Roma, Roma, Roma 'azienda' de 'sta città

INSIDEROMA.COM - MATTEO LUCIANI - Finisce con un Daniele De Rossi visibilmente commosso, intento ad abbracciare uno per uno i compagni di squadra che si sono recati nella Sala Champions di Trigoria, l'ultima conferenza stampa, che potremmo sostanzialmente definire 'di addio', dell'attuale capitano giallorosso.

Una mattinata senza alcun senso, quella vissuta martedì scorso da chiunque abbia a cuore i colori della Magica.

Dapprima l'inaspettato annuncio tramite un comunicato ufficiale, non proprio il classico 'fulmine a ciel sereno' poiché ormai da troppo tempo a questa parte una fitta coltre di nubi pare essersi addensata sulla Roma e sui suoi progetti futuri, poi la conferenza stampa: un appuntamento che, per usare un termine boxistico, ha praticamente 'messo all'angolo' la dirigenza giallorossa, rappresentata nell'occasione dal CEO Guido Fienga, esposta in tutte le sue attuali contraddizioni e fragilità proprio dalle parole di Daniele De Rossi.

Come se non bastasse la dolorosa separazione da colui che forse meglio di chiunque altro ha rappresentato nell'ultimo quindicennio l'anima del calciatore-tifoso giallorosso, durante la conferenza stampa, il CEO Fienga ha liberamente scelto di definire, peraltro a più riprese, la Roma una "azienda": opzione quantomeno incauta (eufemismo), soprattutto in una circostanza del genere.

Per carità, la direzione in cui ormai il mondo del calcio sta andando è palese a chiunque; tuttavia, perché esporsi ad ulteriori e facili critiche in una giornata già sufficientemente caratterizzata da scelte impopolari? Possibile che nessuno della dirigenza del club fosse a conoscenza di questo particolare e non abbia invitato Guido Fienga a desistere dall'utilizzo di tale termine?

La Roma (purtroppo)non ha alle spalle una storia di grandi trionfi sulla scena nazionale e internazionale, ma di un elemento si è, anzi ormai forse meglio affermare 'si era', sempre potuta vantare al cospetto di chi collezionava successi, magari anche in modo poco chiaro (avete presente Calciopoli?): il rapporto viscerale tra sé e i propri sostenitori.

Ecco, tutto ciò adesso non c'è più (o quasi).

Non soltanto colpa dell'attuale gestione societaria, vista la pletora di 'odiatori professionisti' presenti all'interno dell'anomalo panorama romano e romanista; tuttavia, James Pallotta & co. certo hanno gran parte delle responsabilità riguardo a questo 'strappo' forse insanabile tra la Roma e la sua gente.

Si presentarono come coloro che avrebbero trasformato "la Roma da principessa a regina", parole del primo presidente made in USA, Tom Di Benedetto, nel lontano 2011 e oggi di tante belle promesse non resta che un pugno di mosche.

Nessun trofeo è entrato nel centro sportivo di Trigoria a partire dal closing dell'aprile del 2011 e dato ben più triste, l'entusiasmo che aveva accompagnato l'arrivo degli americani è stato progressivamente disperso in nome di plusvalenze e scelte spesso discutibili, tanto da essere oggi arrivati ad un clima di aperta contestazione.

E dire che ci sono stati dei momenti in cui questa "azienda", per usare la parola tanto cara al CEO Fienga, ha dato l'impressione di poter realmente spiccare il volo, tanto dal punto di vista sportivo quanto ambientale.

Si prenda ad esempio lo scorso anno: la Roma batte per 3-0 il Barcellona nel ritorno dei Quarti di Finale di Champions League anche grazie al supporto di un Olimpico infernale, che sostiene la squadra dal riscaldamento ai festeggiamenti post gara. Da tempo non si assisteva a una tale unione di intenti tra i tifosi e la loro Magica. A fine partita, proprio Daniele De Rossi ebbe modo di affermare che "sarebbe ora un delitto disperdere ciò che si è ricreato tra la Roma e la sua gente. Ripartiamo da qui".

E invece no.

L'ennesima rivoluzione, gli ennesimi addii di calciatori importanti, sacrificati sull'altare delle maledette plusvalenze. Un elemento che, anche in base a quanto affermato proprio da De Rossi in un passaggio della conferenza stampa di ieri, viene ritenuto anche da chi la Roma la vive da dentro uno dei motivi principali dell'anonimato a cui ci si sta sempre più abituando.

