Mezzacapo, le intercettazioni: “Pallotta se ne deve andare, lui deve capire che qua lo stadio non lo fa...”

IL TEMPO - Camillo Mezzacapo, l’avvocato arrestato dai carabinieri del nucleo investigativo per corruzione insieme all’ex presidente dell’assemblea capitolina Marcello De Vito, è stato intercettato a parlare dello Stadio della Roma lo scorso 4 febbraio. Queste le parole pronunciate insieme a Gianluca Bardelli, finito ai domiciliari e riportate oggi in edicola dal quotidiano: “Pallotta se ne deve andare, lui deve capire che qua lo stadio non lo fa… via. Io sono contro lo stadio da sempre (…) loro credo che politicamente vogliono arrivare a fare sto stadio per non dire che hanno detto no a tutto. Se no, le Olimpiadi no, lo stadio no. Ma non lo devi fare là“. Bardelli: “Adesso domattina fa la conferenza stampa lei (presumibilmente Virginia Raggi, ndr)“Mezzacapo: “Ma lei ormai, quella è una squilibrata, quella deve essere denunciata mille volte. ‘È fatto, è fatto’… quel giorno che ha mandato l’sms ‘stadio autorizzato’, la sera hanno arrestato Parnasi… sembra una barzelletta. Dicevo a lui… a Rossi: ‘ste teste di ca..o che vogliono fare la battaglia politica sull’autorizzazione a Salvini’".


Da Dzeko a Belotti, la Roma che verrà

INSIDEROMA.COM- SARA BENEDETTI – Edin Dzeko e la Roma si separeranno a fine stagione. Non c’è ancora nessuna ufficialità ma i segnali vanno interpretati. Il rendimento della punta bosniaca è in netto calo e la Roma comincia a guardarsi intorno. Il gallo Belotti per far dimenticare il Cigno di Saravejo. Tra esoneri, dimissioni e grane stadio si pensa anche al futuro a Trigoria. E non solo in panchina dove è corsa a tre (Sarri-Gasperini-Giampaolo) per il posto di Ranieri. Ci sarà, infatti, da ereditare una maglia pesante: la numero 9 di Edin Dzeko. L'attaccante più prolifico dell'era americana, l'ottavo della storia romanista è ormai con le valigie pronte direzione Inter o Premier League. La Roma ha deciso di non rinnovargli il contratto in scadenza 2020 e ha l'occasione di ottenere una piccola plusvalenza per un 33enne. Il suo posto potrebbe essere preso da Andrea Belotti, il Gallo del Torino che all'alba dei 26 anni vorrebbe provare il salto in una big. Piaceva a Monchi (che ieri si è rivisto a Roma per un incontro fugace con Massara) e piace ovviamente a Petrachi che nel 2015 l'ha portato da Palermo a Torino. L'attuale ds granata è il primo nome della lista di Pallotta e Baldini per ricostruire la Roma del futuro e non è casuale la presenza dello stesso Petrachi a Londra (dove vive Baldini e dove lavora Sarri ndr) di due giorni fa. Sarebbe una carta in più per arrivare a Belotti che ha una clausola per l'estero fuori mercato da 100 milioni. Il cartellino del Gallo, esploso nel 2017 quando concluse la stagione con 28 gol, ha subito una deflazione negli ultimi mesi tra esclusioni dalla Nazionale, infortuni e un andamento discontinuo. Anche per questo Belotti vorrebbe cambiare aria. Lo stipendio rientra in pieno nei parametri romanisti: 1,8 milioni a stagione fino al 2021. Pallotta gliene offrirebbe 3 più bonus fino al 2023

IL FUTURO DI EDIN - Dzeko o Lewandowski come chiocce per Lautaro Martinez. Il dopo Icardi per l'Inter porta a Roma o Monaco di Baviera dove (ancora per poco) giocano il bosniaco e il polacco. In attesa di capire se fra l'argentino e l'Inter sarà tregua almeno fino a giugno, in corso Vittorio Emanuele prosegue il monitoraggio a 360 gradi del parco attaccanti continentale, per farsi trovar pronti in caso di divorzio da Maurito a stagione conclusa. I profili più gettonati sono proprio quelli di Dzeko e Lewandowski. Il primo è il preferito dal club nerazzuro a dispetto dell'elevata valutazione (tra i 60 e i 70 milioni di euro) del classe '88 del Bayern e di un ingaggio da top player (12 milioni a stagione) a Monaco. Ma non impossibile per il portale polacco Onet.pl, per l'imminente restyling dei bavaresi e la voglia di nuove sfide di Lewandowski. Il bosniaco è stato già contattato da Marotta e Ausilio e disponibile al trasferimento in nerazzurro anche perché la Roma non intende rinnovare il contratto in scadenza nel 2020. A favore del bosniaco, esperienza (33 anni appena compiuti e 9 stagioni di Champions League tra Wolfsburg, City e Roma) e un cartellino da circa 20 milioni decisamente meno oneroso rispetto allo stesso Lewandowski. Altra soluzione, per il rosarino, uno scambio con Paulo Dybala, possibile fonte di doppia plusvalenza per Inter e Juventus. Con valutazioni da decidere, come l'eventuale conguaglio cash e a favore di chi. Storie di mercato che si intrecciano, per uno che va, un altro viene, con un occhio già al futuro.


