Il vangelo di Fonseca: «Voglio una Roma unita e ambiziosa»
GAZZETTA DELLO SPORT - Il lavoro di Paulo Fonseca finora è stato straordinario. Il portoghese, miscelando umiltà ed ambizione, in 11 giornate ha riportato la squadra al 3° posto, collocandola al primo nel proprio girone di Europa League. Rispetto allo scorso campionato, i giallorossi hanno 6 punti in più, frutto (anche) di 2 gol in più realizzati e 2 in meno subiti. Il tutto, dovendo aver a che fare con un’emergenza infortuni che in certe partite ha privato l’allenatore persino di 8 giocatori. E se Pallotta lo ha già benedetto («Mi piace quello che fa»), Fonseca mette le mani avanti: «Il gruppo ha capito che si fa bene solo restando uniti, ma attenzione: non abbiamo ancora vinto niente». Proprio vero, ma la nuova Roma ha fretta di provarci davvero.
Capello: "La Roma? Tutti seguono l'allenatore e le cose vanno molto bene. Zaniolo miglior giovane italiano"
Fabio Capello, ex allenatore della Roma con cui vinse uno scudetto nel 2001, ha parlato della compagine giallorossa ai microfoni di Radio Rai:
Cosa pensa della Roma?
"Ha giocatori di qualità come Dzeko e Kolarov, poi hanno fatto un ottimo acquisto con Smalling in difesa. Lo conosco e me lo aspettavo. La squadra è stata lavorata nella testa, tutti seguono l'allenatore e le cose vanno molto bene".
La querelle con Zaniolo è risolta?
"Sono un ammiratore di Zaniolo, per me è il talento migliore che abbiamo. Quando ho parlato di lui mi sono dimenticato di Kean, ho visto tanti talenti perdersi, come per esempio Cassano, ma ripeto che per me Zaniolo è il miglior giovane italiano".
Borussia Moenchengladbach-Roma sarà diretta dallo spagnolo Gil Manzano
Il prossimo giovedì la Roma sarà ospite del Borussia Monchengladbach per la quarta sfida del Girone J di Europa League. L'arbitro del match sarà lo spagnolo Jesús Gil Manzano, coadiuvato dagli assistenti Diego Barbero Sevilla e Ángel Nevado Rodríguez. Quarto ufficiale sarà Guillermo Cuadra Fernández.
Nel villaggio giallorosso Edin sempre più al centro
Nella rabbia con cui ha scagliato a terra la mascherina contro il Napoli c’è tutto il calciatore Edin Dzeko. Nell’energia con cui ha chiesto all’Olimpico, e in particolare alla curva, di incitare la squadra invece che continuare con i cori contro Napoli, c’è tutto l’uomo. L’attaccante della Roma, neppure due mesi fa, non si è fatto problemi a dire che in Italia «il problema razzismo è più pesante che altrove» ed è pure logico per lui, che ha giocato (e vinto) in Inghilterra e Germania. Proprio in Germania , mercoledì, volerà con la Roma, per la partita di Europa League contro il Borussia. Dzeko, forse, non ha messo in passato tutti d’accordo nello stesso modo, ma da quando ha scelto di rimanere rinnovando il contratto si è caricato la Roma sulle spalle. Lo farà anche giovedì, salvo sorprese pur essendo molto stanco, e lo farà su un campo, quello del Monchengladbach, su cui ha già giocato tre volte, uscendo sempre imbattuto.
Pasquali: "Smalling si trova benissimo a Roma"
Tiziano Pasquali parla a Tele Radio Stereo su Smalling. L'intermediario grazie al quale la Roma può godere del giocatore inglese risponde alle domande dell'emittente radiofonica:
E' vero che si sta parlando già di una trattativa per il riscatto di Smalling?
"Nell'ultimo periodo ne ho lette tante, c'è chi mi ha chiesto informazioni, chi non lo ha fatto ha scritto numeri un po' a caso".
Possiamo dare qualche dettaglio?
"E' tutto reale, c'è la volontà da entrambe le parti di andare avanti nella trattativa. L'unica cosa che dico è continuare a far lavorare il direttore Petrachi. Io posso darvi come notizia che tutte le parti vogliono portare a buon fine l'operazione".