Altro possibile fattore di ritrovato entusiasmo era parso essere l'accostamento di Antonio Conte alla Roma; un po' come avvenne nell'estate del 1999, quando l'allora presidente giallorosso Franco Sensi scelse Fabio Capello quale sostituto in panchina del boemo Zeman, il nome dell'ex Juventus aveva dato l'impressione che il club, o forse meglio dire la "azienda", di Trigoria volesse dare vita a un 'new deal' fatto di più campioni e meno giovani di belle speranze da rivendere al miglior offerente.

Nulla di fatto, ancora una volta.

Antonio Conte ammette pubblicamente che il progetto della Roma non è vincente e tra pochi giorni dovrebbe firmare con l'Inter di Suning, gruppo cinese che, sin dal momento del proprio avvento all'ombra della Madonnina, ha investito pesantemente sul mercato per tentare di riportare i nerazzurri sul tetto d'Italia e d'Europa. Praticamente l'opposto di James Pallotta e soci.

Coloro che si incontrano con capitan Daniele De Rossi, 615 partite con la maglia della Roma, soltanto il 13 maggio per comunicare al ragazzo l'intenzione di non rinnovargli il contratto.


Roma, il futuro dice Gasperini e Petrachi

INSIDEROMA.COM – SARA BENEDETTI - In scia di Conte, si piazza Gasperini. La Roma guarda ormai da tempo alla prossima stagione, ma è consapevole di dover aspettare la fine del campionato per ufficializzare l'erede di Ranieri. Pallotta e il suo management, con la benedizione di Petrachi (il ds in arrivo dal Torino), sono pronti a convincere l'allenatore dell'Atalanta. Che avrebbe già dato il suo gradimento dopo l'uscita di scena dell'ex tecnico del Chelsea. Che non è mai stato legato allo sbarco dell'emiro Al Thani nella Capitale, anche se bisogna però registrare altri rumors sull'interesse di un ente privato qatariota e non del Qatar Sports Investment (iniziativa smentita dalla proprietà Usa). La Roma, già costretta ad attendere il finale di stagione per definire con Gasperini, non si può permettere di sprecare energie e anche settimane dietro a chi non ha ancora garanzie dal proprio club (e chissà quando le avrà). L'indecisione, a metà maggio, spesso risulta fatale. Meglio non rischiare per non ritrovarsi con la quarta-quinta scelta. È successo pure di recente. Con Di Francesco (primavera 2017). Avanti tutta, dunque, sull'allenatore dell'Atalanta. Il profilo, almeno per il management di Pallotta, è simile a quello di Conte. Nel metodo di lavoro e nella proposta calcistica. La preparazione atletica e l'addestramento tattico timbrano ogni sua annata. Ma ha bisogno di tempo per imporre la sua idea nello spogliatoio e in allenamento. E di interpreti su misura per trasferirla in partita.

IDENTIKIT PRECISO - Alcuni giocatori della Roma, in questo senso, è come se avessero giocato già per lui nella gara di domenica sera contro la Juventus. L'esempio è Florenzi a tutta fascia, ma anche Under passato in pochi secondi dallo sprint all'assist. Piccoletti, dunque, alla ribalta. In controtendenza con il calciatore tipo di Gasperini. Meglio alto, sempre che non abbia il talento di Gomez. Nella sua rosa, chiare le caratteristiche dei protagonisti: fisicità, rapidità, potenza, resistenza, corsa e duttilità. Nel suo 3-4-2-1 c'è chi potrebbe avere spazio e quindi considerazione. Dietro, oltre a Manolas (sempre se resterà), ha chance Fazio. Sui lati Florenzi, pure con pochi centimetri, è ok. Se sta bene, pure Karsdorp. Non Kolarov a sinistra, solo da centrale nella linea a 3. Il mercato si farà in corsia. In mezzo il play deve essere rapido. Nzonzi non lo è, ma è centrocampista di forza e sostanza. Pellegrini va bene in mediana, Zaniolo e ovviamente Cristante avanzano per l'abbondanza nel gruppo delle mezze punte da sistemare dietro al centravanti: El Shaarawy e Under (pure lui possibile partente) i più adatti, Perotti, Kluivert e in teoria Schick. Se Dzeko, come sembra, saluta, va cercato il sosia di Zapata. Petrachi, insomma, deve preparare l'ennesima rifondazione. Sempre puntando sui giovani e abbassando il monte ingaggi.


