Milan su Sarri, Gazidis a Londra per incontrare il tecnico
Al di là di come andrà la finale europea, il Chelsea esonererà l'ex tecnico del Napoli sul quale pare aver messo gli occhi seriamente il Milan: Gazidis è infatti volato a Londra per incontrare l'allenatore e offrirgli un triennale da 3 milioni netti a stagione a salire. Su Maurizio Sarri si è parlato a lungo anche di un interesse della Roma.
Una giornata di ordinaria follia giallorossa
INSIDEROMA.COM - EDITORIALE - Le ultime 24 ore della città di Roma sponda giallorossa hanno avuto dell'incredibile. Tifosi, giornalisti e tutti gli addetti ai lavori si sono svegliati con una notizia bomba: "La società A.S. Roma comunica che Roma-Parma in programma il 26 maggio prossimo sarà l'ultima partita con la maglia giallorossa per Daniele De Rossi. Che comunque non lascerà il calcio giocato".
Come? Cosa? Ma che state a di aho? Subito arriva la mail da parte dell'ufficio stampa della Roma per accreditarsi alla conferenza indetta "al volo" da parte del Capitano della Roma per spiegare le motivazioni di questo fulmine a ciel sereno.
Parte il tam tam mediatico e la città si mobilità: i centralini delle radio che Pallotta vorrebbe far chiudere, si vanta di averne fatte chiudere tre ma dopo questo è probabile che ne nascano altre cinque, esplodono. Tutti sentono salire la rabbia e la frustrazione da esprimere con toni comprensibilmente duri e borderline tra educazione e maleducazione, sia nei confronti della società sia nei confronti di un colpevole che si immagina chi sia ma che qui si vede meno di quel parente antipatico che viene solo a scroccare il pranzo di Natale a casa tua. Quello almeno lo vedi una volta l'anno, lui manco questo.
Da qui in poi inizia la pazzia con una cronistoria che se non avessimo visto con i nostri occhi e ascoltato con le nostre orecchie faremmo davvero fatica a credere. Si inizia con gli striscioni di protesta: A Trigoria, all'Eur nella nuova sede della Roma, sotto casa di De Rossi al centro e a Londra da Baldini. Già Franco Baldini, l'uomo che si era dimesso da...bho?!? dopo l'uscita della biografia di Totti perchè "Non si può controbattere alla parola del capitano". Un consulente dal credito infinito che ha nella sua missione togliere la pigrizia e il provincialismo dalla A.S. Roma e per farlo, secondo lui, la strada migliore è ammainare tutte le bandiere e tutti quelli che hanno il sangue romano nelle vene. Per carità è un'opinione.
Se a Boston e Londra la decisione è stata presa ed è quella di non rinnovare il contratto a De Rossi, a Roma l'appena arrivato nuovo CEO Guido Fienga deve presentarsi al fianco di De Rossi e mettere la faccia in questa decisione difficile. Nella Roma è quasi un rito di iniziazione dove l'ultimo arrivato deve cacciare una bandiera, due anni fa successe lo stesso a Monchi con Totti. Inizia la conferenza e assistiamo alla distruzione di una squadr...pardon azienda da parte di un capitano che con estrema educazione e probabilmente dicendo solo il 2% di quello che pensa, annichilisce la Roma e certifica che Franco Baldini esiste e non è una figura mitologica, è presente e purtroppo decide. Tutto questo tra un libro di Paulo Coelho e l'altro e mentre macina chicchi di caffè tra Londra e Sudafrica.
Nello stesso tempo in barba al fuso orario il presidente Pallotta ringrazia, rigorosamente su Twitter, il capitano giallorosso dicendogli che le porte sono sempre aperte. Tranne quella dello spogliatoio. Intanto sui social, vero vanto dell'azienda Roma, vengono postati continui contributi alla magnificenza di Daniele De Rossi con i tifosi emozionati ma anche un po' interdetti che nel dubbio insultano tutto e tutti.