E' il momento giusto per vendere Smalling da parte dello United?
"Giusta riflessione, la rivoluzione a Manchester però sta portando nel club profili più giovani. C'è la volontà anche di Chris di continuare, lui si trova benissimo a Roma, ha trovato un bellissimo spogliatoio".
Ha percepito stupore sul suo rendimento?
"A Roma c'è sempre un malcontento, ad inizio stagione era stato fatto passare Petrachi come l'ultimo dei direttori sportivi".
Conferenza stampa Fonseca, appuntamento a Parma per sabato
La Roma sfiderà il Borussia Mönchengladbach giovedì sera. Il giorno seguente la partita di Europa League terrà l'allenamento in Germania e volerà direttamente a Parma dove scenderà in campo domenica contro i padroni di casa. Anche la preparazione di sabato si svolgerà a Parma e Fonseca terrà la consueta conferenza con i giornalisti in hotel.
Zaniolo: "Di Totti ce n'è uno, io devo continuare su questa strada"
La Roma volge verso la partita con il Borussia. Sul sito ufficiale dell'Uefa troviamo un'intervista a Nicolò Zaniolo:
Chi sono stati i tuoi idoli calcistici e perché?
"I miei idoli calcistici sono sempre stati Kakà e Ronaldinho: a Kakà mi ispiro come modo di giocare e abbiamo più o meno la stessa posizione in campo, le sue qualità erano immense…Ronaldinho mi divertivo a vederlo giocare durante le partite, che guardavo soprattutto per lui!".
Se succedesse a un ragazzo quello che è successo a te, di essere scartato per motivi tecnici, che consiglio ti sentiresti di dargli?
"Il principale consiglio che posso dare è quello di non mollare mai e credere sempre nei propri sogni. Spesso si dice che se si chiude una porta, si apre un portone. Ma l’importante è non smettere mai di credere ai propri sogni e continuare finché non si riesce a realizzarli. Ma se non si riuscisse a realizzarli, la cosa più importante è aver dato tutto…"
Ricordi ancora il giorno del tuo esordio alla Roma?
"Me lo ricordo benissimo. La mattina il mister Di Francesco mi chiamò e mi disse se ero pronto a giocare la partita contro il Real Madrid: incredulo, gli risposi “Certo, mister”. Ma ero ancora inconsapevole di quello cui stavo andando incontro. La riunione fu alle 11 di mattina, ma si giocò alle 21 e rimasi tutto il giorno a guardare il soffitto, dopo aver chiamato i miei genitori per chiedere conforto perché alla fine provavo comunque una grandissima emozione. Ma arrivato in campo non ho più fatto caso alle cose esterne, ho pensato solo a divertirmi e a giocare. Alla fine se ero lì l’allenatore aveva visto qualcosa in me e devo dire che non è andata così male".
Quella Champions League, malgrado l’eliminazione della Roma agli ottavi, ha contributo a consacrarti: esordio al Bernabéu, doppietta al Porto all’Olimpico…
"Contro il Porto ci giocavamo i quarti di finale, era qualcosa di nuovo per me, non avevo mai fatto una partita del genere, le emozioni erano tante. Ho cercato di dare il massimo, il meglio per la squadra. Per fortuna sono riuscito a fare una doppietta, ma non direi che sono affermato per questo: devo continuare così, lavorare in campo per affermarmi in futuro. Mi sento un giocatore che può dare tanto ma che deve ancora migliorare tanto".
Ti capita di rivedere quella partita, ripensare al boato dell’Olimpico dopo i tuoi gol? Le notti europee a Roma sono speciali…
"Certo! Quella sera non la dimenticherò mai per tutta la mia vita, le serate di UEFA Champions League - ma anche quelle di UEFA Europa League quest’anno - sono emozioni che non mi toglierò mai dalla testa! Ma devo essere bravo a non sedermi su quello e a continuare a farne altre, a giocare ancora bene per questa maglia per toglierci delle soddisfazioni tutti insieme".
La Roma è cambiata molto questa estate: secondo te quali sono le ambizioni della squadra, sia in campionato sia in Europa?