De Rossi-Roma: una storia chiusa

IL MESSAGGERO - TRANI - Dà appuntamento alla sua gente. E, come sempre, allo stadio. Non il 26 maggio, però, cioè nel giorno in cui si sfilerà definitivamente la maglia della Roma. La data è insopportabile per chi è giallorosso come lui (6 anni il ko con la Lazio nella finale di Coppa Italia). «Mi vedrete tra voi, magari intrufolato anche in un settore ospiti, con una birra e un panino. A tifare per i miei amici». Questo è da sempre Daniele. Da bambino e da calciatore ha fatto il tifoso. Ma lunedì si è lo stesso ritrovato improvvisamente fuori del cancello di Trigoria. Costretto o accompagnato, conta poco. Di sicuro, non per sua volontà. Percorso obbligato. «Lo varcai per la prima volta a undici anni, la mia macchina ormai ci arriva da sola». Il ceo Guido Fienga, in nome e per conto della proprietà Usa e non certo del vecchio o nuovo allenatore, l'ha depennato dalla rosa per la prossima stagione: «Ho incontrato con Daniele per comunicargli la decisione della società di non rinnovare il contratto come calciatore. Gli ho espresso la volontà di averlo nell'organico del club. Mi avrebbe fatto comodo avere un vice come lui nel prendere le decisioni in un contesto nel quale l'azienda si è resa conto di dover cambiare e correggere le scelte fatte nel recente passato per consentirci di ripartire. E' dirigente da un bel pezzo, lui non vuole dirlo. Preferisce ancora giocare e lo rispettiamo».

RISVEGLIO TRAUMATICOIl capitano ha detto no. Fiero nel respingere la proposta. «Mi sono sentito calciatore tutto l'anno nonostante i problemi fisici. Mi farei un torto se smettessi ora». Triste, però, per il trattamento ricevuto: «Un po' come Del Piero. Mi immaginavo zoppo con i cerotti che chiedevo di finire e loro di continuare, non è andata così, ma devo accettarlo sennò mi faccio male da solo. E vado avanti». Pure la Roma. E di fretta, anche nell'annuncio. Gelido, via Twitter e di prima mattina. Come per sbrigarsi. Stesa la piazza, come il numero 8 sdraiato, simbolo dell'infinito potenziale, sotto il cognome De Rossi sulla maglia giallorossa con cui i compagni entrano nella sala Champions. Finita è, invece, l'avventura di Daniele con la Roma. Totti resta in piedi vicino alla porta: c'è chi gli consiglia, sui social, di imboccarla per scappare con l'amico. Il vicepresidente Baldissoni se ne sta defilato su una sedia. C'è distanza con la società pure nelle inquadrature. A Fienga spetta l'introduzione. In primo piano De Rossi. In borghese, già senza la maglia della vita. Sportivo con il pullover girocollo grigio sotto la giacca bluette. Niente cravatta, rischierebbe di soffocare. «Se guardo i compagni scoppio». Il sorriso accarezza la commozione.

APPELLO ALLA PIAZZA - Nessun ripensamento, oggi come ieri: «Non tornerei mai indietro e non cambierei una virgola sulla decisione di restare sempre fedele alla Roma. Se avessi la bacchetta magica metterei qualche coppa in più nella mia bacheca ma la bacchetta non ce l'ha nessuno. Ho imparato dai tifosi ad amare la Roma. A loro chiedo di essere vicini ai giocatori. Sono persone per bene. Il romanismo è importante ed è in mani salde con Lorenzo e Alessandro, ma non gli deve essere chiesto di scimmiottare me e Francesco: sarebbe la cosa più sbagliata del mondo. Con la loro personalità devono portare avanti l'attaccamento alla maglia. C'è Cristante che viene da Bergamo, non è romanista, ma io ne voglio altri 100 così: dà l'anima in allenamento e in campo. La Roma ha bisogno di professionisti, poi se sono romanisti abbiamo fatto bingo». De Rossi si dedica ai tifosi: «Hanno dimostrato con gli episodi di tenere realmente a me. Io ho fatto la stessa scelta, non li ho cambiati per qualche ipotetica coppa che poi quando vai via non sai mai se vincerai. Ho avuto l'opportunità di andare dove si ipotizzava di vincere più che qui, ci siamo scelti a vicenda ed oggi sarebbe un dramma se uno dei due avesse preferito fare altro, vincere di più piuttosto che rimanere a vita con questi colori. Il nostro grande amore che continuerà sotto forme diverse». L'applauso esclusivo e indicativo di Dzeko, pure lui con la valigia. L'abbraccio individuale di Daniele ai compagni, avvisati lunedì via sms. Lungo con l'erede Florenzi. «Il 27 maggio ho alle 15 un aereo. Vado in vacanza. Mi è mancata: a dicembre sono rimasto qui a lavorare sul ginocchio». Il flash back porta nel futuro. «Poi sceglierò la nuova squadra».


