Quel talento sregolato che piace anche a Totti

IL MESSAGGERO - SATTA - Un successo c'è già: è la benedizione del Capitano. «Abbiamo mostrato il film in anteprima assoluta a Francesco Totti. E lui, alla fine, ci ha detto di aver riconosciuto il mondo del calcio. Alla proiezione c'era anche la moglie Illary che aveva gli occhi lucidi e ci ha scritto poi un bellissimo messaggio. Porteremo al cinema il nostro primogenito Christian, capirà molte cose, ci ha promesso la coppia d'oro del calcio italiano. Se Totti avesse bocciato il nostro lavoro, avremmo rinunciato a uscire nelle sale», raccontano ancora emozionati i registi Sydney Sibilia e Matteo Rovere che questa volta hanno il ruolo di produttori: il loro film Il campione, diretto dall'esordiente Leonardo D'Agostini, interpretato magnificamente da Stefano Accorsi e Andrea Carpenzano, sbarcherà nei cinema il 18 aprile. E sarà destinato a portare una ventata di originalità e professionalità nel cinema italiano, troppo spesso ripetitivo e penalizzato da sceneggiature zoppicanti.

L'AMICIZIA «Abbiamo voluto raccontare la storia di una rockstar: e in Europa le vere rockstar sono i calciatori», spiega il regista, romano «e romanista», 41 anni. Storia di formazione, ritratto di una bella amicizia, scambio di esperienze e sentimenti, il film ruota intorno a un attaccante della Roma, giovanissimo e arrogante, vergognosamente ricco e viziato (il 23enne Carpenzano) che, dopo l'ennesima bravata, una rissa in discoteca, viene costretto dalla Società sportiva a studiare con un professore (Accorsi, 48) incaricato di ripulirgli l'immagine, farlo studiare e portarlo a prendere la maturità. I due sono diametralmente opposti: il ragazzo, che quanto a sparate sembra un mix tra Mario Balotelli e Antonio Cassano, vive circondato di modelle e scrocconi in una villa faraonica, ha il garage pieno di Lamborghini e Ferrari mentre il suo precettore è dimesso, riservatissimo e provato dalla vita. Scopriremo che si porta dietro un doloroso segreto. Ma dopo le prime diffidenze si stabilirà tra loro un profondo legame fatto di complicità, comprensione reciproca, amicizia indistruttibile. E il giovane sarà pronto ad affrontare la sua sfida più difficile, che per una volta non si disputa sui campi di calcio. «Ho accettato di interpretare Il campione perché sono rimasto colpito dalla qualità della sceneggiatura», spiega Accorsi, «la storia descrive infatti un toccante e a volte doloroso rapporto tra un padre e un figlio. Anch'io, alle medie, ho avuto un paio di professori illuminati che mi hanno aperto gli occhi sul mondo».

LA SMANIA Carpenzano, romano di San Giovanni-Ostiense (l'abbiamo già visto in Tutto quello che vuoi e La terra dell'abbastanza) e anche romanista (ma lo ammette con un sospiro, dati i tempi), lunghi capelli e orecchino, confessa che all'inizio non avrebbe voluto interpretare il film: «Non so giocare a pallone e non mi riconoscevo nel mio personaggio, abituato a vivere sopra le righe e affamato di successo come tanti idoli del calcio», racconta. «Io non sono così, non ho la smania di arrivare. Ma poi il regista e i produttori mi hanno convinto e ora sono molto contento dell'esperienza».

TRIGORIA Il film (interpretato anche da Massimo Popolizio, Anita Caprioli, Ludovica Martino, Mario Sgueglia, Camilla Semino Favro) si svolge in buona parte a Trigoria, la mitica sede della Roma A. S. «Le riprese si sono svolte d'estate, quando i calciatori erano in vacanza», raccontano Sibilia e Rovere. «La Società ha suggerito delle piccolissime modifiche al copione e poi ci ha aperto generosamente le porte». Emozione nell'emozione: «Abbiamo girato nelle docce, negli spogliatoi, nelle palestre dei veri campioni», aggiunge D'Agostini. «L'entusiasmo della Roma ha poi contagiato altre squadre come Chievo, Fiorentina, Pisa e Sassuolo che hanno accettato di comparire nel film».