"La Roma quest’anno è cambiata molto, ma penso sia cambiata in positivo perché siamo un gruppo giovane con al fianco giocatori più esperti e forti, che aiutano i più giovani. E’ il giusto mix per fare una grande annata. Ce ne sono tutti i presupposti, adesso tocca a noi giocare bene per risollevare la Roma e portarla nei posti in cui merita".
Si spendono per te paragoni importanti, a Roma ha da poco smesso di giocare un simbolo come Francesco Totti. Che ne pensi di lui, che effetto di fa essere accostato a lui?
"Riguardo Francesco, penso che per qualsiasi giovane essere accostato - o solo avvicinato - a lui sia una grandissima emozione. Però devo dire che io sono Nicolò Zaniolo, devo migliorare e tanto: di Totti ce n’è uno…Io devo continuare su questa strada".
Se un giorno la Roma ti proponesse di indossare la maglia numero 10, accetteresti?
"No, non ci penserei neanche. Terrei la mia, è una forma di rispetto verso il capitano. Non proverei nemmeno a dire di sì".
La Roma non vince da tanto: secondo te questa può essere la stagione giusta?
"Sì, penso che possa esserlo. Dipende tutto da noi, da come approcciamo le partite, da come ci alleniamo giorno dopo giorno. Le vittorie si costruiscono non in un giorno, ma in anni. Credo però che abbiamo tutto per poter dire la nostra, spetta soltanto a noi".
Pau Lopez: "Non si può restare per tanti anni in una squadra dando l'addio nel modo in cui ho fatto"
Pau Lopez, portiere arrivato alla Roma nel corso dell'ultima sessione di calciomercato dal Betis Sevilla, è intervenuto ai microfoni dell'emittente televisiva MOVISTAR PLUS, per il programma 'Vamos'. Queste le sue parole:
"Non ho mai detto al club (L'Espanyol, ndr) di non voler rinnovare, ma penso che quando mi arrivò l'offerta per firmare un nuovo contratto fosse già troppo tardi. Ho fatto anche un errore, perché non si può restare per tanti anni in una squadra dando l'addio nel modo in cui ho fatto. E' vero che non mi pento di aver detto quello che ho detto, ho semplicemente descritto come sono andate le cose. Alla fine non ci ho guadagnato niente, e anzi, ci ho perso. Ho perso l'affetto della gente, il rispetto delle persone... Spero di riuscire a recuperarlo un giorno".
Esta noche, en #Vamos, podréis ver la entrevista completa con los compañeros de Movistar +. A partir de las 20h, damos un repaso a todo. pic.twitter.com/G6CQE2iw8C
— Pau López (@paulopez_13) 4 novembre 2019
Bavagnoli: "Siamo un gruppo unito e tutte devono esserci con la testa, dobbiamo fare un salto di qualità mentale”
Elisabetta Bavagnoli, tecnico della Roma Femminile, ha parlato ai microfoni di Sky Sport dopo il grande inizio di stagione. Queste le sue parole:
Ti aspettavi questo avvio di stagione?
“Dopo cinque giornate, devo dire che non mi aspettavo questo percorso, anche se è arrivato attraverso tante difficoltà. Devo dire però che questi tre punti contro il Sassuolo sono fondamentali. Abbiamo già affrontato due big del campionato, trovarci a meno uno dal secondo posto è un ottimo risultato”.
I prossimi impegni?
“Non ci poniamo limiti, sicuramente la partita di ieri ci ha messo di fronte a tante cose belle che abbiamo fatto, ma ci sono anche difficoltà su cui lavorare”.
Il cambio di modulo?
“Nel calcio femminile, se vogliamo crescere, dobbiamo trovare soluzioni diverse. Il cambio di modulo è dovuto anche alle caratteristiche di alcune calciatrici. Andressa fino ad ora non era al 100%, ora che sta crescendo ho pensato di metterla nella condizione migliore per potersi esprimere. Quello del 4-2-3-1 di ieri (contro il Sassuolo, ndr) era un esperimento, sono contenta per alcune cose, molto arrabbiata per altre”.
Nel secondo tempo contro il Sassuolo c’è stato un calo mentale?
“Penso che sia stato un calo mentale e mi preoccupa di più rispetto ad un calo fisico. Ci dovrò lavorare tanto con le ragazze, siamo un gruppo unito e tutte devono esserci con la testa, dobbiamo fare un salto di qualità mentale”.