Roma, il futuro ora si impunta

IL MESSAGGERO - CARINA - Il futuro, a Trigoria, passa inevitabilmente da una rivoluzione. A fine stagione cambierà l'allenatore e arriverà presumibilmente un nuovo ds che dovrà metter mano alla squadra. Champions o meno, uno dei reparti che verrà maggiormente intaccato è l'attacco. Dzeko, El Shaarawy, Perotti, Kluivert, Under e Schick: per cause diverse sono tutti in discussione. I motivi sono molteplici: rendimento, carta d'identità e/o aspetto economico. Partiamo con il centravanti bosniaco che vede coincidere i tre aspetti. Edin ha 33 anni, gode del contratto più oneroso del club (ingaggio lordo 8,3 milioni, 4,5 netti) che scade nel 2020 e in questa stagione è apparso in calo. Appena 7 gol in 23 presenze in campionato ai quali vanno sommati i 5 in Europa contro avversari di bassa levatura (tripletta al Viktoria Plzen e doppietta al Cska Mosca). Da tempo Dzeko è consapevole che la Roma non gli rinnoverà il contratto. Se questo influisce con il suo nervosismo in campo, non è dato sapere. Di certo c'è che a giugno l'attaccante dovrà prendere una decisione: proseguire un'altra stagione e liberarsi a parametro zero a 34 anni oppure anticipare l'addio e strappare, anche contrattualmente, un ingaggio più lungo al nuovo club.

DIEGO E IL BOCA - Lo scenario che si va profilando è il secondo. Oltre alle sirene della Premier (West Ham), l'Inter è alla finestra. Quella milanese è una meta che il bosniaco gradirebbe: rimarrebbe in Italia, giocherebbe (molto probabilmente) in Champions e riuscirebbe a strappare un ingaggio in linea con quello che percepisce attualmente. È il turno di Perotti (classe 88) che 15 mesi fa ha rinnovato sino al 2022. Il papà del calciatore nei giorni scorsi ha lasciato intendere come l'ipotesi di un ritorno al Boca Juniors non sia così peregrina: «Se Diego sta bene potrebbe tornare». Il problema, non secondario, rimane l'ingaggio: Perotti guadagna 5,2 milioni lordi (2,7 netti), somma che in Argentina si sogna. In Italia c'è il Torino che lo corteggia da tempo ma l'ipotesi non è mai decollata. Tocca al duo El Shaarawy e Under. I due vanno accomunati perché entrambi sono in attesa del rinnovo. Il Faraone - top scorer in campionato con 9 reti - percepisce 3,7 milioni lordi (2 netti) e ha l'accordo in scadenza nel 2020. Il turco (out dal 19 gennaio), invece, è uno degli elementi della rosa che guadagna meno: appena un milione netto (1,9 lordo) sino al 2022. L'attesa del club nel mettersi seduto e intavolare una trattativa, è indice che al momento la Roma vuole prima capire come andrà a finire la stagione. Soprattutto Under ha offerte dall'estero e potrebbe rivelarsi prezioso in ottica plusvalenze. Ci sono poi Schick (3 gol in 19 partite) e Kluivert (1 rete in 21 gare). I due continuano a deludere. L'ultima prova di Ferrara, è la fotografia della loro stagione. Se il giudizio fosse semplicemente tecnico, anche loro rischierebbero la permanenza nella capitale.

MONCHI, CENA CON I DIRIGENTI - Ma nel gioco delle plus/minus valenze, è molto probabile che invece l'attacco della Roma possa ripartire proprio da loro. L'aspetto anagrafico gioca a favore dei due (23 e 19 anni) e anche quello economico non è secondario. Se la volontà del club è abbassare il monte-ingaggi (ora a quota 92,7 milioni) avere a bilancio due attaccanti che guadagnano 2,5 e 1,8 milioni netti, sarebbe una buona ripartenza. A giugno, poi, si aggiungerà il rientro di Defrel che difficilmente la Sampdoria riscatterà. Sette gol in campionato, il francese ha mercato sia in Italia che in Inghilterra e Spagna: trovargli (eventualmente) una sistemazione non sarà un problema. Chissà se di questo o altro avranno parlato Monchi e Massara, intercettati ieri mattina in un bar in zona Mostacciano-Torrino. E la sera, l'ex ds è stato a cena con tutta la dirigenza della Roma in un ristorante sulla Salaria.


La variante da votare subito che rischia di paralizzare il quadrante Sud della Capitale

IL MESSAGGERO - DE CICCO - La variante urbanistica che Marcello De Vito avrebbe dovuto mettere ai voti in Assemblea capitolina, «tempo due mesi» dicevano fino all'altro ieri in Campidoglio, avrebbe concesso ai privati 670mila metri cubi per negozi, uffici e alberghi. Il doppio di quanto scritto nel Piano regolatore, che a Tor di Valle prevedeva un'area di «verdepubblico attrezzato», insomma un parco a tema o qualcosa di simile. Certo non un nuovo quartiere con palazzine alte fino a sette piani, il vero core business dell'operazione calcistico-immobiliare, in cui lo stadio è solo la testa di ponte di un affare infinitamente più grosso: «L'impianto sportivo? Appena il 20% delle cubature totali», ha calcolato il Tavolo della Libera Urbanistica, formato in buona parte da ex attivisti grillini, usciti dal Movimento dopo la capriola di Raggi sul progetto di Parnasi.