Champions League, Ajax-Juventus: fermati 120 tifosi bianconeri

IL MESSAGGERO - NIJHUIS - Gli ultrà italiani, quando si mettono in viaggio, cercano comunque di farsi riconoscere. Apprensione per il prepartita di Ajax-Juventus molto caldo ad Amsterdam, dove prima un centinaio di tifosi della Juventus sono stati fermati dalla polizia e poi una frangia di hooligan locali ha ingaggiato scontri con la polizia nelle immediate vicinanze dello stadio. Il gruppo degli italiani posti in stato di fermo, era in possesso di fuochi d'artificio, manganelli, spray al peperoncino e un coltello e si trovava nelle vicinanze della Johan Cruijff Arena, dove si è disputata l'andata dei quarti di finale di Champions. Sempre stando alla ricostruzione dei media olandesi che citano fonti vicine alle forze dell'ordine, i tifosi bianconeri sono stati fermati e trasferiti in autobus in un centro di detenzione. La notizia dell'avvenuto fermo degli juventini è stata data in Italia dal ministro dell'Interno Matteo Salvini che, in diretta Facebook, ha riferito di 120 supporter bianconeri fermati perché «avevano oggetti non esattamente appropriati per andare ad uno stadio». Salvini si è poi rivolto ai tifosi che si trovavano nella capitale olandese invitandoli a «tenere la testa sulle spalle». «Il calcio è bello, lo sport è bello - ha aggiunto - però a mani pulite a volto pulito senza far casino, mi raccomando». In serata gli ultrà sono stati poi rilasciati con il foglio di via immediato.

I FATTI La situazione sarebbe degenerata quando un folto gruppo di ultrà juventini avrebbe acceso fumogeni ed esploso petardi nelle vicinanze dello stadio, scatenando la reazione della polizia olandese che ha risposto con gli idranti. Molti tifosi bianconeri, inoltre, sarebbero arrivati in Olanda senza possedere il biglietto per la partita. La polizia è intervenuta anche in metropolitana dove sono stati trovati tifosi che portavano bastoni, mazze di ferro, bombolette di spray urticante e altri oggetti atti all'offesa. A collaborare con la polizia olandese anche agenti della Digos della Questura di Torino, partiti al seguito dei tifosi bianconeri. Tremila quelli con regolare biglietto per il settore ospiti (61 euro il prezzo del tagliando. Costerà 75 quello per l'Allianz Stadium al ritorno), cinquemila il numero approssimativo reale compresi i senza tagliando e il rischio di disordini era quindi elevato.

HOOLIGAN OLANDESI Le due tifoserie non sono mai venute a contatto, ma ad innalzare la tensione nei pressi dello stadio hanno contribuito gli hooligans dell'Ajax. È stata un'ora molto calda che ha costretto la polizia a ricorrere all'uso di idranti e lacrimogeni e a utilizzare le squadre a cavallo per disperdere i più violenti. All'arrivo degli autobus con le due squadre, la situazione era tornata alla normalità e quasi tutti i tifosi della Juventus erano già stati fatti entrare nel settore dell'Arena destinato a loro. Tifosi olandesi abbastanza scatenati anche martedì notte: un gruppetto di ultrà dell'Ajax ha infatti esploso petardi vicino allo stadio dove era in ritiro la Juventus per disturbare il sonno di Cristiano Ronaldo e compagni («Ma i miei giocatori non dormono lo stesso», aveva sdrammatizato Allegri in conferenza stampa). I tifosi dell'Ajax sono stati affrontati nei pressi dello stadio dalla polizia a cavallo che, con lacrimogeni e idranti, ha disperso i facinorosi. Non si segnalano feriti.