Giugliano ha parlato della sofferenza nel secondo tempo, sei d’accordo con la sua analisi?
“Non ho parlato ieri dopo la gara con la squadra, sono contenta che Giugliano abbia fatto un’analisi puntuale sulla partita. Quando torneremo tutti insieme parleremo e analizzeremo i problemi. Dobbiamo migliorare da un punto di vista agonistico. Ieri abbiamo avuto occasioni per chiudere la partita, ma non le abbiamo sfruttate, dobbiamo essere più cattive”.
Credi nello Scudetto?
“In questo momento credo a tutto, perché credo moltissimo nelle mie giocatrici e nella loro voglia di migliorarsi. È mia responsabilità lavorare bene sulla loro testa”.
Un giudizio su Girelli?
“Parliamo di una grandissima professionista, in forma straordinaria. Per la Nazionale non si può prescindere da lei in questo momento. È sempre stata una calciatrice duttile e intelligente tatticamente, che si adatta al sistema di gioco e tutti la vorrebbero”.
Sulla Nazionale?
“È giusto analizzare le nostre gare, non si può prescindere dal bel gioco e l’Italia è nella condizione di mostrarlo. Bertolini (CT dell’Italia, ndr) ora sta sperimentando, come giusto che sia”.
Pastore: "Il mio obiettivo è essere sempre a disposizione dell'allenatore, per novanta o dieci minuti"
Javier Pastore, si è raccontato al sito del club giallorosso asroma.com. Queste le sue parole:
Che ricordi hai del tuo rapporto con il calcio quando eri bambino?
“I ricordi sono tanti, perché era l’unica cosa che facevo da quando avevo quattro anni. Ho ancora delle foto, con la palla sempre accanto. Volevo fare solo quello, a scuola o per la strada con gli amici. Non c’erano i videogiochi come oggi e noi da piccoli pensavamo solo al calcio”.
Dove giocavi?
“Ogni quartiere della mia città natale, Cordoba, organizzava un piccolo torneo amatoriale. E io mi ricordo che li facevo tutti. Anche quello organizzato nella zona in cui viveva mio cugino o altri miei amici. Ognuno portava una squadra, con il papà di uno di noi come allenatore. E io andavo ovunque pur di giocare”.
Sei sempre stato un calciatore tecnico?
“Mi ricordo che giocavo con mio zio in garage con la pallina da tennis. Mi diceva “se riesci a giocare con questa poi con quella più grande sarà più facile”. Provavo i palleggi, la calciavo sul muro di potenza e dovevo farmela tornare sui piedi. Questo avveniva tutti i giorni, era la mia passione”.
Il tuo desiderio è sempre stato quello di diventare un calciatore professionista?
“Era il mio pensiero fisso, sempre”.
Chi era il tuo idolo da bambino?
“Quando ero piccolo senza dubbio Batistuta. In quel momento giocava in nazionale, in Italia segnava tanto e si parlava solo di lui. Avevo il poster nella mia camera. Quando venne alla Roma, mio padre mi regalò la sua maglia, fu una cosa bellissima. Poi quando sono cresciuto un po’ di più adoravo Riquelme. Era un punto di riferimento come numero 10”.
Com’è iniziata la tua carriera? Hai subito capito che ce l’avresti fatta?
“In realtà non è stato semplicissimo. In Argentina è avvenuto tutto molto velocemente. Ho iniziato a giocare in Serie B con il Talleres di Cordoba, la squadra della mia città. Ho fatto l’esordio con la prima squadra, giocando tre o quattro partite. E poi sono tornato a giocare con le giovanili. È stato un momento molto difficile, perché pensavo di essere già arrivato. Dal ritiro e l’esordio con in più grandi, tornare indietro rappresentò una delusione. Ho dovuto ricominciare, con la stessa voglia di sempre, ma non fu facile”.
Poi cosa è successo?