Col varo dell'ultima delibera, con tanto di variante allegata, sparirebbero definitivamente alcune opere giudicate fondamentali dai tecnici per evitare che tutto il quadrante Sud di Roma vada in tilt. Addio prolungamento della metro B - sbianchettato dal progetto nel 2016 - e addio anche al Ponte di Traiano, decisivo per scongiurare gli ingorghi. Quel collegamento sul Tevere lo avrebbero dovuto pagare i privati, almeno fino a due anni fa. Poi, quando il M5S ha sforbiciato parte delle volumetrie monstre (che però continuano a scavallare largamente i limiti del Piano regolatore), è rimasto scoperto, senza finanziamenti.
Se la variante passasse, si concretizzerebbe insomma quel rischio «catastrofe» ipotizzato solo poche settimane fa dai prof del Politecnico di Torino, chiamati da Raggi per fare chiarezza dopo la prima retata di arresti, quella di giugno 2018. Gli esperti hanno bollato come inutili tutte le opere pubbliche rimaste nel progetto: «Non sufficiente il massiccio rafforzamento dell'offerta dei trasporti pubblici», «non sufficiente l'unione della Via del Mare e della via Ostiense», «non sufficiente il ponte dei Congressi», peraltro pagato dallo Stato. Si eviterebbero gli imbottigliamenti a catena solo se cambiassero le «abitudini» dei romani, in tutta la città, se insomma si riuscisse a «contenere la mobilità privata», cioè l'uso delle automobili. Con tempi lunghissimi: fino a «10 anni», minimo tre, «se si vuole evitare un aggravio del traffico».

Va detto che dopo l'arresto di De Vito, molti grillini schiacciano sul freno. Soprattutto tra i consiglieri che dovrebbero votare la variante in Aula. In tanti sono ancora scettici o proprio contrari, del resto fino al 2016 tutto il Movimento - e lo stesso presidente arrestato ieri - parlava dell'opera come di una «speculazione» da fermare. Difficile, se non impossibile, che la pratica si chiuda entro un paio di mesi. Si prenderà tempo, come avvenuto dopo l'arresto di Parnasi e Lanzalone, quasi un anno fa. Tutto rinviato a dopo l'estate. Sperando che la burrasca giudiziaria si quieti un po'. E che non riservi altre sorprese.


Patrik: “Ranieri sta pulendo l’ambiente”

IL MESSAGGERO - Patrik Schick parla come se si fosse liberato: con l’esonero di Di Francesco ha una nuova opportunità: «Il primo compito di Ranieri è stato quello di ripulire l’ambiente e rimettere insieme i pezzi, e ci sta riuscendo. Sta provando a infonderci positività, è un allenatore onesto anche se lo conosco da pochi giorni». La riorganizzazione della Roma non ha colpito solo il tecnico, ma anche altri 9 dipendenti: «Non è mai piacevole quando un allenatore se ne va e altre persone perdono il lavoro. E adesso anche Monchi», ha detto l’attaccante a isport.cz.

Ed è stato proprio l’addio dello spagnolo a lasciare tanta amarezza in Schick: «Ha colpito tutti, non ci aspettavamo che se ne andasse. E’ un dirigente molto onesto, ci sosteneva e ci difendeva sempre. Sono dispiaciuto. Nessuno aveva problemi con lui, e chiunque avesse avuto una difficoltà sapeva dove trovarlo».

 

 

 

Dallo stadio ai grandi appalti. Corruzione, sistema De Vito: l’arresto scuote il Campidoglio

IL MESSAGGERO - ALLEGRI - ERRANTE - Una società nascosta che diventa la cassaforte dove accumulare tangenti. Gli incontri segreti per pianificare il prossimo affare, «lì non va bene, ci vedono tutti». Imprenditori disposti a pagare, tanto, per spingere, a prescindere dalle contestazioni di un pezzo di maggioranza, le pratiche urbanistiche più delicate della Capitale. Da Luca Parnasi ai fratelli Pierluigi e Claudio Toti, fino a Giuseppe Statuto. Politici avidi, e la corruzione che diventa sistemica: un «format replicabile», un «campo da gioco calpestato», indistintamente, da pubblici ufficiali e privati. Un'altra bufera si è abbattuta sul Campidoglio ieri all'alba, quando i carabinieri del Nucleo investigativo di Roma si sono presentati a casa del presidente dell'assemblea capitolina Marcello De Vito, volto forte del M5S, per notificargli un'ordinanza d'arresto per corruzione e traffico di influenze illecite. De Vito finisce in carcere insieme al suo socio, l'avvocato Camillo Mezzacapo, collettore delle mazzette fatte passare per consulenze: un giro da quasi 400mila euro, tra soldi promessi ed erogati.

IL MANIFESTO - Le loro conversazioni intercettate diventano un manifesto programmatico che per il gip è «desolante»: i cinquestelle alla guida di Roma e del Paese sono una «congiunzione astrale favorevole», da sfruttare per massimizzare i profitti. Era Mezzacapo che Parnasi, i Toti e Statuto - tutti e quattro indagati - pagavano per assicurarsi affari milionari. Almeno tre grandi appalti, oltre allo Stadio di Tor di Valle: la realizzazione di un albergo nell'ex stazione di Trastevere, la trasformazione della zona della vecchia Fiera di Roma in una città dello sport e la riqualificazione degli ex Mercati generali, sulla via Ostiense.