Il timore di finire come l’amico Totti

IL MESSAGGERO - FERRETTI - Da una parte la voglia di continuare a giocare con la Roma; dall'altra la decisione di non rinnovargli il contratto, con il club pronto a far restare De Rossi in azienda (cit. Fienga) ma con mansioni inedite. Tutte fuori dal campo. Non si è arrivati ad un accordo perché Daniele vuole continuare a fare il calciatore («Ma loro non hanno voluto»), anche lontano dalla Capitale e forse nel nostro campionato (occhio all'estero, cioè Usa), e pure perché - analizzando il suo virgolettato - non condivide la gestione della Roma attuale. Da qui il suo no all'offerta formulatagli dal ceo Fienga di restare/entrare nei quadri societari.

Le sue parole aiutano a capire l'intera questione. «Il non rinnovo del contratto mi è stato comunicato ieri (lunedì, ndr), ma ho trentasei anni e non sono scemo. Ho vissuto nel mondo del calcio: se nessuno ti chiama per un anno o per dieci mesi, nemmeno per ipotizzare il contratto, la direzione è quella». Nessuno, insomma, a Trigoria si è preoccupato di affrontare la faccenda nei tempi giusti. Ci ha provato un paio di volte l'ex ds Monchi («Mi aveva rassicurato»), che però a marzo ha fatto i bagagli ed è tornato in Spagna. E da quel momento in poi, come riferito da Fienga, nella Roma ha regnato tanta, troppa confusione. «Ci siamo parlati poco quest'anno, un po' mi è dispiaciuto. Le distanze a volte creano questo... E spero che si migliori perché sono un tifoso della Roma». Chiarissimo il riferimento al presidente James Pallotta, che da oltre un anno non mette piede a Trigoria. Con una frecciata anche a chi rappresenta il bostoniano nella Capitale e che, al di là del mea culpa di Fienga, non ha preso in considerazione la faccenda nei tempi e con i modi dovuti. Problema sottovalutato? Troppo rinviato, piuttosto. «Non ho rancore nei confronti di nessuno, parlerò col presidente un giorno... E con Franco Baldini (sdoganato per la prima volta in Casa Roma, ndr)». Baldini, dunque, esiste. E da lontano detta la linea e suggerisce molte mosse a Pallotta. Una figura che nell'azienda (AS Roma, si chiama) non c'è, ma in realtà c'è. Eccome. «Io a un giocatore come me avrei rinnovato il contratto, perché quando ho giocato ho fatto bene e nello spogliatoio non creo problemi, anzi li risolvo. Se fossi un bravo dirigente, come dice Fienga, mi sarei rinnovato il contratto».
IL LAVORO SPORCO - Poi, una frase che non lascia spazio a dubbi sui motivi che l'hanno portato a dire no alla scrivania. «Fare il dirigente non mi attira particolarmente, anche se qui a Roma avrebbe un senso diverso. La sensazione è che, anche guardando chi mi ha preceduto, ancora si possa incidere poco (e guardava Totti... ndr), si possa mettere poco in un ambiente che conosciamo bene. Faccio fare il lavoro sporco a Francesco e un giorno se cambierò idea lo raggiungerò. E' vero che mi accoglieranno a braccia aperte, ma mi piacerebbe fare il lavoro che vorrei fare». Traduzione: non voglio fare la fine di Totti, che due anni dopo il suo ingresso in società non ha ancora un ruolo operativo definito. Parole che alimentano le ombre sull'attuale ruolo del Capitano, ma che - osservando la realtà - non fanno una piega. Totti era lì, a due passi da Daniele. In silenzio, un po' defilato. «Oggi è un giorno triste. Oggi si chiude un altro capitolo importante della storia dell'As Roma, ma sopratutto di Roma... della nostra Roma», il post di Francesco più tardi.
Infine, il tasto probabilmente più doloroso per la piazza. «Un piccolo dispiacere che ho è che negli anni tante volte ho avuto la sensazione che la squadra diventasse molto forte, molto vicina a quelli che vincevano, poi è stato fatto un passo indietro. Sono leggi del mercato: alcuni possono permettersi una macchina ed altri macchine diverse. Non posso farne una colpa, non entro nei numeri ma spero che la Roma con lo stadio possa diventare forte».


Giannini: «Ma il 26 maggio vada al mare con la famiglia»

IL MESSAGGERO - CARINA - Giuseppe Giannini, come Francesco Totti, è uno dei pochi che sa realmente quello che sta provando in queste ore De Rossi. Anzi, il Principe - rispetto ai suoi successori - visse addirittura una duplice beffa. Perché impossibilitato a salutare la tifoseria in campionato all'Olimpico il 12 maggio del 1996 contro l'Inter (era squalificato), lo fece con una festa postuma (nel 2000), rovinata da un mix di amore nei suoi confronti e rabbia della tifoseria verso la precedente gestione, a tre giorni dalla vittoria dello scudetto della Lazio.