Stadio, il fronte del no agita M5S: maggioranza a rischio all'Eur

IL MESSAGGERO - «Rischiamo di fare la fine del Municipio XI», dice un consigliere di maggioranza dell'Eur che non sa ancora come finirà oggi. Perché nel pomeriggio si vota in aula l'annullamento dell'interesse pubblico sull'ecomostro di Tor di Valle, già approvato in commissione Urbanistica. Morale: un'altra giunta pentastellata balla sul Titanic. È quella del Municipio IX, l'Eur, che in comune con l'amministrazione appena sfiduciata di Mario Torelli ha un territorio interessato dall'opera più divisiva in assoluto: lo stadio. Solo che Torelli è riuscito a far calendarizzare la delibera dopo la sua mozione di sfiducia, e ora da delegato del sindaco potrebbe farla passare più facilmente. All'Eur, no. All'Eur si vota ancora. Uno vale uno.
GIUNTA SPACCATA La maggioranza è di tredici, in dodici votarono l'interesse pubblico nel 2017 e nel frattempo due consiglieri hanno cambiato idea. Sono Paolo Barros e Raffaele Di Nardo, quello che in commissione Urbanistica disse senza tanti giri di parole: «Il vero parere tecnico sullo stadio ce lo ha dato la Procura». Come dire, svegliamoci. Stamattina ci sarà un'altra riunione perché sulla delibera Stop stadio targata Cristina Grancio e Stefano Fassina, il voto del M5S non sarà compatto. Anzi, alcuni consiglieri hanno chiesto di poter esprimere un voto di coscienza. Come hanno fatto in giunta: il vicepresidente della giunta Roberto De Novellis e l'assessore Fiorella Caminiti si sono astenuti. Buona parte della maggioranza, dopo quello che ha scoperto la magistratura, oggi potrebbe gridare il proprio liberatorio No allo stadio. Sono contrari quelli del Pd, quelli di Fratelli d'Italia, e siamo a sette in aula, più Paolo Mancuso, Paolo Barros, Raffaele Di Nardo, Rosalba Ugolini ma anche il prudente presidente della commissione Mobilità, terrorizzato dall'impatto dello stadio, Giulio Corrente. Roberto Tranquilli medita un gesto eclatante: potrebbe uscire dall'aula. Fanno in tutto tredici. Game over.
«Sapete qual è il bello? Che non è nemmeno un voto vincolante per il Comune. Il nostro no è un'espressione genuina degli interessi del territorio come deve essere», sottolinea Paolo Mancuso che ricorda ai colleghi capitolini: «Pensano ancora alle penali? A fine 2017 ci convocarono tutti da Lanzalone, fu lui a dirci che non c'era nessuna penale». Intanto sul destino dell'XI Municipio la Raggi vuole proporre il sequel di un film già visto a Montesacro quando la presidente, Roberta Capoccioni, sfiduciata anche lei in Consiglio dopo l'abbandono di alcuni consiglieri, fu incaricata dalla sindaca di svolgere a titolo gratuito una consulenza per l'amministrazione. Anche alla Magliana probabilmente andrà così dal momento che ogni potere dopo la caduta della giunta e del consiglio è tornato in capo al Campidoglio e la sindaca giuridicamente non può nominare commissario del Municipio lo sfiduciato Torelli. Ma come fatto con la Capoccioni, può tenerlo lì (sempre che lui accetti) per aiutare la squadra comunale a gestire un territorio molto ampio. Di certo l'XI mini-comune tornerà al voto nel 2020 con la finestra elettorale delle amministrative.


Ultimo Dzeko. Cerca un gol all'Olimpico prima di lasciare Roma

LEGGO - BALZANI - Sette partite in un mese e mezzo. Poi la storia, durata 4 anni intensi tra alti e bassi, tra Dzeko e la Roma quasi sicuramente si interromperà vista pure la scadenza di contratto al 2020. Il bosniaco negli ultimi mesi ha manifestato più di un segnale di nervosismo per un divorzio non voluto, ma ormai sembra essersi arreso e in cerca del lieto fine. Innanzitutto tornando a segnare un gol all'Olimpico. Un evento che, in campionato, non si verifica addirittura dal 28 aprile 2018. Per non festeggiare l'amaro anniversario a digiuno Dzeko ha due occasioni: la gara di sabato con l'Udinese e quella del 27 con il Cagliari. Ma lo score di Edin è stato misero pure in trasferta: sette gol in 25 partite. Quattordici in meno rispetto a Piatek e Quagliarella, la metà di Immobile. Peggio in carriera Dzeko ha fatto solo nell'ultima stagione al City (4 gol in 22 partite). Ha tempo ancora 7 partite Edin per provare a raggiungere la doppia cifra e centrare un piccolo record. Manca solo una marcatura, infatti, per toccare quota 86 gol complessivi in maglia giallorossa. In questo modo la Roma diventerebbe la squadra con la quale il bosniaco ha segnato di più in carriera (85 Wolfsburg e 72 City). E dai suoi gol passano pure le speranze di agguantare l'ultimo posto sul treno Champiions. Una competizione che ha visto il miglior Dzeko nelle ultime due stagioni: 13 gol in 18 partite. Un torneo che l'attaccante potrebbe non giocare la prossima stagione. È sempre più concreta, infatti, la possibilità di un ritorno in Premier. Destinazione Londra, sponda West Ham dove ritroverebbe il suo ex allenatore Pellegrini. Gli Hammers sono pronti a offrirgli un triennale da 4,5 milioni. Poi ne servono altri 18-20 per soddisfare la richiesta della Roma che al 30 giugno avrà un ammortamento residuo di 4,6 milioni nel bilancio societario per quel che riguarda il cartellino di Dzeko. Si tratterebbe quindi di quasi 15 milioni di plusvalenza. Soldi che servirebbero per accogliere l'erede del bomber.
Ieri è stata rilanciata la candidatura di Benedetto, 29 anni del Boca. Nell'affare col club argentino possono rientrare i cartellini di Ponce e Perotti, ma in prima fila resta Belotti soprattutto se la Roma dovesse qualificarsi in Champions. Fronte ds: si allontana Gianluca Petrachi. «Non capisco perché il suo nome venga accostato alla Roma», ha detto ieri Urbano Cairo, il presidente del Torino.