L'ASSESSORE - Ai domiciliari sono finiti Fortunato Pititto, architetto del gruppo Statuto, e Gianluca Bardelli, amico di De Vito e Mezzacapo, titolare di una concessionaria dove i due si incontravano in gran segreto. Perquisiti il Comune e gli uffici di Acea. Ma non è finita. L'inchiesta sfiora l'assessore all'Urbanistica, Luca Montuori: la sua capo segreteria, Gabriella Raggi, è indagata per corruzione, mentre lui è stato ascoltato ieri dai pm come persona informata sui fatti.
Per l'aggiunto Paolo Ielo, i contratti di consulenza mascherano tangenti. E nel copione ci sono pure prestanome - come l'avvocato Virginia Vecchiarelli, un'emissario di Mezzacapo, indagata -, fatture per operazioni inesistenti, autoriciclaggio, evasioni fiscali. La nuova inchiesta delle pm Barbara Zuin e Luigia Spinelli, parte dall'imprenditore Parnasi, già imputato per le tangenti legate alla realizzazione dello stadio a Tor di Valle. Con De Vito puntava ad aumentare il suo raggio d'influenza. E il politico, nonostante l'arresto dell'imprenditore, ha continuato a curare interessi privati. Usando con Mezzacapo solo qualche accortezza: parlare meno al telefono, dirottare parte dei guadagni sui conti della società Mdl srl, riconducibile a entrambi. Tutto parte dalle ammissioni di Parnasi che davanti ai pm ha raccontato come fosse riuscito a creare «un sistema ampissimo di relazioni», De Vito continuamente «alla ricerca di conoscenze interessate ai favori che è in grado di procurare» replica il sistema. È Parnasi a metterlo in contatto con i fratelli Toti.

LE REAZIONI - L'ennesimo terremoto che travolge la giunta pentastellata scuote il Movimento. Non passa nemmeno un'ora dalla notizia dell'arresto, che interviene il vicepremier Luigi Di Maio: De Vito espulso dai Cinquestelle con effetto immediato. Non ci sono mezzi termini nelle parole del ministro: «Vergognoso, moralmente basso». Una decisione che ottiene il plauso del premier Conte e del ministro Bonafede. Intanto il Pd torna a chiedere le dimissioni della sindaca, mentre la Lega parla di «brutto colpo per Roma».


Raggi: “Sono furiosa ma vado avanti, il malaffare non è sconfitto”

IL MESSAGGERO - MENICUCCI - In Campidoglio è quasi notte, le finestre sono ancora illuminate, la sindaca Raggi va avanti e indietro tra la sua stanza e quella in cui si tiene la riunione di maggioranza con i consiglieri pentastellati. Il clima è quello del 13 giugno, quando vennero arrestati Luca Parnasi e Luca Lanzalone, oppure quello di altre epoche, quando altre inchieste giudiziarie travolsero come uno tsunami le giunte di centrodestra e di centrosinistra. Raggi si dice «fuori di sé dalla rabbia», prova a passare al contrattacco, l'arma di difesa che ha utilizzato spesso in questi due anni e mezzo.

Sindaca, si aspettava questo coinvolgimento di De Vito, uno degli esponenti di punta di M5S, nell'inchiesta sullo stadio?
«Sono furiosa. Da due anni e mezzo stiamo riportando legalità e trasparenza nel governo di Roma per poi scoprire che qualcuno, invece di giocare in squadra con noi, pensava ai suoi interessi personali e non al bene della città».

Lei oggi ha sentito Luigi Di Maio. Cosa vi siete detti?
«Che il Movimento 5 Stelle ha gli anticorpi vivi e che a Roma bisogna andare avanti per portare a termine ciò che è stato iniziato nell'interesse dei cittadini. Sono sempre stata garante della legalità e continuerò ad esserlo».

Eppure, in due anni e mezzo, siete passati dal grido «Onestà, onestà», agli arresti per corruzione. Cosa rimane della diversità cinquestelle da voi sbandierata?
«Rispetto agli altri partiti, M5S ha reagito immediatamente con l'espulsione di De Vito, già poche ore dopo la notizia dell'arresto. Questa è la differenza. Chi sbaglia paga. Non c'è spazio per chi sfrutta la politica per perseguire interessi personali».

Qualcuno le imputa i due pesi e due misure: condanna per De Vito, garantismo ad esempio per il direttore generale del Comune, indagato per la vicenda Ama.
«Sono due situazioni non paragonabili».

Forse perché con De Vito c'è stata qualche scaramuccia? Lo considera un avversario politico?
«Be', è noto che lui e Roberta Lombardi non mi amavano. I nostri erano rapporti d'aula».

Ha mai conosciuto l'avvocato Camillo Mezzacapo, l'amico di De Vito?
«Gli ho fatto un colloquio, insieme ad altri, per il Cda di una società partecipata della Città Metropolitana. L'ho scartato perché non mi convinceva».