Nonostante sia il 16 maggio, Roma se ne frega e in cambio ci mostra l'inverno che ci gela e soprattutto la pioggia. Il signore piange per l'addio del capitano della città in cui ha fondato la sua prima chiesa, e così 200 eroi sfidano le intemperie e si dirigono a Trigoria in cerca di confronti. Vogliono parlare con uno che decide e capite bene da quello che c'è scritto sopra che sicuramente a Roma non c'è. Gira tra i nostri telefonini un nota vocale del resoconto di un tifoso trasformatosi in un ottimo giornalista improvvisato che racconta la giornata campale in quel di Trigoria. Prima la Roma avrebbe chiesto un solo rappresentante della tifoseria per andare a colloquio con Baldissoni, ma i tifosi con modi forse qui ben oltre il borderline hanno detto che se non avessero mandato subito fuori qualcuno Trigoria avrebbe fatto la fine di Notre Dame.
Ecco allora che arrivano Ranieri, De Rossi e Massara, tre che tra due settimane non faranno più parte della Roma. Mentre De Rossi cerca di calmare gli animi dicendo che se i tifosi glielo chiedessero lui smetterebbe col calcio, Claudio Ranieri, testaccino doc, a 67 anni non ha peli sulla lingua e avrebbe detto: "Non ve la prendete con chi sta a Roma, comanda testa grigia (Baldini) da Londra e Pallotta da Boston". Il tecnico ha smentito le parole ma, di fatto, non il senso.
Oggi, per citare il sommo Flavio Tranquillo: "altro giro, altro regalo" e arrivano delle note vocali con la voce di Daniele De Rossi, che sono già diventate un must nella capitale, tanto che se entri in un bar ogni persona che incontri ti dice: "Aho, hai sentito l'audio di De Rossi?". In queste note vocali il capitano giallorosso spiega che all'interno della Roma, intesa come Trigoria, ci siano dei romanisti veri ed infatti il problema non è lì. E poi che 40 minuti dopo aver dato l'ultimo saluto in conferenza stampa sia stato chiamato da Guido Fienga con la proposta di un contratto a gettone, con un bonus fisso che lui manco voleva, con l'assenso del presidente. Offerta che probabilmente De Rossi rifiuterà per una questione di dignità.
In tutto questo, il resto del tifo giallorosso in preda alla disperazione ha cominciato a prendere d'assalto con insulti e recensioni fasulle ma geniali ", il ristorante Nebo delle sorelle del presidente della Roma James Pallotta costretto a chiudere la propria pagina Facebook. La più bella sicuramente questa: "Every time they start making a good dish, they sell the recipe and buy cheaper ingredients, a Pallotta trademark". - " Ogni volta che fanno un buon piatto, vendono la ricetta e comprano ingredienti più economici, marchio di fabbrica della famiglia Pallotta". Nel frattempo Wikipedia ha lucchettato la pagina del presidente in modo da non poter essere modificata da utenti non registrati per “evitare vandalismi”.
Insomma la classica giornata di ordinaria follia nella Capitale ma soprattutto un monito, da sempre presente nella città dei Papi dove la fede intesa in tutti i sensi è la cosa più importante e dove non si riesce più a distinguere tra sacro e profano che recita: "Scherza con i fanti, ma lascia stare i santi".
Blanc: "La Roma? Conosco bene la situazione, sono in corsa con altri allenatori molto competenti"
Laurent Blanc si candida per la panchina della Roma. L'ex tecnico del PSG è stato intervistato dal quotidiano francese L'Equipe e ha spiegato che dopo 3 anni, vorrebbe tornare ad allenare e sarebbe in lotta con altri per la squadra giallorossa. Queste le sue parole:
"Conosco bene la situazione, sono in corsa con altri allenatori molto competenti per arrivare ad allenare una grande squadra. Ho voglia di ritrovare il ritmo quotidiano di allenamento e vivo e penso da allenatore, ogni giorno sempre di più".
Quindi, conclude così:
"Per me è un bisogno professionale e di motivazioni sempre vive dentro di me".
Essere Bandiere in un Mondo senza cuore
INSIDEROMA.COM - EDITORIALE - “Se lo ami lascialo andare” è una delle più grandi sciocchezze che la mente dell'uomo potesse mai partorire, abrogata infatti un secondo dopo dall'ipocrisia del "restiamo amici". No, amici proprio non si può restare se c'è una mancanza di rispetto e una ferita profonda nell'orgoglio. L'addio forzato di Daniele De Rossi però non è l'unico addio traumatico della storia del calcio.
Agostino Di Bartolomei:
Nell'estate del 1984, a pochi mesi da una finale di Coppa Campioni persa, Daniele De Rossi ha appena un anno e non sa che la sua storia da capitano della Roma sta per essere scritta ma da protagonisti diversi. Ago viene messo alla porta perchè il nuovo tecnico Sven-Goran Eriksson non lo vede idoneo per il suo gioco veloce e dinamico. Diba va al Milan e alla prima occasione utile segna alla Roma ed esulta in modo rabbioso e rancoroso accendendo la rissa in campo.
