire la verità».

Percepiva la tristezza di Francesco in questi due anni?
«Non riuscivo a vederlo lì seduto allo stadio in quel modo».

Perché?
«Io ho un grande affetto per Francesco, l’ho sempre coinvolto ma non perché fosse necessario, ma perché capivo già all’epoca che era importante coinvolgerlo. Non era necessario interpellarlo, ma sapevo che era importante farlo, ma non per qualche vantaggio ma perché poteva darti consigli importanti. In momenti difficili, lui c’è sempre stato ma perché c’è sempre stato un legame con la famiglia Sensi».

Quando le ha fatto il contratto da dirigente a che ruolo aveva pensato per lui?
«Non potevo pensare a Francesco fuori dalla Roma e pensavo potesse avere un ruolo fondamentale. Direttore tecnico poteva essere quello giusto per lui e se non fosse stato quello sarebbe potuto essere un altro».

Quanto incide l’assenza di Pallotta a Roma?
«Quando vuoi fare il proprietario di una società di calcio devi essere presente. Il calcio non è un business normale, ma è a 360 gradi. Non gestisci numeri, ma parli con le persone, devi vederle, devi capire se un giocatore sta in un certo modo. L’allenatore e i dirigenti non vanno lasciati soli. È una cosa complessa perché devi parlare con gli altri presidenti, devi interloquire con quel mondo. È chiaro, però, che devi avere anche bravi dirigenti perché non puoi fare tutto da solo».

Che uomo era Baldini quando lei lo ha conosciuto?
«Sembrava un uomo mite, poi il calcio lo ha trasformato. Mi dispiace che non abbia ringraziato mio padre che gli ha dato questa opportunità, perché lui all’epoca faceva il procuratore. Penso che abbia un carattere particolare e comunque credo che dopo tanti anni che fai calcio sei cosciente che devi metterci la faccia».

 


La dinastia Totti a Trigoria continuerà con Cristian

IL MESSAGGERO - CARINA - Per un Totti che se ne va, ce n’è un altro che rimane a Trigoria. Fino a prova contraria. Si tratta di Cristian, primogenito di Francesco, che essendo nato del 2005 quest’anno giocherà negli Allievi élite. L’allenatore è Rubinacci, un fedelissimo di Bruno Conti, e al momento - nonostante la querelle tra il club (come dimostra il comunicato di ieri sera) e Francesco stia salendo di tono - nulla lascia pensare che il ragazzo non farà parte della Roma. Toccherà proprio a Rubinacci constatare se e come Cristian potrà proseguire il suo cammino in giallorosso. Di certo, Totti Jr s’è finora contraddistinto, oltre che per i gol (gioca nel ruolo di attaccante), anche per un bel gesto di fair play che ha fatto poi il giro delmondo. Partecipando ad un torneo Under 14 a Madrid lo scorso settembre, rinunciò a segnare perché il portiere avversario era rimasto a terra dopo uno scontro di gioco. Subito andato a sincerarsi delle condizioni dell’avversario e a scusarsi, attirò su di sé l’attenzione dei media spagnoli con un filmato che poi invase il web.

IL SOGNO CONTINUA Più volte interpellato sul figlio, Francesco ha sempre glissato come solo un buon padre sa fare, consapevole che il cognome che si porta dietro può pesare come un macigno. Per informazioni, chiedere ai fratelli Conti, che avevano un papà che è diventato campione del mondo nel 1982 e un’icona indiscutibile del calcio mondiale. Come poi ha però dimostrato soprattutto Daniele a Cagliari, si può cullare la propria passione e farla diventare un lavoro, anche con qualità minori rispetto al genitore. Quello che ambirebbe fare Cristian anche se il padre più volte gli ha ripetuto che il calcio deve rimanere una passione. A Trigoria, si sussurra che di Francesco abbia ereditato lo stesso modo di calciare. Stesso piede, il destro, stessa incisività con le porte avversarie. Accostarlo al papà è inevitabile. Toccherà a lui provare a rimanere con i piedi per terra e non soffrire i paragoni che inevitabilmente da qui in avanti saranno sempre più frequenti. Debuttare all’Olimpico per ora è un sogno ancora lontano. Cristian s’è dovuto ‘accontentare’ di fare il raccattapalle in diverse gare casalinghe della Roma. La prossima stagione sarà però importante. Quattordici anni infatti è l’età nella quale avviene (o meno) il salto di qualità. O meglio: in un club strutturato e così attento alla maturazione dei giovani come quello giallorosso, il prossimo anno sarà quello nel quale si intuirà se il cammino potrà continuare o meno. La volontà di Cristian è provarci. Ed eventualmente essere giudicato soltanto per quello che farà in campo. Semplicemente come Cristian e non come ‘il figlio di Totti’.