Trova analogie con il suo addio?
«Tante ma è trascorso tanto tempo e alcune persone non ci sono più. Sarebbe indelicato».
Come ha reagito quando è venuto a conoscenza della notizia? «Male. Sono nervoso, amareggiato, deluso. Un altro pezzo di storia che viene scaricato e allontanato. Mi dispiace, meritava ben altro. Uno che fa oltre 600 presenze con la Roma non può essere salutato con mezz'ora di conferenza stampa o un ringraziamento via tweet. Mi auguro solo che non sia un'indicazione del prossimo tecnico. L'unica cosa che mi ha fatto sorridere è quando Daniele ha detto che la sua auto va in automatico a Trigoria. Mi ha rubato una frase di 20 anni fa. Da casa impiegavo 12 minuti e posso raccontarle anche come erano posizionate le buche».

Dopo l'addio, lei fece un'esperienza allo Sturm Graz e poi accettò offerte dal Napoli e dal Lecce. E fu rimproverato.
«In molti si dimenticano che lo feci soltanto per Mazzone. A Napoli, quando il mister venne allontanato dopo un mese, andai subito in sede e rescissi il contratto».

Che cosa consiglia a De Rossi?
«Di andarsene al mare con la famiglia il giorno di Roma-Parma. Sarebbe un segnale forte. C'è poi il rischio, come accadde con me, che un giorno di festa si trasformi in una contestazione forte nei confronti del club. Tanto la gente che gli vuole bene, ora che lo sa, andrà in trasferta per salutarlo».

In città, alcuni lamentano una presa di posizione di Totti nella vicenda. Condivide la critica?
«Francesco sa come la penso. Tre mesi fa ci siamo incontrati e mi sono permesso di dargli qualche consiglio. Su tutti, quello di andare dal presidente, parlargli e chiedere un ruolo importante. Ognuno poi fa quello che ritiene più opportuno. Se a lui sta bene così...»


De Rossi, l’addio del gladiatore nella città che perde i simboli

LA REPUBBLICA - D'ALBERGO, MONACO - Per un giorno la capitale pallonara ha smesso di affannarsi dietro al calciomercato, al totoallenatore, al «famo ‘sto stadio». Ma che importa della Champions, dell’Europa. Riflettori puntati su Daniele De Rossi. Sul biondo di Ostia che per anni è stato «Capitan futuro». Un eroe in perenne attesa della fascia di Francesco Totti che, dopo solo due anni al timone, va già riposto nel cassetto. Giù lacrime per ogni video sui social, mai tanto beffardi: la vena sul collo del gladiatore, il rigore nella remuntada al Barcellona, le Coppe Italia e la Supercoppa, le corse sotto la Sud, il mondiale con gli Azzurri, i derby, quelle espulsioni evitabili ma genuine, la barba che un tempo non c’era e il tatuaggio sul polpaccio. Un segnale stradale inequivocabile: «Attenzione, scivolate in arrivo». Ecco. L’ultimo tackle, davanti al resto della squadra, De Rossi lo ha condito con parole pesanti. Sconvolgenti per i meccanismi della Roma e di Roma. L’addio stavolta è indigesto. Quello di Totti, seppur imputato ai litigi con l’ex mister Spalletti, è stato metabolizzato. Troppi 40 anni per continuare a stupire. Il saluto di De Rossi, invece, è uno schiaffo. È la privazione inattesa del simbolo. La bandiera che, senza un perché, smette di sventolare. Peraltro nel nome di una rivoluzione a cui ha già detto «no» Antonio Conte, stracorteggiato big della panchina. Inevitabile effetto del commiato, la presa di coscienza collettiva. Il tifo giallorosso, forse mai tanto compatto, chiede trofei. E, siccome i titoli non sono mai arrivati con la gestione americana di James Pallotta, fino a ieri si era accontentato del trofeo della romanità: «De Rossi il nostro vanto». Ora il petto è sgonfio. Certo, in rosa ci sono Florenzi e Pellegrini, romani e romanisti. Ma anche la forza dei numeri e della cabala. “Danielino” si ritirerà il 26 maggio contro il Parma: la data è la stessa della finale di Coppa Italia persa contro la Lazio nel 2013 e l’avversario lo stesso di uno scudetto lontano 18 anni. Gli stessi che De Rossi ha passato in giallorosso. Ora il conto si azzera, con i romanisti costretti a un’eterna pubertà emotiva e calcistica. Sempiterni adolescenti, gli ultrà sono confusi. Hanno convocato un sit in a Trigoria per sabato mattina. Ma la squadra sarà in Emilia, per la sfida con il Sassuolo, e gli uffici della società sono all’Eur. I dirigenti, appunto. A loro quest’anno si concede solo la vittoria del nocciolinaro cacciato e poi riammesso in curva. Perché l’annata è stata la peggiore dell’era statunitense: nel giro di un anno la Roma è passata dalla semifinale di Champions al congedo del guerriero. Che non smetterà, perché a 35 anni si sente ancora calciatore. Non colletto bianco come avrebbe voluto il club. Andrà al Boca di Maradona? Si sta preparando a un paradossale finale americano? Si vedrà. De Rossi, concentrato di passione giallorossa con un papà mister della primavera, per i tifosi resta un modello. I primi calci sulla spiaggia, la fama, il privilegio di difendere i colori della sua città. E poi la vita privata di un mediano speciale, rimasto uomo normale: i figli, il travagliato matrimonio con Tamara Pisnoli, nome finito a più riprese sulle cronache giudiziarie, l’amore con l’attrice SarahFelberbaum. Un incontro decisivo per il salto in quella maturità che per tanti dei suoi tifosi adesso è un miraggio. Il distacco fa male, risveglia gli istinti di chi aspetta stadio e vittorie da dieci anni. Tutto fermo, tranne le vele sangue e oro. Ammainata quella di Totti, sotto con De Rossi. Per Giovanni Malagò, numero uno del Coni, DDR resterà «un gigante». In suo nome il romanistissimo Valerio Mastandrea propone «una festa in ogni quartiere». Alessandro Gassmann rilancia: «Una ogni anno». Magari, dicono i tifosi, dopo aver fatto «calare il sipario su questa società». Senza bandiere, arriveranno gli striscioni. E una contestazione che pare già scritta.