Ma se fosse all'opposizione, non chiederebbe le dimissioni del sindaco?
«Io e la mia maggioranza andiamo avanti determinati e compatti. C'è un programma da portare a termine. L'ho detto anche ai consiglieri: abbiamo un progetto comune».

Ma, alla luce dei fatti, che fine fa il progetto stadio?
«Parlano le carte. Gli inquirenti hanno ribadito che l'inchiesta non riguarda gli atti amministrativi relativi allo stadio. Io ho fatto comunque avviare un'ulteriore indagine presso il Politecnico di Torino, un ente terzo, per verificare se si tratti di un progetto realmente utile alla città».

Ma come potete andare avanti con questo clima?
«A testa alta. E con la consapevolezza che non si devono mai abbassare le barriere nei confronti della corruzione. In questi anni c'è stato un continuo tentativo di infiltrazione da parte del vecchio sistema. Con il contributo determinante della magistratura siamo riusciti a respingere ogni attacco. Se c'è qualcuno che ha sbagliato, è giusto che paghi. Non faccio sconti».

Ma non sente almeno la responsabilità di non aver fermato il progetto stadio a giugno, quando vennero arrestati Lanzalone e Parnasi?
«Per prima cosa ricordo che questo è uno dei progetti ereditati, che se avessi bloccato senza una valida motivazione, avrebbe determinato pesanti obblighi risarcitori a carico di Roma Capitale con connesso danno erariale per l'ente. La conferenza dei servizi che coinvolge tutte le istituzioni competenti e per i pm il progetto è regolare. Se non lo fosse, sarei la prima ad intervenire. In ogni caso io e la mia maggioranza abbiamo migliorato un progetto sbagliato, dimezzando le cubature».

Ma perché si è tanto intestardita sullo stadio?
«Mi intestardisco su mille progetti che porto avanti per Roma, ma forse qualcuno non ne parla: i 600 bus nuovi acquistati, le nuove corsie preferenziali, i bus turistici fuori dal Centro, lo sblocco di un miliardo di euro di investimenti per Roma, l'aver raso al suolo le ville dei Casamonica... Vuole che continui?»

Nelle carte dell'inchiesta, però, ci sono altri progetti nel mirino: gli ex Mercati Generali, l'hotel a Trastevere, l'ex Fiera di Roma. Possibile non si fosse mai accorta di nulla?
«Ho chiesto agli uffici di avviare una nuova due diligence, un'ulteriore verifica su tutta la procedura che riguarda gli altri progetti attenzionati dall'inchiesta».

Non si sente un po' come l'ex sindaco Ignazio Marino, anche lui «ignaro di tutto»? E non è una colpa non aver saputo fare da filtro, visto che in Campidoglio continuavano a prosperare gli stessi imprenditori di prima?
«Non è così. Se qualcuno pensa di poterci infettare sappia che non ci riuscirà. Siamo stati eletti per scardinare l'intreccio perverso tra politica e affari in questa città e lo stiamo facendo».

Mancano poco più di due anni alla fine del suo mandato. Su questo punto lei è stata sempre molto evasiva: si ricandida o no?
«Lavoro per il bene di Roma. Non penso ad altro».


Terremoto De Vito, strappo nel M5S: “Ora stop allo stadio”

IL MESSAGGERO - PIRAS - Non sono riusciti a convincere tutti i consiglieri di maggioranza che si può andare avanti. Né Virginia Raggi né Max Bugani, fedelissimo di Grillo e Casaleggio e ora a Chigi con Luigi Di Maio, che per l'occasione è piombato in Campidoglio per rendersi conto di persona della situazione. Il bilancio serale sarà prudente: «Ora si va avanti, pare sia circoscritta solo a De Vito questa storia». I consiglieri pentastellati hanno chiesto uno stop al progetto stadio come condizione per andare avanti. Si sono svegliati male ieri mattina, con la notizia dell'arresto del presidente Marcello De Vito per corruzione. E ora hanno paura. I racconti di Giovanna, la moglie di Marcello, ex assessore municipale, che si dispera, sola, con una figlia piccola, sono rimbalzati veloci. E ora hanno il terrore che anche solo un voto in Assemblea, quello di De Vito è finito nelle motivazioni per la custodia cautelare, possa farli precipitare nel calderone giudiziario. Per questo ora pretendono un'inversione di marcia. I consiglieri arrivano alla riunione di maggioranza stravolti e con le facce scure. «Sono tutti uniti», assicureranno gli spin doctor che ieri hanno chiuso i rubinetti dei social. Ma si va in ordine sparso. «Sto leggendo le agenzie, devo capire cos'è successo, ma è un giorno triste», dice a poche ore dall'arresto Paolo Ferrara che rivive lo spavento dell'indagine che ha coinvolto anche lui nella prima fase. «Le perplessità sull'opera sono note fin dall'inizio», fa notare Maria Teresa Zotta. «Sono contraria allo stadio, non è la nostra priorità», dribbla le telecamere Gemma Guerrini. «Lo stadio si farà? Non è una domanda che in questo moment...», sale le scale Pietro Calabrese consapevole che lo stadio ormai puzza di bruciato. Ma non fa in tempo a finire la frase in politichese che un vigile si gira verso i cronisti e fa la traduzione simultanea: «».