I paletti di Antonio: tre anni e strategie

GAZZETTA - (…). Antonio non è tipo da farsi abbagliare a prescindere dalle varie corazzate. Ormai ha raggiunto una dimensione tale da poter pesare e scegliere con attenzione il progetto a lui più gradito e congeniale. Senza ansia e senza scartare l’idea di un prolungamento del periodo sabbatico in assenza di proposte stimolanti. Conte, di fatto, da settimane ascolta, osserva e attende situazioni concrete, ben delineate in ogni particolare. E intanto garantisce che nella sua testa non ci sono ancora club in pole position. Di certo, non sono previste trattative contrattuali con nessuno, nel senso che non ci sono cifre da limare. Chi vuole Conte sa che la base minima è quella di un contratto triennale da 10 milioni di sterline (11,6 milioni di euro circa) a stagione. Dunque, durata e ingaggio non possono essere tema di discussioni. D’altronde quando Massimo Morattiandò a prendere José Mourinho la questione economica non costituì praticamente mai un problema. E attenzione: Conte non pone come «conditio sine qua non» la partecipazione alla Champions o anche solo all’Europa League. Conta davvero unicamente il progetto, e la possibilità, secondo il diretto interessato, di poter andare in battaglia con armi serie, all’altezza della situazione, per poter crescere e vincere da subito. In questo senso, allora, non vanno considerati fuori dai giochi Milan e Roma, club sicuramente oggi con meno appeal rispetto a Juve e Inter (per varie ragioni, anche di fair play finanziario).  Pur restando molto prudenti nel dare per spacciato Luciano Spalletti - uno che sta dimostrando di saper fronteggiare alla grande anche le peggiori bufere - in Italia il nome di Conte è spesso accostato all’Inter. E in effetti trattasi di pista seria, a maggior ragione con l’ingresso in nerazzurro di Beppe Marotta. (…). (…) Ma occhio (…) ai bianconeri, perché iniziano a farsi insistenti le voci che vorrebbero Conte di nuovo a Torino in caso di divorzio fra Agnelli e Allegri. Paratici e Nedved sarebbero i primi sponsor dell’eventuale clamoroso ritorno di un tecnico specializzato nell’ottenere grandi risultati anche in periodi di profonda ricostruzione. E pare che lo stesso presidente della Juve abbia sdoganato l’idea Conte, naturalmente solo nel caso in cui Allegri decidesse di lanciarsi in nuove avventure. (…).


Benatia e la Roma. È ancora amore: «Torno? Magari»

LA GAZZETTA DELLO SPORT - Arriva ad Udine ad appena 23 anni, nel 2010, e, per la prima volta, lascia la Francia per tentare l’avventura in Serie A. Dopo tre anni, in cui si rende conto «di poter fare il salto, ormai ero cresciuto», Medhi Benatia accetta la Roma. Anche senza Champions League, pur sapendo di far parte di una squadra che doveva ricostruirsi: «Resto una sola stagione, ma nasce un grande amore. (…)». Ci sono esperienze che la vita te la cambiano: Roma e Udinese hanno scritto le pagine più importanti di Benatia, oggi in Qatar.

Quella di sabato è un po’ la sua partita.
«Sono due squadre a cui sono legato. Penso finisca 2-1 per la Roma, è importantissimo vincere per andare in Champions. Ce la possono fare, ma non devono più sbagliare».