Il 26 festa, ma ora è contestazione

IL TEMPO - BIAFORA - Più di ventimila biglietti venduti in meno di dieci ore e Stadio Olimpico praticamente sold-out. Per l’ultima partita di De Rossi con la maglia della Roma, si è ripetuto quanto accaduto con l’addio al calcio di Totti. I tifosi giallorossi, immediatamente dopo il messaggio sui social che annunciava la fine dell’era DDR, hanno preso d’assalto le ricevitorie e il sito del club (mandando in tilt il sistema d’acquisto) per assicurarsi i biglietti della sfida con il Parma. In molti resteranno senza l’agognato tagliando, ma a Trigoria la speranza è quella di poter mettere in vendita i cinquemila posti dei Distinti Nord Ovest, solitamente assegnati agli ospiti. Oltre al clima, un misto tra festa e rammarico, che ci sarà il 26 maggio, con l’orario che sarà definito dalla Lega all’inizio della prossima settimana, in città c’è un’aria di pesante contestazione nei confronti della dirigenza e di Pallotta. La tifoseria, che con il Sassuolo non risparmierà di certo attacchi al presidente americano, ha intenzione di manifestare da subito all’esterno del Bernardini il proprio dissenso per le modalità del congedo di De Rossi, idolo di un popolo che appena due anni fa aveva salutato Totti, altro simbolo eterno. Saranno giorni bollenti nella Capitale.


De Rossi addio: la Roma cancella il passato

IL TEMPO - BIAFORA - Trentadue minuti struggenti ed emozionanti. De Rossi, accompagnato dal CEO Fienga e omaggiato da squadra, staff e dirigenza presenti nelle prime file della sala stampa, ha parlato in conferenza per commentare la fine della sua epoca alla Roma. Queste le parole del capitano giallorosso, che hanno fatto versare qualche lacrima all’erede Florenzi, visibilmente emozionato:

Cambierebbe qualcosa della sua carriera alla Roma?
Farei delle scelte diverse riguardo episodi quotidiani, alcune cose dette o alcune cose di campo. Per la decisione di rimanere per sempre fedele alla Roma non cambierei una virgola. Se avessi la bacchetta magica metterei qualche coppa in più in bacheca, ma non ce l’ha nessuno. Sono fortunato perché ho fatto il lavoro che mi piaceva nella squadra che amo tantissimo.  I tifosi non la cambierebbero con una vittoria. Hanno dimostrato in tanti anni di tenere veramente a me. Io ho fatto la stessa scelta, non li ho cambiati per qualche ipotetica coppa. Ci sono stati 3-4 anni in cui effettivamente ho avuto l’opportunità di andare in squadra che poteva vincere più della Roma. Ci siamo scelti a vicenda. C’è un grande amore che continuerà, anche se sotto forme diverse. Non escludo di andare, magari con un panino e con la birra, in qualche settore ospiti a tifare per i miei amici. Ho imparato da loro ad amare la Roma. Gli dico di stare vicino ai giocatori. E’ un gruppo di persone per bene e meritano grande sostegno.