FRASTORNATA - Carola Penna è frastornata: «Faremo degli approfondimenti ma dopo tutte quelle due diligence, io non lo so». Giuliano Pacetti ed Enrico Stefano andranno alla Capigruppo urgente dicendo alle opposizioni che chiedono le dimissioni: «Pietà, fateci studiare la legge Severino». E proprio di Stefano, attuale numero uno alla commissione Mobilità, si parla come del prossimo presidente d'aula in sostituzione di De Vito. Ma chi non ha pietà è la pentastellata MonicaMontella che uscirà con la faccia livida e furiosa con Raggi: «Lo stadio è stato la nostra rovina, fermiamoci».
«E pensare che con Marcello eravamo in terrazza a fumare una settimana fa», osserva FrancescoSilvestri, il deputato romano che dovrà tornare a fluidificare la situazione, a separare il grano dal loglio, a cercare di capire se si può davvero andare avanti o no. E che diceva De Vito? «Parlavamo dell'importanza di tenere la schiena dritta», risponde Silvestri. Ma nessuno, e il M5S lo ha scoperto ieri con le foto di De Vito a Regina Coeli, è immune dalla corruzione. E, doppia scoperta, nemmeno dalle bugie che si raccontano ai deputati o ai capi politici.


Ma non paghino società e tifosi

GAZZETTA DELLO SPORT - DI CARO - Quella della Roma non è una stagione sportiva, è la Legge di Murphy applicata al calcio: «Se c'è una cosa che può andare male, lo farà». Poteva esserci di peggio nella finora semi-tragica annata giallorossa di, nell'ordine: alcuni costosi flop di mercato e molti altri giocatori deprezzati; una dura contestazione dei tifosi; uscire dalla Coppa Italia dopo un vergognoso 7-1; perdere un derby 3-0; essere eliminati agli ottavi di Champions (anche) per un rigore negato al 118esimo; l'esonero conseguente dell'allenatore; le dimissioni del direttore tecnico; la sostituzione dello staff medico col record di infortuni; la squadra attualmente fuori dalla zona Champions? Sì, qualcosa di peggio c'era ed è puntualmente accaduto: vedere ancora una volta il progetto del nuovo stadio, crocevia del futuro del club, avvolto nelle polemiche e negli scandali a causa di corruzioni e tangenti al centro di un'inchiesta giudiziaria che ieri ha sconquassato la capitale e portato all'arresto di Marcello De Vito - uomo forte del Movimento 5 Stelle nell'amministrazione Raggi - che guidava in qualità di presidente del Consiglio comunale di Roma Capitale i lavori dell’Assemblea capitolina che si occupavano del progetto per la realizzazione del Nuovo Stadio della Roma. L'accusa è avere incassato somme dal costruttore Luca Parnasi per favorire il progetto.

Ma va chiarito subito un punto: se il club è responsabile degli errori di mercato, tecnici o strutturali interni, nella questione stadio è soltanto parte lesa. E con la Roma lo sono i suoi tifosi. Oggi si contano esattamente 2606 giorni da quando è stato avviato il progetto Nuovo Stadio. Nel frattempo si sono alternati tre sindaci di tre diverse parti politiche - Alemanno, Marino e Raggi -, oltre a un commissario straordinario, Tronca. Ci sono stati due progetti: il primo del 26 marzo del 2014, con Marino sindaco, e l'attuale approvato dalla giunta Raggi nel 2017. Un iter infinito, pieno di cambiamenti e polemiche. Nel giugno del 2018 è stato arrestato per corruzione il costruttore Parnasi e anche allora la Roma non c'entrava, ma subì nuovi ritardi. Ora il nuovo intoppo a pochi metri dal traguardo annunciato dalla Raggi il 19 gennaio alla Gazzetta: «Lo stadio si farà». Mancano infatti solo due passaggi: l'approvazione del Consiglio comunale della variante del piano regolatore che recepisce le indicazioni giunte dalla conferenza dei servizi e poi l'ultimo sì, quello della Regione. Procederanno con una inchiesta in corso?

Il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo ha spiegato: «L'As Roma non è coinvolta nell'inchiesta. Per ora non ci sono atti amministrativi alterati. La Procura non chiederà di bloccare l'iter, ma potrebbero essere altre sedi a farlo». Ecco di nuovo dubbi, ritardi e paura che tutto si blocchi. La Roma fa muro con il dg Baldissoni: «Non si rallenta nulla, lo stadio è un diritto acquisito». In ballo non ci sono solo i tanti milioni investiti nell'operazione dal presidente Pallotta fino ad oggi, ma il futuro del club domani. Non solo un mega progetto da un miliardo (tra impianto e opere pubbliche), ma la passione di milioni di tifosi. Che ora temono gli scenari più disastrosi, in perfetta legge di Murphy.

Roma ha vissuto ieri l'ennesima pagina nera di una città che sembra incapace di rialzarsi, zavorrata da incapacità, malaffare, incuria e ruberie. Ma la Roma e i suoi tifosi in tutto questo non c'entrano. E vanno rispettati e salvaguardati.