“Dopo sei mesi sono andato a Buenos Aires con l’Huracan, in Prima Squadra. Ho fatto il ritiro con loro ma non potevo giocare per una questione burocratica, mi allenavo da solo a volte e ho saltato il campionato di Apertura. Quando i documenti si sono sbloccati, ho fatto il secondo ritiro con loro e mi sono rotto la caviglia. Per questo ho dovuto saltare anche il torneo di Clausura. Mi sembrava di avere tutto contro. È stato davvero difficile, ho giocato solo cinque partite. Il campionato seguente l’ho giocato tutto da titolare e in sei mesi mi è cambiata la vita”.
Come ti sei sentito a quel punto?
“Non avevo mai fatto una presenza da titolare nella Primera Division e sono arrivato a giocare venti partite di seguito, tutte bene. A quel punto è arrivata la chiamata dall’Italia e non ho avuto nemmeno il tempo di realizzare costa stesse accadendo”.
Come nasce la tua cessione al Palermo?
“Sono venuti a osservare le mie prestazioni per due mesi. Per me era un sogno giocare in Europa. È stato straordinario, mi hanno convinto subito. Non ci ho pensato due volte. Alla prima possibilità ho accettato”.
Hai avuto un po’ di paura?
“Mai, nessuna paura. Era il mio sogno. Venivo per la cosa che so fare meglio: giocare a calcio. La mia famiglia mi ha supportato, perché è venuta con me. E tutto questo mi ha dato tanta fiducia”.
Cosa di porti dentro dall’esperienza al Palermo?
“È stata un’esperienza bellissima. Rappresentano due anni indimenticabili. La squadra giocava bene, abbiamo fatto cose importanti in quegli anni. Siamo arrivati quarti in campionato, a un punto dalla Champions, in finale di Coppa Italia, abbiamo giocato l’Europa League. Abbiamo fatto delle cose che non si vedevano da anni in quella città. Ho tanti bei ricordi, la gente è stata magnifica con me. È il posto in cui ho conosciuto mia moglie. Rimarrà sempre nel mio cuore, una parte della Sicilia è con me a casa”.
Che differenza hai notato tra il calcio argentino e quello italiano?
“La differenza è tattica. Qui si preparano molto di più le partite. Lì si lascia molta più libertà ai calciatori. Qui è differente, anche rispetto alla Francia. Poi in campo si va sempre undici contro undici, ma qui nella preparazione e negli allenamenti si sta molto più attenti a certi aspetti”.
Quando è arrivata l’opportunità del PSG?
“Il secondo anno ho fatto molto bene a Palermo e avevo già capito che per la società la mia cessione avrebbe rappresentato una grande opportunità, con i ricavi potevano mettere su una nuova squadra. Per me rappresentava un passo importante per crescere e migliorare. Negli ultimi due mesi della mia seconda stagione al Palermo si parlava già di una mia uscita. C’era il mio agente a lavorare su questo aspetto, ma gli ho detto che non ne volevo sapere niente, volevo concentrarmi sul campionato”.
E alla fine sei andato in Francia. Cosa ha rappresentato questa esperienza per te?
“Una grande esperienza. Sono stati sette anni densi di avvenimenti. Sono arrivato in una squadra completamente diversa rispetto a quella che avevo lasciato. Ho visto il club crescere assieme a me, hanno cambiato allenatori, hanno fatto passi da gigante con i media, hanno rinnovato il centro sportivo e lo stadio, hanno migliorato tutto. Sono molto felice di essere stato con loro attraverso tutti questi cambiamenti. Mi hanno reso felice. Quando sono arrivato, il PSG non era quello che conosciamo oggi e io sono orgoglioso di aver dato il mio apporto. Non cambierei nulla di questi anni. Abbiamo vinto tanti titoli e ho lasciato un bel ricordo ai tifosi e alla gente in Francia: questa è la cosa più importante”.
E poi c’è stata la chiamata della Roma.
“Ha rappresentato una bellissima opportunità. Volevo cambiare squadra per sentirmi di nuovo un giocatore importante e riprendermi il ruolo perso al PSG, per l’arrivo di tanti altri giocatori di livello. La Roma era la miglior proposta, parliamo di una grande città che io e mia moglie adoriamo”.
Il primo anno però non è stato semplice. Cosa hai provato in quel periodo?