Il romanismo è in mani salde con Pellegrini e Florenzi.  Che cosa ha pensato quando le hanno comunicato la scelta?
Mi è stato detto ieri, ma non sono scemo. Il mondo del calcio l’ho vissuto, lo avevo capito. Lo sapevamo tutti quanti che ero in scadenza, se non c’è mai un colloquio… Con Monchi avevamo parlato e mi aveva rassicurato, senza di lui non sono andato più a chiedere nulla a nessuno. Questo scombussolamento societario forse non ha aiutato.

Il suo futuro è già deciso?
Ringrazio Fienga e Massara ,per l’offerta e per come mi hanno trattato. La sensazione che ci fosse grande affetto e stima reciproca era forte e che forse si poteva andare avanti per uno o due anni da calciatore, ma è una decisione che si prendere globalmente e come sappiamo la società è divisa in più parti. Sono cose che vanno rispettate e accettate. Io a Roma non posso uscire diversamente da questa maniera. Riguardo alle squadre ho sentito qualcosa, ma non ho chiesto niente a nessuno. Mi sono sentito calciatore tutto quest’anno anche se ho avuto problemi fisici e ho ancora voglia di giocare a pallone. Mi farei un grande torto se smettessi.

Preclusioni?
Vediamo, è una cosa completamente nuova.

Non pensa che doveva decidere lei sull’addio?
Non sono d’accordo e l’ho detto anche a Totti. Ci sta una società che sta li per decidere chi deve giocare e chi no. Possiamo discutere ore sul fatto che secondo me sarei potuto essere importante, le decisioni poi le prende la società. Qualcuno un punto lo deve mettere. Il fatto che ci siamo parlati poco quest’anno un pochino mi è dispiaciuto, ma le distanze a volte creano anche incomprensioni di questo genere. Spero che la società migliori in questo perché ci tengo, resto un tifoso.

Cambierà idea sul voler allenare? 
Ho la sensazione che potrebbe piacermi, fare il dirigente non mi attira particolarmente, qui a Roma poteva avere un senso diverso. Però, anche guardando chi mi ha preceduto, penso si possa incidere poco. Faccio fare il lavoro sporco a Totti, spero che prenda più potere possibile e poi magari, se cambierò totalmente idea, lo raggiungerò.  C’è distacco con la società? Un po’ sì, perché io voglio giocare e loro non vogliono. Non posso essere felice, non ho rancore nei confronti di Fienga e di Massara. Un giorno magari parlerò anche con Pallotta e con Baldini, non ho problemi. Fienga dice che io sono già un bravo dirigente, ma se io fossi stato un dirigente avrei rinnovato il contratto a uno come me. Quando ho giocato mi sono difeso e l’ho fatto abbastanza bene. Non abbiamo mai parlato di soldi.

Perché tutti questi addii dopo la semifinale di Champions? 
Negli anni ho avuto la sensazione che la squadra diventasse davvero forte, poi sempre più forte, poi molto vicina a quelli che vincevano per poi fare sempre un passo indietro. Queste sono leggi del mercato. Spero che la Roma, magari con lo stadio, diventi forte tanto quanto le altre. La rosa è valida, ha tanti giocatori giovani da cui si può ripartire, è una squadra che ha futuro e la piazza è calda quanto necessario.


Zaniolo resta, Dzeko e Manolas con le valigie

IL TEMPO - BIAFORA - Quelli di De Rossi e Ranieri, assente nella conferenza del capitano per un impegno all’estero, potrebbero non essere gli unici addii dell’estate. A Trigoria, aspettando che si insedi Petrachi, si sta pianificando un’importante rivoluzione da attuare nel prossimo calciomercato. I maggiori indiziati a salutare la Roma sono Dzeko e Manolas. L’attaccante bosniaco ha ricevuto diverse richieste dall’Inghilterra, ma, poiché vorrebbe restare in Italia, le ha messe in stand-by in attesa della proposta dell’Inter. Il centrale greco ha una clausola rescissoria da 37 milioni e, dopo essersi affidato a Raiola, è probabile una sua partenza. Da chiarire la posizione di Pellegrini, che può farcela per il Sassuolo: il centrocampista può liberarsi mediante il pagamento della clausola da 30 milioni. Per decidere il futuro di Under è previsto un appuntamento con l’agente che ne cura gli interessi nei prossimi giorni. Chi invece è sicuro di rimanere, nonostante il forte interesse del Tottenham, è Zaniolo: “A fine anno si metteranno a tavolino il mio procuratore e la società ma sono sereno, vedo il mio futuro alla Roma, voglio restare e farò di tutto per onorare questa grandissima maglia”. I tifosi hanno ora bisogno di nuovi giocatori come lui a cui legarsi.