 

 


Totti e Valli ambasciatori per la fase finale

GAZZETTA DELLO SPORT - GRAZIANO - Francesco Totti e Gianluca Vialli saranno rispettivamente gli ambasciatori di «Roma-Euro 2020» e dei Volontari di Roma nell’ambito del prossimo torneo continentale. All’Olimpico si disputeranno quattro gare, tre a livello di gironi e un quarto di finale. In particolare, ospiteremo noi la cerimonia inaugurale e la gara d’apertura (azzurri in campo) della manifestazione. Scelte dunque figure di grandissimo prestigio in risposta alle richieste Uefa, con Totti in particolare vero e proprio simbolo della città. Francesco, in azzurro, è stato campione del mondo nel 2006: complessivamente, 58 presenze e 9 gol. Dal canto suo, Gianluca Vialli (59 gare e 16 gol) vanta una semifinale europea nel 1988 e il terzo posto a Italia ‘90. L’annuncio è stato dato ieri a Coverciano in occasione della presentazione del programma per i volontari sia di Euro 2020 (più di 1000) sia dell’Europeo Under 21 (400 ragazzi) che l’Italia ospiterà per la prima volta fra il 16 e il 30 giugno prossimi: Bologna, Cesena, Reggio Emilia, Trieste e Udine, oltre a San Marino, le città coinvolte.

L’ALTRO FRONTE Quanto all’idea del presidente Gravina, che a Vialli ha proposto il ruolo di capodelegazione della Nazionale, la Figc è ancora in attesa di una risposta. Ci sono stati contatti anche recenti, Vialli non ha detto né sì né no, ma la scelta è da tempo quella di non affrettare la decisione. Anche perché la carica non è «scoperta», visto che di diritto spetta al presidente federale. Che ha scelto di aspettare Vialli almeno finché non sarà obbligatorio orientarsi su un altro candidato.


Bufera sul M5S, arrestato De Vito. Pallotta sicuro: "andiamo avanti"

GAZZETTA DELLO SPORT - PICCIONI - CATAPANO - Ci risiamo. Altri arresti, altre manette, altro terremoto politico per colpa dell’incolpevole, perdonateci il gioco di parole, progetto del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle. All’alba di ieri, i carabinieri arrestano Marcello De Vito, presidente del Consiglio comunale di Roma, pentastellato della primissima ora, subito «cancellato» – è proprio l’espressione usata – dal capo politico del Movimento, il vicepremier Luigi Di Maio. Finisce in carcere alla stessa ora il suo sodale, l’avvocato Camillo Mezzacapo. Secondo l’ordinanza della gip Maria Paola Tomaselli, che ha risposto alle richieste della Procura della repubblica di Roma, il sistema era basato sull’«asservimento» della funzione pubblica di De Vito agli «interessi di natura privatistica facenti capo al gruppo Parnasi». Lo stadio, però, è solo un piccolo pezzo di un format corruttivo, che s’allarga come una macchia verso il centro della città e tocca l’area della stazione Trastevere e dell’ex Fiera di Roma. E qui incrocia anche il basket, con il progetto mai nato, ma immaginato secondo gli inquirenti a suon di promesse di tangenti, di un polo cestistico e musicale. E per i progetti su un’altra area, quella degli ex Mercati Generali, finiscono indagati anche Pier Luigi e Claudio Toti, quest’ultimo presidente della Virtus Roma di basket: i due sono stati ascoltati dal gip che ha emesso nei loro confronti un provvedimento di interdizione.

L’INCHIESTA Si tratta della seconda puntata dell’Operazione Rinascimento. Anche se l’inchiesta ha un altro nome, «Congiunzione Astrale», dall’espressione usata da uno degli arrestati, Mezzacapo appunto, per descrivere il momento di grazia irripetibile per De Vito – M5S al Governo a Romae in Italia e lui al secondo e ultimo mandato – e le possibilità di raccogliere più risultati, cioè tangenti, con il suo ruolo all’interno del Campidoglio. Se nella precedente inchiesta era stato «il punto di vista privato» a prendere il sopravvento, stavolta – dice il procuratore aggiunto Paolo Ielo – è quello pubblico. Un sistema che lo stesso Parnasi ha svelato nei suoi interrogatori. Ripercorrendo tutto il suo lungo giro di Roma corruttivo. Il ruolo del proprietario di Eurnova, travolto dall’inchiesta di giugno, è ancora centrale. I colloqui registrati mostrano un desiderio di continuare a colpire. Tanto che quando De Vito dice a Mezzacapo «beh, ora distribuiamoci questi», il suo interlocutore gli consiglia di non toccare niente «perché mancano ancora due anni» (fine legislatura capitolina). Il passaggio che porta i pm a chiedere al Gip i provvedimenti restrittivi sulle due ipotesi di reato, quella di corruzione e di «traffico di influenze». Per spezzare la catena illecita: io ti metto «a disposizione» il mio ruolo, tu imprenditore coinvolto mi ripaghi a suon di consulenze - per 400mila euro - con incarichi sostanzialmente fasulli. Agli arresti domiciliari sono finiti anche Fortunato Pititto, vicino al gruppo imprenditoriale della famiglia Statuto, e Gianluca Bardelli, proprietario della concessionaria dell’incontro segreto tra De Vito e Mezzacapo.