Giuseppe Giannini:
Il principe lascia la Roma il 5 maggio 1996. La Roma batte al Franchi la Fiorentina ma un maledetto cartellino giallo rimediato dal capitano giallorosso lo fa scoppiare in lacrime negandogli il saluto la settimana successiva di fronte al proprio pubblico per squalifica.
Francesco Totti:
Senza ombra di dubbio il mese di maggio è il peggiore della storia Romanista, tra Coppa Campioni persa, Coppa Italia persa contro la Lazio, addio di Totti e De Rossi e la morte di Agostino di Bartolomei. Il figlio prediletto del dio del calcio si guadagna il rinnovo sul campo grazie ad una serie di prodezze negli ultimi minuti di gioco che mandano la Roma in Champions e fanno ingoiare il rospo amaro a Spalletti costretto a tenerlo un altro anno ancora. La stagione successiva è un Totti vs Spalletti continuo con schermaglie che vanno anche ben oltre il rettangolo di gioco. Totti smette e legge una lettera carica d'amore ai suoi tifosi, mentre Spalletti che lascerà la Roma il giorno dopo, viene subissato di fischi insieme al presidente Pallotta. Totti diventa dirigente ma, come ammesso anche da De Rossi, in questa Roma non ha potere ed è giorno dopo giorno un pesce fuor d'acqua.
Giuseppe Bergomi:
"Non ho deciso io". Queste le parole di Beppe Bergomi a proposito del suo addio all'Inter. Il 23 maggio 1999 giocava Inter-Bologna e lo "Zio" non sapeva che quella sarebbe stata la sua ultima partita in nerazzurro. "Sono sempre stato molto onesto con me stesso, dai 30 ai 36 anni ho sempre fatto solo contratti annuali. Ero pronto ad andare avanti ma il nuovo allenatore Marcello Lippi aveva altri piani ed il presidente Moratti, non mise nessun veto al mio addio".
Paolo Maldini:
Nel 2009 la bandiera Paolo Maldini si congeda dal Milan. Questa volta i rapporti burrascosi non sono con la società, che comunque non gli chiederà di entrare nei quadri dirigenziali, e per farlo dovrà aspettare i tempi attuali, ma con la tifoseria che ha cantato per tutto il tempo "C'è solo un Franco Baresi" prima di mettere uno striscione con scritto: "Sentiti ringraziamenti da chi hai definito mercenari e pezzenti'.
Buffon & Del Piero:
Il numero 1 dei numeri 1 e il Pinturicchio bianconero. Entrambi messi alla porta con il garbo tipico e lo stile che da sempre contraddistingue la "Vecchia Signora" del calcio italiano. Pochi hanno avuto da ridire perchè se sulla maglia hai scritto "Vincere non è importante ma è l'unica cosa che conta" e poi effettivamente vinci otto scudetti di fila e giochi due finali di Coppa Campioni, il tifoso pur molto dispiaciuto non può dire più di tanto.
Raul:
Nel 2010 dopo 18 anni il bomber dei galacticos afferma in conferenza stampa il suo addio al Real. La società gli ha comunicato che bisogna continuare a vincere e per farlo non hanno più bisogno dei suoi servigi. Lui scoppia in lacrime e passa allo Schalke.
Robbie Fowler:
L'ex punta e bandiera del Liverpool Robbie Fowler ha lasciato definitivamente il Liverpool nel 2007, dopo averlo lasciato nel 2001 per poi ritornarci. Rifiutò il contratto a gettone offertogli dai Reds per firmare per il Blackburn Rovers.
Lampard & Gerrard:
Quante volte abbiamo accostato Daniele De Rossi a questi due fenomenali centrocampisti proprio per il senso di appartenenza, la carica e la leadership con cui scendevano in campo indossando col massimo rispetto la propria maglia? I due inglesi proprio come il romano hanno avuto lo stesso trattamento: silenzio e attesa vana. Nessuno che desse segnali sul rinnovo per lungo tempo ed entrambi costretti ad andare a concludere la carriera negli States. Vedremo se De Rossi seguirà il loro esempio.