(…)

Lei parla spesso di Guidolin e di Garcia come di due allenatori chiave per la sua carriera.
«Guidolin mi ha insegnato la mentalità italiana e la cultura del lavoro, mi ha fatto capire come ci si comporta in un gruppo e con la sua Udinese facemmo dei risultati incredibili. Con Garcia ho lavorato solo un anno, ma gli voglio bene. Mi ha dato fiducia, a volte gli facevo anche da interprete, dopo i due mostri Totti e De Rossi mi fece capitano. Sono cose che non dimentico, così come l’Olimpico. Quando entri in quello stadio, con quella gente, hai voglia di spaccare il mondo. Meriterebbero di vincere di più, quei tifosi. E io li capisco. Il vero romanista vuole vincere».

Con gli ex compagni si è lasciato bene, con la società meno.
«Il tempo mette a posto le cose. Ho risentito Sabatini, una gran persona, come Massara e Balzaretti. Per non parlare di Checco (Totti, ndr ). Purtroppo non ho potuto vederlo quando è venuto a Doha, ma spero di andarci presto a cena. Pallotta? Mai più sentito».


La scelta Mirante ok con l’Udinese. Dai guai al cuore alla Champions. L’ipotesi Cragno

LA REPUBBLICA - FERRAZZA - Ha aspettato, in silenzio, il momento giusto, e facendosi trovare pronto quando il suo inserimento è sembrato inevitabile. Antonio Mirante d’altra parte ha imparato ad avere pazienza quando un giorno ha sentito che il suo cuore non andava più tanto bene, perché c’erano dei battiti fastidiosi. «E per quattro giorni ho pensato che col calcio avrei chiuso», ha dichiarato in seguito al malore avuto dell’agosto del 2016. Poi il rientro, graduale, dopo essersi curato proprio a Roma, al Gemelli, con la grande voglia di viversi tutto quello che gli avrebbe dato il calcio, di lì in poi, come un enorme regalo da tenersi stretto. Per questo, Mirante, classe ’83, ha accettato la scorsa estate di trasferirsi nella capitale senza scalpitare più di tanto, consapevole di viversi un’avventura importante, seppur alle spalle del collega Olsen. Ma le vagonate di gol prese dallo svedese, e il feeling in realtà mai nato del tutto con i compagni di reparto, hanno convinto Ranieri, da due partite, a cambiare tra i pali, dando una chance ad Antonio, meno taciturno del compagno e apparso più libero dal punto di vista mentale. Con fiorentina e Sampdoria, un pareggio e una vittoria, due gol presi – tutti con i viola all’Olimpico – e porta tenuta inviolata a Genova. E ora la conferma per sabato, avversaria l’Udinese, per quella che sembra essere una scelta definitiva. Almeno per questo finale di stagione, per le ultime sette gare che dividono i giallorossi dalla possibilità di agganciare la zona Champions. In estate, poi, si cercherà di cedere Olsen all’estero (Inghilterra?) e Mirante potrebbe restare ancora come secondo, alle spalle di un nuovo portiere. Tra gli indiziati principali c’è Alessio Cragno, classe ’94, del Cagliari, uno dei portieri che proprio Mirante, qualche anno fa, aveva indicato come uno dei maggiori talenti del calcio italiano. E al quale farebbe volentieri da supporto e da chioccia la prossima stagione. Intanto continua la corsa di Florenzi verso l’Udinese, vista l’emergenza terzini con cui deve fare i conti Ranieri (Karsdorp e Santon sono infortunati, Kolarov squalificato). Il ragazzo sta cercando di recuperare per essere in campo.