LA REAZIONE Ma lo stadio della Roma cosa c’entra, quanto c’entra, dove c’entra? La risposta di James Pallotta da Boston è categorica: «Niente, questa storia non ha nulla a che fare con la Roma. Non sono né arrabbiato né preoccupato da quanto è successo. Mi auguro che i tempi di realizzazione del progetto non si allunghino». Mauro Baldissoni, il vicepresidente, intervistato da Sky, chiarisce che «non si parla di aspettative, ma del diritto a veder realizzato lo stadio nei tempi più rapidi possibili. L’approvazione della Conferenza dei servizi risale a 15 mesi fa, sullo stadio della Roma non ci possono e non ci debbono essere dubbi, è un diritto acquisito della Roma».

IL RISCHIO Il procuratore Ielo conferma un’altra volta che la «Roma non c’entra niente». Ma che cosa associa allora i reati contestati a De Vito e lo stadio? Il problema resta quello della «funzione pubblica mercificata e messa al servizio del privato al fine di realizzare il proprio arricchimento personale». Cioè: De Vito ha votato sì allo stadio perché ne aveva un interesse. Il che, spiega ancora Ielo, è una circostanza che prescinde dalla bontà del progetto e dalla sua legittimità e dalla correttezza dei vari passaggi amministrativi. Dunque, l’iter amministrativo non è sporcato dall’inchiesta a meno che non sopraggiungano altre circostanze e altri soggetti chiamati a indagare. Il vero effetto però di «congiunzione astrale» rischia di essere politico. Fino a ieri all’alba, l’ipotesi di votare prima delle Europee in Consiglio comunale la variante al piano regolatore e la convenzione urbanistica, le ultime tappe prima che il progetto torni in Regione per il via libera a costruire, era data quasi per certa. Ora c’è naturalmente più prudenza. E la stessa Raggi ieri ha rivelato di aver «chiesto ulteriori accertamenti e due diligence su tutti i procedimenti interessati dalla Procura», operazione che probabilmente ci porterà fino all’estate.

PREOCCUPAZIONI L’arresto di De Vito e Mezzacapo scatena politicamente tutto e il suo contrario. Il premier Conte parla «di illeciti contestati molto gravi», ma aggiunge che «il M5S Stelle dimostra di avere anticorpi efficaci per reagire a cose del genere». I ministri dei 5 Stelle applaudono all’unisono Di Maio. Il Pd chiede le dimissioni della Raggi: «La città è stremata da inettitudine e inchieste». Quanto al sottosegretario con delega allo Sport Giancarlo Giorgetti, si «augura che il processo per la costruzione non si interrompa», e nota perplesso: «Facciamo fatica a dare certezze a chi vuole investire, sugli stadi e non solo». Giovanni Malagò si dice «garantista» e pure lui auspica che non si rallenti. Ma stadio o non stadio, se le accuse dovessero essere confermate, resta una grande tristezza di fondo. A distanza di quasi 30 anni da Tangentopoli, l’Italia non riesce proprio a guarire.


C’è il Gallo per il dopo Dzeko

LEGGO - BALZANI - Il Gallo di Calcinate per far dimenticare il Cigno di Saravejo. Tra esoneri, dimissioni e grane stadio si pensa anche al futuro a Trigoria. E non solo in panchina dove è corsa a tre (Sarri-Gasperini-Giampaolo) per il posto di Ranieri. Ci sarà, infatti, da ereditare una maglia pesante: la numero 9 di Edin Dzeko. L'attaccante più prolifico dell'era americana, l'ottavo della storia romanista è ormai con le valigie pronte direzione Inter o Premier League. La Roma ha deciso di non rinnovargli il contratto in scadenza 2020 e ha l'occasione di ottenere una piccola plusvalenza per un 33enne. Il suo posto potrebbe essere preso da Andrea Belotti, il Gallo del Torino che all'alba dei 26 anni vorrebbe provare il salto in una big. Piaceva a Monchi (che ieri si è rivisto a Roma per un incontro fugace con Massara) e piace ovviamente a Petrachi che nel 2015 l'ha portato da Palermo a Torino. L'attuale ds granata è il primo nome della lista di Pallotta e Baldini per ricostruire la Roma del futuro e non è casuale la presenza dello stesso Petrachi a Londra (dove vive Baldini e dove lavora Sarri) di due giorni fa. Sarebbe una carta in più per arrivare a Belotti che ha una clausola per l'estero fuori mercato da 100 milioni. In Italia può essere ceduto a meno della metà soprattutto ad un club amico come la Roma (da Ljajic a Falque e Peres sono tanti gli affari andati in porto negli ultimi anni). Il cartellino del Gallo, esploso nel 2017 quando concluse la stagione con 28 gol, ha subito una deflazione negli ultimi mesi tra esclusioni dalla Nazionale, infortuni e un andamento discontinuo. Anche per questo Belotti vorrebbe cambiare aria. Lo stipendio rientra in pieno nei parametri romanisti: 1,8 milioni a stagione fino al 2021. Pallotta gliene offrirebbe 3 più bonus fino al 2023. La Roma d'altronde non potrà affidarsi al solo Schick che ieri dal ritiro della Nazionale ceca ha dichiarato: «L'addio di Monchi ci ha sorpresi, era uno molto vicino ai giocatori. Mi dispiace, invece, per Di Francesco ma Ranieri sta riportando normalità e sta cercando di ripulire l'ambiente».