Un boom mondiale: il saluto del Capitano visto dall’estero

IL MESSAGGERO - Francesco Totti e la Roma, una storia solo italiana? Macchè. La conferenza stampa ha fatto il giro del mondo. In particolare la frase «Oggi potevo anche morire, forse sarebbe stato meglio», ha catturato l’attenzione delle testate internazionali.

È il caso di AS, che titola proprio così. Mundo Deportivo si limita alla cronaca: «Totti spiega i motivi per cui se ne va dalla Roma».In Inghilterra si scomoda addirittura la BBC, che piazza la notizia di spalla a quella principale. Il DailyMail invece si sofferma nel titolo sulle dichiarazioni nei confronti della proprietà americana.«Lasciare la Roma è come morire. Totti si dimette e attacca la proprietà americana». Titoli identici, «FrancescoTotti lascia il suo ruolo di dirigente della Roma», (e persino la stessa foto!) per L’Equipe e France Football, che informano la Francia nel pallone della decisione di Totti di lasciare la Roma.

In Germania Kicker parla di «Big Bang nella città Eterna». In Portogallo invece ci si concentra sulle dichiarazioni che riguardano il nuovo tecnico romanista e O Jogo esagera, sostenendo che «Totti lascia la Roma e la ragione è l’arrivo di Paulo Fonseca». E addirittura negli USA, sebbene sia appena iniziata la giornata, interviene l’Idaho Statesman, che chiosa:«L’addio di Totti mette pressione alla proprietà americana».

 


Stadio e mercato, Pallotta rilancia così

IL TEMPO - BIAFORA - James Pallotta non ha nessuna intenzione di vendere la Roma. Il presidente giallorosso, descritto come più carico che mai dai suoi collaboratori più stretti, lo ha ribadito per l'ennesima volta con un comunicato apparso sul sito ufficiale del club e in via informale a chi gli domandava se fosse arrivato il momento di un disimpegno dopo le pesanti parole pronunciate da Totti in conferenza stampa.

L'imprenditore di Boston, a quasi otto anni di distanza dal closing con Unicredit del 18 agosto del 2011, ha smentito in molteplici occasioni qualsiasi trattativa perla cessione del club a fondi legati all’emiro del Qatar e ora guarda con fiducia alla prossima stagione, ben consapevole de gli errori commessi negli ultimi anni, da non ripetere più in futuro. La prima mossa per cercare di risollevare la squadra ed un ambiente con il morale ai minimi termini è stata la scelta di Fonseca, reduce dall'esperienza allo Shakhtar, nella quale ha portato a casa sette trofei in tre anni.

Nel faccia a faccia di Londra il tecnico portoghese ha conquistato Pallotta, pronto ad accontentarlo sul mercato grazie ad acquisti mirati effettuati in sintonia con Petrachi. Il direttore sportivo entrerà ufficialmente in carica dal 1° luglio, ma entro quella data avrà già dovuto risolvere l’arduo compito di reperire le plusvalenze necessarie per chiudere il bilancio nei limiti imposti dal Fair Play Finanziario. Nelle dichiarazioni di ieri Totti ha parlato di 50-60 milioni da reperire, cifra che dovrebbe essere raggiunta con le cessioni di Dzeko, Manolas e Ponce. L'attaccante argentino ha già trovato l’accordo con lo Spartak Mosca ed è pronto a salutare a titolo definitivo i colori giallorossi per poco meno di 8 milioni di euro. Non si registrano passi avanti per il trasferimento del centravanti bosniaco all'Inter, la cui offerta è ben distante dalla richiesta di Petrachi: il ds ha fatto chiaramente capire al collega Ausilio che i 10 milioni messi sul piatto non basteranno per arrivare alla fumata bianca. Ancora tutto da decidere il destino di Manolas, la cui mancata partenza (è corteggiato dal Napoli e seguito dal Milan) potrebbe essere colmata dall’addio di Florenzi, che ha un valore residuo a bilancio di appena 1,8 milioni di euro e rappresenterebbe una grossa plusvalenza.