Dzeko vuole salutare con i gol e come erede spunta Benedetto

IL MESSAGGERO - CARINA – Ormai non resta che affidarsi alla cabala. Il 28aprile Dzeko festeggerà l’amaro anniversario di un anno senza gol in campionato all’Olimpico (ultima volta doppietta al Chievo). Per evitare questo triste primato, al bosniaco rimangono due gare per sbloccarsi:contro l’Udinese e il Cagliari. La speranza di Ranieri è che non si riduca all’ultimo giro di ruota (il 27aprile con i sardi). Anche perché, dal suo arrivo in Italia,contro i friulani ha sempre segnato una rete nei precedenti incroci casalinghi dove la Roma ha sempre avuto vita abbastanza facile (3-1,4-0 e 3-1). Sabato scorso con il suo ingresso in campo Edin a Genova ha cambiato il match. Ma è consapevole che un centravanti si misura con i gol. Quelli che a lui in stagione sono mancati (appena7 in campionato). La querelle contrattuale ha pesato e continua a non lasciarlo tranquillo nonostante i tentativi di rassicurazione operati da Massara. Dzeko ha capito che la Roma non gli rinnoverà il contratto. Da settimane il West Hams si è fatto vivo ma il bosniaco attende un segnale deciso dall’Inter, ferma per ora al semplice sondaggio. Qualcosa di simile è andato in scena tra Roma e Boca Juniors per Benedetto, centravanti del club argentino e della Seleccion. L’attaccante ha una clausola rescissoria di 21 milioni e da tempo medita il grande salto in Europa. Se nel novembre del 2017 non si fosse rotto il crociato anteriore, probabilmente ora giocherebbe in Italia. La Lazio, all’epoca, era molto interessata. Or aè la Roma a seguirlo. Nuove conferme sono arrivate ieri dall’Argentina. Verso l’Udinese: confermati i miglioramenti di Florenzi che oggi tornerà in gruppo,alternando al lavoro con la squadra anche esercitazioni individuali.


La Roma italiana a caccia dell'Europa

IL TEMPO - AUSTINI - Negli ultimi due giorni l'hanno guardata in tv, fino a un mese fa si sentivano protagonisti, un anno e un giorno or sono avevano stupito il mondo, adesso non possono che sperare di rigiocarla. Ai giocatori della Roma manca da morire la Champions, si sono abituati a giocarla per cinque stagioni di fila come mai accaduto nella storia del club e a Genova si sono regalati un'insperata chance per tornare a riascoltare la musichetta da settembre. I giallorossi sono di nuovo in corsa e puntano su quell'anima ritrovata a Marassi. La vittoria con la Samp firmata De Rossi è intrisa di romanità, romanismo e un po' di patriottismo. Cinque gli italiani in campo dall'inizio nell'ultima sfida di campionato che potrebbero salire a sette sabato prossimo contro l'Udinese. Oltre al capitano, Mirante, Florenzi, Cristante, Pellegrini, Zaniolo ed El Shaarawy, tutti e sette mandati in campo da Di Francesco (ieri sugli spalti ad Amsterdam a vedere Ajax-Juve) nell'andata contro il Porto agli ottavi di Champions e adesso nei pensieri di Ranieri.

Il progetto di una Roma italiana è reale e potrebbe proseguire anche il prossimo anno con gli innesti dell'atalantino Mancini e del bresciano Tonali, obiettivi di mercato, senza dimenticare il portiere del Cagliari Cragno finito recentemente nel mirino del club. Ma per costruire un domani ad alti livelli bisogna tornare grandi oggi, e allora la giornata di sabato diventa uno snodo fondamentale: nel giro di quattro ore Roma-Udinese e Milan-Lazio possono incidere parecchio nella corsa Champions. Per schierare i sette italiani dall'inizio Ranieri ha bisogno di una risposta innanzitutto da Florenzi: il terzino sta meglio ma anche ieri ha svolto solo una parte del lavoro in campo e non insieme ai compagni. Oggi e domani proverà a spingere, gradualmente e senza correre troppi rischi, per testare le condizioni del polpaccio. Il borsino a ieri sera lo dava convocato ma più in panchina che in campo, il tecnico spera in un accelerazione del recupero in 48 ore per tamponare l'emergenza assoluta degli esterni difensivi. Con Karsdorp e Santon ai box per almeno altre tre partite e Kolarov squalificato, al momento non c'è un terzino disponibile e contro l'Udinese si potrebbero vedere tutti e quattro i centrali in campo: Juan a destra (se recupera Florenzi, va sull'altra fascia), Marcano a sinistra e la coppia Manolas (ieri differenziato programmato) Fazio al centro. Il portiere non sembra più in discussione: salvo imprevisti toccherà a Mirante difendere i pali da qui a fine stagione, con Olsen a scaldare una malinconica panchina in attesa di trovare un'altra squadra in estate. Il partner di De Rossi sarà ancora lo stakanovista Cristante, alla decima presenza di fila in campionato. Pellegrini si è ripreso il posto sulla trequarti e non intende lasciarlo, Zaniolo va verso la conferma a destra, mentre El Shaarawy sembra favorito su Schick per completare l'attacco insieme a Dzeko. L'esperimento del doppio centravanti ha dato risultati contraddittori, Ranieri non si farà scrupoli ad accantonarlo di nuovo dall'inizio, tendendosi l'opzione Schick buona per la seconda parte della gara. Da fuori scalpita anche Under, mentre Perotti continua a lavorare a parte con l'altro caso cronico Pastore. La Roma italiana è quella più in forma e sembra la migliore versione possibile per inseguire l'Europa che conta.