“L’avventura è partita bene ed ero molto entusiasta di giocare qui. Poi purtroppo mi sono fatto male un paio di volte di seguito e poi c’è stato l’infortunio al Derby di andata. A settembre già è iniziato ad andare tutto male. Avevo perso la fiducia dell’allenatore, perché non ero mai in campo. Fisicamente non sono stato mai bene, non riuscivo a gestire bene gli allenamenti o a migliorare la condizione fisica. Ho fatto pochissime partite e non è stato un anno facile, a livello personale e sportivo”.
Poi è arrivata l’estate, cosa hai pensato prima dell’inizio della stagione?
“Avevo tante cose per la testa. Stavano avvenendo tanti cambiamenti nel Club ed era tutto un punto interrogativo per me. Mi sono preso i primi giorni di vacanza con la mia famiglia, ma prima di ricominciare la stagione ho voluto parlare con la Società e con l’allenatore, volevo sapere cosa pensavano di me. Ero a conoscenza di non aver fatto bene l’anno precedente, mi faceva male ripensare alla mia ultima stagione e non volevo che le idee del nuovo tecnico venissero influenzate da quelle prestazioni. Dal primo giorno la Società mi ha comunicato che il cambio di allenatore sarebbe stato positivo per tutti. Nei primi allenamenti ho dimostrato subito di voler cambiare quello che era stato un anno brutto, da parte mia e di tutta la squadra. L’allenatore è stato sempre molto onesto, ha dimostrato di aver fiducia in me. Mi ha chiesto di dimenticare quanto accaduto prima, di allenarmi al cento per cento. Mi hanno gestito bene. Ho parlato con lo staff, gli ho detto che l’anno precedente non ero mai riuscito a trovare la forma giusta: per diverse necessità ero dovuto comunque scendere in campo e per questo non facevo bene per la squadra e mi facevo male pure io”.
In che modo ti sei preparato per la nuova stagione?
“In quei giorni ho parlato molto con l’allenatore e con lo staff. Potevo provare a raggiungere la migliore condizione fisica giocando tutte le amichevoli, ma per una settimana abbiamo scelto insieme di fermarci. Non è stato un infortunio, ma con le doppie sedute ogni giorno, conoscendo bene il mio corpo, ho chiesto di poter recuperare un po’ di più, non giocare qualche amichevole e allenarmi da solo, perché avevo sentito dei crampi. Sono consapevole che in quei giorni durante le amichevoli ti guadagni un posto e sapevo che non giocando rischiavo di perdere un’opportunità. Ma ho preferito non rischiare di farmi male subito, per evitare di stare fuori durante le partite importanti. L’allenatore ha accettato, mi ha detto “allenati bene in questi giorni perché per la prima partita devi stare bene”. Il mister mi ha fatto giocare per pochi minuti, per poter riprendere con calma la condizione giusta. E ora il mio fisico inizia a sentirsi lo stesso di prima”.
Oltre a questo lavoro fisico, a livello tattico cosa ti ha richiesto Fonseca?
“Tanto, soprattutto i primi mesi. Abbiamo lavorato su diversi aspetti. Vuole che un centrocampista punti sempre la porta avversaria e che non sia rivolto verso la nostra area. Ho dovuto concentrarmi molto in allenamento, perché io ero abituato a stare spalle alla porta, per fare uno-due con i compagni. Il mister, però, vuole che giochiamo in avanti, facendo un continuo cambio gioco da destra a sinistra. Ma la cosa più importante è la fiducia che ci dà il tecnico e il modo in cui ci parla. Io ho avuto diversi allenatori e ho appreso tanto da tutti: posso dire che questo staff tecnico ha un'enorme voglia di fare e bene e di vincere. Sono tutti ragazzi giovani, hanno tante convinzioni importanti e ce le trasmettono. Per una squadra come la Roma che vuole puntare in alto tutto questo è fondamentale”.
E sei riuscito a trasformare i fischi in applausi con le ultime prestazioni. Quanto è stato difficile sentire che non avevi la fiducia del pubblico?