De Rossi se ne va. La Roma lo scarica, nessun rinnovo

LA GAZZETTA DELLO SPORT - Beep. Il display che s’illumina, il messaggino che racconta l’ultima storia. «Volevo essere io a dirtelo e non fartelo sapere da altri. A fine stagione lascerò la Roma, ma sono orgoglioso di essere stato il tuo capitano». Anche questo in fondo è stile: avvisare i propri compagnidi quello che poche ore dopo – con un tweet di primo mattino – sarebbe stato di dominio pubblico: il club giallorosso non rinnova il contratto in scadenza e Daniele De Rossi se ne va a giocare altrove. L’onda mediatica che si crea è di quelle impossibili da surfare senza restare incagliati nelle critiche. Non basta certo il grazie di Pallotta («Le porte per lui rimarranno sempre aperte con un nuovo ruolo in qualsiasi momento deciderà di tornare») a placare l’universo giallorosso che, dopo il tempestoso addio di Totti, ha perso un altro punto di riferimento. Per De Rossi, da oggi, il futuro è da scrivere. «Ho sempre detto che potrebbe piacermi fare l’allenatore, prima però devo studiare. Il dirigente non mi attira particolarmente, ma qui a Roma poteva avere un senso diverso. La sensazione però, anche guardando chi mi ha preceduto è che si possa incidere poco. Faccio fare il lavoro sporco a Francesco, spero che prenda più potere possibile, ed un giorno se cambierò totalmente idea lo raggiungerò».


La vena di Danielino e la sintesi da trovare fra ragione e cuore

LA GAZZETTA DELLO SPORT - «Ho un unico rimpianto, poter donare alla Roma una sola carriera». In questa frase piena di sentimento c’è tutto il «romanismo» e l’amore di Daniele De Rossi per la maglia che è stata la sua seconda pelle. Ieri la Roma, con una scelta impopolare, ha chiuso le porte alla carriera da giocatore e spalancato a De Rossi quelle della società nella vesti future che lui preferirà: dirigente o tecnico. Daniele valuterà più avanti, ora vuole continuare a giocare. C’è una distanza emotiva e di empatia tra la società e i suoi tifosi – evidenziata nella gestione degli addii di Totti e De Rossi – che la Roma non può sottovalutare e farà bene a risolvere. Il tifoso della Roma ha sopportato la bacheca semi vuota perché nel frattempo poteva mostrare orgogliosamente al mondo come trofei i suoi giocatori simbolo e le loro scelte di amore e fedeltà alla maglia. Nel calcio moderno senza più bandiere i romanisti sventolavano Totti e De Rossi, romani e romanisti: Romolo e Remo allattati dalla Lupa. De Rossi ha rappresentato l’anima testaccina, la volontà, la grinta, il cuore, il tifoso in campo con una sola esultanza replicata mille volte: la vena che si gonfiava dopo ogni gol suo o di un compagno.


De Rossi e Totti, due destini che si uniscono

LA GAZZETTA DELLO SPORT - Da capitan futuro a capitan infinito, il volo è stato troppo breve. Per tecnica, intelligenza e senso di appartenenza, Daniele De Rossi avrebbe meritato vent’anni da capitan presente, non i due finali che ha vissuto tra poche gioie e tanti travagli. Mettiamola così: il tifoso romanista ha goduto per un buon quindicennio del privilegio di tifare una squadra con due capitani, entrambi romani e romanisti, profondamente diversi ma ugualmente innamorati. Totti, capitano per talento. De Rossi, capitano per carisma. L’uno non ha mai avuto la «vena» dell’altro; l’altro non ha mai posseduto la sua grazia. Si sono completati, in un connubio irripetibile. A De Rossi un ruolo operativo lo hanno proposto subito, ma lui ha mangiato la foglia: «In questa società da dirigente non potrei incidere». Ed è stata questa, forse, la vera pietra tombale posata su questa Roma dei Pallotta e dei Baldini, lontani dagli occhi e, soprattutto, dal cuore dei romanisti