Alessandro Nesta:
Tornando nella Capitale, un altro simbolo, questa volta sponda Lazio, ha dovuto amaramente lasciare la sua squadra del cuore per vestire un’altra maglia. Stiamo parlando di Alessandro Nesta, capitano biancoceleste che ha commentato così il suo addio al club dell’allora Presidente Cragnotti: “Io all’epoca non volevo andare via, l’anno prima avevo rifiutato squadre importanti, però avevo capito che dovevo andare via: la società aveva debiti, la squadra non prendeva lo stipendio da 6/7 mesi, poi possono dire che sono traditore però le cose sono andate così”
L’eccezione di Giuseppe Signori
Nel 1995 un altro giocatore simbolo della Lazio era pronto a dire addio ai biancocelesti. Il bomber Giuseppe Signori, infatti, era stato ceduto da Sergio Cragnotti al Parma. Era tutto fatto, ma i tifosi laziali misero su un vero e proprio sit in di protesta contro il Presidente. Furono in tutto 4000 i supporter che si riversarono sulle strade dirigendosi verso la sede della Cragnotti & Partners, inneggiando a Beppe Gol, tirando monetine, pomodori (per la Cirio), distruggendo cartoni di latte (per la Parmalat), il tutto condito da cori contro la dirigenza e striscioni a favore del loro idolo. Alla fine il passo indietro divenne inevitabile, e Signori restò in biancoceleste.
Nel calcio non c'è riconoscenza e questa è la prima regola che tutti apprendono a contatto con questo sport. Si può però programmare meglio, preparare i giocatori e i tifosi a notizie del genere con la massima chiarezza. La Roma ha sbagliato tutto: tempi, modi e toni. Le grandi squadre vincendo trofei conquistano il diritto di dare il ben servito a icone e bandiere, la Roma da 11 anni non alza al cielo un bel niente e perciò questo diritto non gli spetta affatto.
Roma, Roma, Roma 'azienda' de 'sta città
INSIDEROMA.COM - MATTEO LUCIANI - Finisce con un Daniele De Rossi visibilmente commosso, intento ad abbracciare uno per uno i compagni di squadra che si sono recati nella Sala Champions di Trigoria, l'ultima conferenza stampa, che potremmo sostanzialmente definire 'di addio', dell'attuale capitano giallorosso.
Una mattinata senza alcun senso, quella vissuta martedì scorso da chiunque abbia a cuore i colori della Magica.
Dapprima l'inaspettato annuncio tramite un comunicato ufficiale, non proprio il classico 'fulmine a ciel sereno' poiché ormai da troppo tempo a questa parte una fitta coltre di nubi pare essersi addensata sulla Roma e sui suoi progetti futuri, poi la conferenza stampa: un appuntamento che, per usare un termine boxistico, ha praticamente 'messo all'angolo' la dirigenza giallorossa, rappresentata nell'occasione dal CEO Guido Fienga, esposta in tutte le sue attuali contraddizioni e fragilità proprio dalle parole di Daniele De Rossi.
Come se non bastasse la dolorosa separazione da colui che forse meglio di chiunque altro ha rappresentato nell'ultimo quindicennio l'anima del calciatore-tifoso giallorosso, durante la conferenza stampa, il CEO Fienga ha liberamente scelto di definire, peraltro a più riprese, la Roma una "azienda": opzione quantomeno incauta (eufemismo), soprattutto in una circostanza del genere.
Per carità, la direzione in cui ormai il mondo del calcio sta andando è palese a chiunque; tuttavia, perché esporsi ad ulteriori e facili critiche in una giornata già sufficientemente caratterizzata da scelte impopolari? Possibile che nessuno della dirigenza del club fosse a conoscenza di questo particolare e non abbia invitato Guido Fienga a desistere dall'utilizzo di tale termine?
La Roma (purtroppo)non ha alle spalle una storia di grandi trionfi sulla scena nazionale e internazionale, ma di un elemento si è, anzi ormai forse meglio affermare 'si era', sempre potuta vantare al cospetto di chi collezionava successi, magari anche in modo poco chiaro (avete presente Calciopoli?): il rapporto viscerale tra sé e i propri sostenitori.
Ecco, tutto ciò adesso non c'è più (o quasi).
Non soltanto colpa dell'attuale gestione societaria, vista la pletora di 'odiatori professionisti' presenti all'interno dell'anomalo panorama romano e romanista; tuttavia, James Pallotta & co. certo hanno gran parte delle responsabilità riguardo a questo 'strappo' forse insanabile tra la Roma e la sua gente.