“I fischi li ho presi in tutte le squadre in cui ho giocato, così come gli applausi. È per il mio stile di gioco. Se sto bene riesco a dare il meglio, ma se fisicamente non ci sono non riesco a dare il massimo. A volte se non hai la forza di correre indietro ti tieni per fare una corsa buona in avanti. E tutto questo lo spettatore lo nota. Io a volte apprezzo più i fischi. Quando le cose vanno bene è evidente, ma quando vanno male hai bisogno di una reazione del pubblico. Sono cose che personalmente mi danno qualcosa in più, mi dico “ok, forse è meglio che vado due ore prima all’allenamento”. Lo ha visto la gente che non stavo bene e lo vedevano anche mia moglie e mia mamma. La mia famiglia si è preoccupata tanto, si rendevano conto che qualcosa non andava, venivano qui tutti i mesi facendomi delle domande sulle mie condizioni. E se riuscivano a rendersene conto loro, figuriamoci i tifosi che sono tutte le domeniche allo stadio. Queste sono cose che ti fanno riflettere. Alla fine questa rappresenta una passione per noi, ma è anche un lavoro e dobbiamo rispettare la gente che ci segue per la professione che pratichiamo”.
Forse c’è l’imbarazzo della scelta tra tutti quelli con cui hai giocato: ma qual è il calciatore con cui ti sei trovato meglio?
“Ce ne sono stati tanti. L’attaccante più forte con cui ho giocato è Cavani, perché va a genio con le mie qualità. A me piace fare assist per i gol e ho avuto un buon feeling con tanti compagni di squadra, ma con lui più di tutti: è devastante come punta. E poi non posso non citare Ibrahimovic. Se includiamo tutti gli aspetti, tra cui la mentalità, la professionalità, è incredibile: è il giocatore che mi ha ispirato di più a migliorare. Se lo guardi in allenamento impari. Ci sono ancora in contatto, sono molto legato a lui, è uno dei migliori compagni di squadra che abbia mai avuto”.
Sei andato a Parigi a 22 anni, quanto ti ha aiutato a crescere quell'esperienza?
“Tanto. Il primo anno è stato un po’ difficile, per la lingua e la cultura diversa, ero giovane, più chiuso e molto timido. Parlavo meno con i compagni e con la gente, non mi relazionavo bene con loro. Ero davvero un ragazzino. Mi ero demoralizzato, dentro di me pensavo “non riuscirò mai a imparare il francese, non riesco a capirlo”. Era tutta una questione di testa. Dal secondo anno mi sono messo sotto, ho messo la timidezza da una parte e ho iniziato a parlare: parlavo male ma non me ne importava niente, l’importante era farmi capire. Da quel momento sono riuscito a entrare in contatto con in compagni e con la città, anche assieme a mia moglie. Ho capito che Parigi è un posto magico. Lì sono diventato un uomo e ci è nata mia figlia: ero un ragazzino e sono diventato un padre”.
Qual è il tuo gol a cui sei più legato?
“Quello che ho fatto in Champions contro il Chelsea, con il PSG. Sono entrato a cinque minuti dalla fine della partita e da un’azione così è uscito un gran col che nessuno si aspettava. È uno dei più belli”.
Quanto è cambiato il calcio rispetto a quando sei arrivato in Italia?
“Oggi si difende tutti insieme e si attacca tutti insieme. Dieci anni fa era diverso. Quando sono arrivato, però, ero giovane e pensavo solo a divertirmi”.
Oggi per un giovane è più facile o più difficile fare carriera?
“Posso parlare per quello che ho vissuto io, ma per me è più difficile. Penso anche alle relazioni che ho con i giovani in argentina. Oggi si pensano solo ai soldi. Ci sono tante famiglie o ragazzini che pensano a giocare per fare i soldi e basta, anche nelle basse categorie. Non dico che io non ne abbia fatti in carriera, ma non può essere quello il primo motivo. Così si lasciano la passione e il calcio da parte. Quando fai così arrivare in alto è più difficile. Una cosa devi farla perché la ami. I soldi arrivano dopo. Non puoi pensare al denaro prima di arrivare in Serie A. Oggi a tanti ragazzini vengono date certe cose prima di guadagnarsele”.
Che consigli daresti a un giovane?
“Giocare con passione a calcio, dare tutto. Imparare da ogni allenamento, questa è la base. Il resto arriva da solo. Serve la testa e anche un po’ di fortuna. Poi le cose arrivano”.
Qual è il consiglio più importante che hai ricevuto in carriera?