Il professor Accorsi e il Campione: «Abbiamo fatto emozionare Totti»

LEGGO - TRAVISI - Un fuoriclasse della Roma. Christian Ferro è talento puro e irrequietezza. Tanti soldi e una solitudine che non trova conforto in ingaggi milionari. Il Campione, dell'esordiente Leonardo D'Agostini, con Andrea Carpenzano, il calciatore, e Stefano Accorsi, professore spiantato che accetta l'impresa impossibile, prepararlo per la maturità, racconta il lato oscuro del successo. Ma è un film sul calcio solo in apparenza, perché il calcio lo attraversa per riflettere sui mali amplificati dai social: solitudine e voglia di successo. «C'è stato un momento in cui ho fatto i conti con la popolarità, ci si sente derubati dell'intimità. Ho sentito un impatto forte dopo alcuni film di grande successo», spiega Accorsi, «allora ho avuto bisogno di ritrovare la solitudine, me ne sono andato all'estero e quello mi ha placato, quindi è un'esperienza che ho vissuto». Carpenzano, che col personaggio di Ferro condivide l'età, è convinto che nel mondo del calcio «se hai tante persone intorno è inevitabile sentirsi soli» e sui calciatori, le rockstar di quest'epoca social, l'attore romano ha le idee chiare: «A livello umano non mi hanno mai interessato.  faceva cose allucinanti, come Baggio, Maradona, guardo le loro gesta estasiato, ma finisce lì».
Il film, girato realmente sui campi di Trigoria e all'Olimpico, è stato costruito con un attento «lavoro sulle biografie dei talenti ribelli come George Best, Cassano e Balotelli, persone che hanno vissuto vite parallele rispetto ai loro coetanei», sottolinea il regista. E a proposito di campioni, Accorsi ha raccontato un aneddoto: « ha visto il film. Era emozionato e ci ha detto è proprio così!».


L’arbitro? Un Co.co.co da 200mila euro annui. Sirene cinesi per Rizzoli

IL SOLE 24 ORE - BELLINAZZO - Qualche settimana fa, il presidente dell’Aia, l’associazione degli arbitri italiani, Marcello Nicchi ha accennato alla possibilità di adottare un “reddito di cittadinanza” per i direttori di gara, molti dei quali, pur essendo dilettanti, sono costretti a lasciare il lavoro. «Così quando finisce l’attività – ha spiegato Nicchi - si ritrovano senza nulla, ad una età avanzata. Non escludiamo di creare un fondo di solidarietà della durata di uno-due anni, per dare agli arbitri la possibilità in questo lasso di tempo di ricrearsi una vita, un lavoro». Martedì scorso, lo stesso Nicchi in audizione alla Commissione Cultura della Camera, che sta esaminando il disegno di legge collegato alla Finanziaria in materia di ordinamento e professioni sportive, ha avanzato la richiesta di riconoscere l’attività arbitrale come rapporto di lavoro sportivo. La carriera di un arbitro dura - per limiti d’età - fino a 45 anni a livello nazionale e fino a 37 anni a livello internazionale. Per ogni stagione vengono selezionati dall’Aia una ventina di “fischietti” per la Serie A (con un paio di debuttanti) che operano nella veste di liberi professionisti con partita Iva: dei co.co.co sportivi sostanzialmente, a cui spetta un compenso fisso (giuridicamente qualificato come “diritto di immagine”) e una diaria legata all’impegno settimanale. In sintesi, un arbitro di prima fascia, un “internazionale” (sono una decina), può percepire compensi ordinari per circa 200mila euro lordi. Un arbitro al primo anno può contare invece su introiti per 120mila euro (circa 70mila netti).