Si presentarono come coloro che avrebbero trasformato "la Roma da principessa a regina", parole del primo presidente made in USA, Tom Di Benedetto, nel lontano 2011 e oggi di tante belle promesse non resta che un pugno di mosche.
Nessun trofeo è entrato nel centro sportivo di Trigoria a partire dal closing dell'aprile del 2011 e dato ben più triste, l'entusiasmo che aveva accompagnato l'arrivo degli americani è stato progressivamente disperso in nome di plusvalenze e scelte spesso discutibili, tanto da essere oggi arrivati ad un clima di aperta contestazione.
E dire che ci sono stati dei momenti in cui questa "azienda", per usare la parola tanto cara al CEO Fienga, ha dato l'impressione di poter realmente spiccare il volo, tanto dal punto di vista sportivo quanto ambientale.
Si prenda ad esempio lo scorso anno: la Roma batte per 3-0 il Barcellona nel ritorno dei Quarti di Finale di Champions League anche grazie al supporto di un Olimpico infernale, che sostiene la squadra dal riscaldamento ai festeggiamenti post gara. Da tempo non si assisteva a una tale unione di intenti tra i tifosi e la loro Magica. A fine partita, proprio Daniele De Rossi ebbe modo di affermare che "sarebbe ora un delitto disperdere ciò che si è ricreato tra la Roma e la sua gente. Ripartiamo da qui".
E invece no.
L'ennesima rivoluzione, gli ennesimi addii di calciatori importanti, sacrificati sull'altare delle maledette plusvalenze. Un elemento che, anche in base a quanto affermato proprio da De Rossi in un passaggio della conferenza stampa di ieri, viene ritenuto anche da chi la Roma la vive da dentro uno dei motivi principali dell'anonimato a cui ci si sta sempre più abituando.
Altro possibile fattore di ritrovato entusiasmo era parso essere l'accostamento di Antonio Conte alla Roma; un po' come avvenne nell'estate del 1999, quando l'allora presidente giallorosso Franco Sensi scelse Fabio Capello quale sostituto in panchina del boemo Zeman, il nome dell'ex Juventus aveva dato l'impressione che il club, o forse meglio dire la "azienda", di Trigoria volesse dare vita a un 'new deal' fatto di più campioni e meno giovani di belle speranze da rivendere al miglior offerente.
Nulla di fatto, ancora una volta.
Antonio Conte ammette pubblicamente che il progetto della Roma non è vincente e tra pochi giorni dovrebbe firmare con l'Inter di Suning, gruppo cinese che, sin dal momento del proprio avvento all'ombra della Madonnina, ha investito pesantemente sul mercato per tentare di riportare i nerazzurri sul tetto d'Italia e d'Europa. Praticamente l'opposto di James Pallotta e soci.
Coloro che si incontrano con capitan Daniele De Rossi, 615 partite con la maglia della Roma, soltanto il 13 maggio per comunicare al ragazzo l'intenzione di non rinnovargli il contratto.
Roma, il futuro dice Gasperini e Petrachi
INSIDEROMA.COM – SARA BENEDETTI - In scia di Conte, si piazza Gasperini. La Roma guarda ormai da tempo alla prossima stagione, ma è consapevole di dover aspettare la fine del campionato per ufficializzare l'erede di Ranieri. Pallotta e il suo management, con la benedizione di Petrachi (il ds in arrivo dal Torino), sono pronti a convincere l'allenatore dell'Atalanta. Che avrebbe già dato il suo gradimento dopo l'uscita di scena dell'ex tecnico del Chelsea. Che non è mai stato legato allo sbarco dell'emiro Al Thani nella Capitale, anche se bisogna però registrare altri rumors sull'interesse di un ente privato qatariota e non del Qatar Sports Investment (iniziativa smentita dalla proprietà Usa). La Roma, già costretta ad attendere il finale di stagione per definire con Gasperini, non si può permettere di sprecare energie e anche settimane dietro a chi non ha ancora garanzie dal proprio club (e chissà quando le avrà). L'indecisione, a metà maggio, spesso risulta fatale. Meglio non rischiare per non ritrovarsi con la quarta-quinta scelta. È successo pure di recente. Con Di Francesco (primavera 2017). Avanti tutta, dunque, sull'allenatore dell'Atalanta. Il profilo, almeno per il management di Pallotta, è simile a quello di Conte. Nel metodo di lavoro e nella proposta calcistica. La preparazione atletica e l'addestramento tattico timbrano ogni sua annata. Ma ha bisogno di tempo per imporre la sua idea nello spogliatoio e in allenamento. E di interpreti su misura per trasferirla in partita.