Ultimo ma più importante tassello da sistemare è quel lo sullo Stadio della Roma, il cui iter per la costruzione è iniziato nel lontano 2012, prima con il conferimento a Cushman & Wakefield del mandato per l’individuazione dell’area dove costruire l'impianto e poi con la firma ad Orlando con il costruttore Parnasi per l'accordo su Tor di Valle. Domani andrà in scena il 109° incontro trai tecnici dei proponenti e quelli del Comune di Roma per trovare una quadra sulla Convenzione Urbanistica, ovvero il contratto che regola il rapporto tra Campidoglio e proponenti. L'intenzione della giunta Raggi è quella di portare a casa la realizzazione del progetto, senza arrivare ad una rottura nelle trattative, guidate in casa Roma da Baldissoni. A viale Tolstoj, dopo i quasi 90 milioni di euro spesi fino ad oggi - che si aggiungono agli oltre 200 investiti dalla proprietà tra acquisto e aumenti di capitale effettuati - per la futura casa dei romanisti c'è ottimismo, soprattutto dopo l’ultima riunione, nella quale sono stati compiuti alcuni passi in avanti. È da qui che si ripartirà domani, con la speranza di arrivare ad un accordo. «Non vedo l’ora che abbia inizio un nuovo futuro», ha detto Pallotta qualche giorno fa.


Baldini, l'uomo ombra che muove i fili da lontano

IL MESSAGGERO - FERRETTI - Impossibile avere un rapporto con chi non vuole avere rapporti, e soprattutto pensa di essere al centro di tutto e tutti. Non l'ha detta così, Francesco Totti, ma in sintesi è questa la spiegazione che ha dato alla sua storia-non storia, alla travagliatissima e al tempo stesso chiarissima relazione a distanza con il nemico Franco Baldini. Uno che in due anni non l'ha mai cercato, mai l'ha considerato, mai l'ha voluto incontrare per parlare realmente della Roma e che spesso e volentieri (praticamente sempre...) l'ha sorpassato a destra. Forte, ovviamente, del solidissimo legame con Jim Pallotta. Se Totti dopo trenta anni d'amore ha mollato la Roma, Baldini, il presidente ombra che muove i fili da lontano e che si vede nella Capitale ancor meno del suo superiore bostoniano, rappresenta la spinta più forte che il Capitano ha ricevuto per farlo.

LA DETOTTIZZAZIONE Un processo di detottizzazione cominciato, in pratica, otto anni fa e che ha visto il toscano sistematicamente in prima fila. Francesco, una volta smessi i panni del calciatore (A dire il vero mi hanno fatto smettere di giocare, e sapete pure chi è stato...), ha provato a lavorare per la Roma in giacca e cravatta ma, di fatto, non c'è mai riuscito: forse un po' per colpe dovute all'inesperienza, ma tanto per la forza contrastante di Baldini. Che, sia chiaro, aveva tutto il diritto di non condividere le scelte di Francesco: bastava dirglielo, però. E così dopo mesi e mesi di amara inutilità, Totti ha alzato le mani: via io o via lui, il bivio estremo. E, ovviamente, via io. Con Pallotta silenzioso spettatore, ammaliato da sempre dal canto del gallo toscano.

OBIETTIVO CENTRATO La Roma, anzi Baldini voleva arrivare esattamente a questo punto: deromanizzare la Roma (via De Rossi e Totti in meno di un mese: record probabilmente imbattibile), e Francesco, comportandosi da uomo non disposto ad accettare tutto, gli ha dato una mano. Dandola anche a se stesso, seppur con la morte nel cuore. Ma con grande, immensa dignità. Si è separato dalla sua Roma pur di non condividere, o solo tentare di farlo, idee e programmi con un dirigente che non ha mai stimato e che mai l'ha stimato. E che non ha perso occasione per ribadire pubblicamente al mondo, e a Totti in primis, la sua centralità.
Adesso, però, mister Franco non avrà più l'alibi dell'ingombrante Totti, non subirà più il peso di un uomo scomodo in squadra o in sede e, quindi, avrà tutte le possibilità per aiutare la Roma a vincere qualcosa. Cosa che non capita da molto prima di quel giorno di otto anni fa in cui, a Trigoria, il rientrante Baldini disse: non so perché sono tornato alla Roma. Tranquillo, adesso lo abbiamo capito tutti.