“Io ho tante persone che mi hanno aiutato. Il mio agente per primo, Simonian, sto con lui da 16 anni e mi ha sempre detto di concentrarmi solo a giocare. Una delle tante cose che mi ha insegnato. Poi calcisticamente mi ha toccato tanto Walter Sabatini, la persona che mi ha portato in Europa. Lui mi dava tanti consigli quando lavoravamo insieme a Palermo, parlavamo praticamente ogni giorno”.
Cosa ti diceva?
“Mi parlava di tutto, di vita e di calcio. Ero come un figlio. Arrivato a Palermo non riuscivo a fare nulla, nemmeno in allenamento. Mi chiamava nel suo ufficio a rivedere la partita giocata la domenica. Facevano quaranta gradi in quell’ufficio e io volevo andare in spiaggia. Lui mi teneva lì a rivedere il match e mi diceva “riguardatelo tre volte e poi mi dici cosa hai notato”. Andava via e faceva le sue cose, dopo il novantesimo tornava e mi diceva “ok, cosa hai notato?”. E io rispondevo: “Direttore, ho fatto qualche giocata buona”. E lui ribatteva “no, qua hai alzato un braccio contro un compagno perché non ti ha passato la palla, qui non hai corso dieci metri indietro”. Mi segnalava una serie di cose che uno non vede a 19 anni. E lui me le ha fatte notare tutte. Sono stati dettagli importanti dentro e fuori dal campo. Calcisticamente mi ha aiutato tanto”.
Quanto ti hanno fatto crescere gli anni al Palermo?
“Moltissimo. Oltre al rapporto con Sabatini, Delio Rossi mi ha insegnato dei movimenti in un mese che nessuno mi aveva mai detto in tutta la mia carriera. Facevamo un lavoro individuale, io e lui da soli al termine dell’allenamento. Pensavo che non mi servisse a niente, ma mi disse “per un po’ non giochi titolare e vai in panchina, quando finisci un mese di tattica con me ti rimetto in campo”. Fu di parola: dopo trenta giorni mi schierò titolare, ero un altro giocatore”.
Chi è Javier Pastore fuori dal campo?
“Un ragazzo, anzi un vecchietto (ride, ndr), normale. Mi piace stare a casa con la famiglia, voglio vivere tranquillo”.
Qual è il tuo hobby preferito?
“Ora passare tempo con la mia famiglia. Quando ero giovane giocavo ai videogames. Adesso se ho un giorno libero magari gioco a volley. Mi piace tanto il cinema, con mia moglie ci andiamo tanto. In Francia non era semplice vederli in un’altra lingua quando avevamo un giorno libero venivamo a Roma con mia moglie per vedercene uno e tornavamo la mattina presto. Da quando sono qui è tutto più semplice”.
Cosa vedi nel tuo futuro quando smetterai fra tanti anni?
“Ora penso di farmi altri anni calcisticamente belli e poi ci penserò. Il calcio è la mia vita, farò sicuramente qualcosa in questo mondo. Ma ora ancora non lo so, la vita può cambiare da un giorno all’altro. Io sono argentino, mia moglie italiana, i miei figli sono nati in Francia. Chissà dove vivrò un giorno. Sceglieranno loro, sicuramente. Prima penso alla famiglia”.
Qual è l’obiettivo di questa stagione?
“Essere sempre a disposizione dell’allenatore, in ogni momento. Per novanta o dieci minuti. Voglio stare bene fisicamente e portare la Roma più in alto possibile. Il calcio è un gioco di squadra e se la Roma finisce in alto è perché tutta la squadra ha fatto bene, non solo un giocatore”.
Smentite le voci su Pepè, nessuna offerta dai giallorossi
Nei giorni scorsi si è parlato di un interesse della Roma per Pepè, talento brasiliano del Gremio. Romildo Bolza, presidente del club carioca, smentisce di aver ricevuto offerte dai giallorossi per il talento classe '97, per il quale serviranno più di 10 milioni e su cui si stanno muovendo anche Psg e Porto.
Allenamento Roma, domani appuntamento alle 10:45
La Roma torna ad allenarsi a Trigoria per prepararsi alla sfida di giovedì contro il Borussia Moenchengladbach. La seduta si svolgerà domani al Fulvio Bernardini a partire dalle 10:45.