Per quanto riguarda il torneo di Serie A, la parte fissa infatti va dai 30mila euro riconosciuti ai cosiddetti “neo –immessi” ai 90mila euro assegnati ai più esperti ovvero gli Internazionali. Ci sono poi varie fasce intermedie che dipendono dal numero di gare dirette e dall’anzianità di servizio. La diaria per una partita di Serie A invece è pari a 3800 euro lordi. Mediamente ogni arbitro scende in campo per 15/16 partite di campionato a stagione. Fanno circa 60mila euro. Gli arbitri che non vengono impiegati per dirigere i match sono dirottati sul servizio Var (Video Assistant Referee), sperimentato nella Penisola dallo scorso campionato. In Serie A la diaria per chi è chiamato a valutare i replay e suggerire al fischietto in campo eventuali errori “chiari ed evidenti” è pari a 1.500 euro a partita (750 per chi svolge il ruolo di assistente al Var). Ogni arbitro svolge il servizio di Var per altri 15/16 match per un compenso medio che quindi si aggira sui 25mila euro. Ci sono inoltre gli impegni in Coppa Italia. Qui si va dai mille euro riconosciuti agli arbitri “titolari” nei primi turni ai 1.500 per i quarti di finale, fino ai 2.500 per le semifinali e ai 3.800 per la finale (stesso importo per la Supercoppa italiana). Si può arrivare perciò a 180mila euro per l’attività nazionale. Per quanto riguarda l’attività internazionale, esiste un tariffario per le partite di  (per cui si fattura fino a 5mila euro), per l’Europa League e le Nazionali. Un fischietto di prima fascia può dirigere una decina di match. La media è di 4-5 partite con un compenso intorno ai 20mila euro. Per i numeri uno della categoria selezionati per i Mondiali c'è poi un assegno ulteriore di 50mila dollari corrisposto per i raduni e la rassegna. Molto meno guadagnano gli assistenti - i guardalinee - la cui carriera è separata da quella degli arbitri. In Serie A prendono 1000 euro a match (mentre il quarto uomo si ferma a 500 euro). Il fisso per gli assistenti va dagli 8mila dei neopromossi ai 24mila degli internazionali.

C’è da dire che la crescita globale del football sta anche aprendo nuovi mercati per gli arbitri. Così accade sempre più spesso di vedere le ex giacchette nere emigrare in campionati non europei in cambio di ricchi ingaggi. L’inglese Mark Clattenburg, dopo aver lasciato nel febbraio 2017 la Premier League per ricoprire il ruolo di coordinatore degli arbitri nella Saudi Professional League, si è trasferito in Cina dove percepirebbe una retribuzione di 500mila dollari. Stessa destinazione e compenso analogo per il serbo Milorad Mazic, arbitro nell’ultima finale di . La Chinese Football Association per migliorare la qualità dei propri arbitri ha deciso di creare una task force di fischietti professionisti. Il prossimo acquisto potrebbe essere un pezzo da novanta del settore come Nicola Rizzoli che attualmente come designatore degli arbitri italiani guadagna 200mila euro. Per strapparlo alla Serie A dalla Cina pare siano disposti a sborsare un milione di dollari. Il costo per la Figc del sistema arbitrale nel 2017 è stato pari a 44 milioni. Questa somma serve a coprire i rimborsi spese per tutti i campionati professionistici o dilettantistici. Parliamo di oltre 433mila partite ufficiali gestite da direttori di gara designati. I costi complessivi, inclusi raduni e preparazione tecnica, per la Serie A sono di circa 9 milioni all’anno pagate dalla Lega alla Figc. Gli arbitri tesserati in Italia sono 32mila (di cui 1600 sono donne). Al vertice della categoria giunge lo 0,1%. Una selezione durissima, scandita da enormi sacrifici personali e professionali. Anche chi arriva in Serie A guadagna in fondo quanto un panchinaro e con una durata media della carriera più breve.


Seconda squadra in Serie C. I giallorossi ancora verso il «no»

IL TEMPO - BIAFORA - È in serio dubbio la costruzione di una seconda squadra della Roma. Dopo che lo scorso anno non era stata presentata la domanda di iscrizione alla Serie C (lo ha fatto solo la Juventus), anche per la prossima stagione c'è poca convinzione da parte del club di aderire all'iniziativa. A frenare i giallorossi ci sono incertezze sul regolamento e sulle tempistiche, in particolare dopo i dubbi espressi pubblicamente dal presidente FIGC Gravina: «Chiuderò il programma, serve un sistema diverso». Nella Roma non sono sicuri di effettuare l'investimento, che avrebbe benefici limitati per la crescita dei giovani. Intanto a Trigoria, a prescindere dalla formazione B, proseguono i lavori per la costruzione di un nuovo campo.