IDENTIKIT PRECISO - Alcuni giocatori della Roma, in questo senso, è come se avessero giocato già per lui nella gara di domenica sera contro la Juventus. L'esempio è Florenzi a tutta fascia, ma anche Under passato in pochi secondi dallo sprint all'assist. Piccoletti, dunque, alla ribalta. In controtendenza con il calciatore tipo di Gasperini. Meglio alto, sempre che non abbia il talento di Gomez. Nella sua rosa, chiare le caratteristiche dei protagonisti: fisicità, rapidità, potenza, resistenza, corsa e duttilità. Nel suo 3-4-2-1 c'è chi potrebbe avere spazio e quindi considerazione. Dietro, oltre a Manolas (sempre se resterà), ha chance Fazio. Sui lati Florenzi, pure con pochi centimetri, è ok. Se sta bene, pure Karsdorp. Non Kolarov a sinistra, solo da centrale nella linea a 3. Il mercato si farà in corsia. In mezzo il play deve essere rapido. Nzonzi non lo è, ma è centrocampista di forza e sostanza. Pellegrini va bene in mediana, Zaniolo e ovviamente Cristante avanzano per l'abbondanza nel gruppo delle mezze punte da sistemare dietro al centravanti: El Shaarawy e Under (pure lui possibile partente) i più adatti, Perotti, Kluivert e in teoria Schick. Se Dzeko, come sembra, saluta, va cercato il sosia di Zapata. Petrachi, insomma, deve preparare l'ennesima rifondazione. Sempre puntando sui giovani e abbassando il monte ingaggi.
De Rossi-Roma: una storia chiusa
IL MESSAGGERO - TRANI - Dà appuntamento alla sua gente. E, come sempre, allo stadio. Non il 26 maggio, però, cioè nel giorno in cui si sfilerà definitivamente la maglia della Roma. La data è insopportabile per chi è giallorosso come lui (6 anni il ko con la Lazio nella finale di Coppa Italia). «Mi vedrete tra voi, magari intrufolato anche in un settore ospiti, con una birra e un panino. A tifare per i miei amici». Questo è da sempre Daniele. Da bambino e da calciatore ha fatto il tifoso. Ma lunedì si è lo stesso ritrovato improvvisamente fuori del cancello di Trigoria. Costretto o accompagnato, conta poco. Di sicuro, non per sua volontà. Percorso obbligato. «Lo varcai per la prima volta a undici anni, la mia macchina ormai ci arriva da sola». Il ceo Guido Fienga, in nome e per conto della proprietà Usa e non certo del vecchio o nuovo allenatore, l'ha depennato dalla rosa per la prossima stagione: «Ho incontrato con Daniele per comunicargli la decisione della società di non rinnovare il contratto come calciatore. Gli ho espresso la volontà di averlo nell'organico del club. Mi avrebbe fatto comodo avere un vice come lui nel prendere le decisioni in un contesto nel quale l'azienda si è resa conto di dover cambiare e correggere le scelte fatte nel recente passato per consentirci di ripartire. E' dirigente da un bel pezzo, lui non vuole dirlo. Preferisce ancora giocare e lo rispettiamo».
RISVEGLIO TRAUMATICO - Il capitano ha detto no. Fiero nel respingere la proposta. «Mi sono sentito calciatore tutto l'anno nonostante i problemi fisici. Mi farei un torto se smettessi ora». Triste, però, per il trattamento ricevuto: «Un po' come Del Piero. Mi immaginavo zoppo con i cerotti che chiedevo di finire e loro di continuare, non è andata così, ma devo accettarlo sennò mi faccio male da solo. E vado avanti». Pure la Roma. E di fretta, anche nell'annuncio. Gelido, via Twitter e di prima mattina. Come per sbrigarsi. Stesa la piazza, come il numero 8 sdraiato, simbolo dell'infinito potenziale, sotto il cognome De Rossi sulla maglia giallorossa con cui i compagni entrano nella sala Champions. Finita è, invece, l'avventura di Daniele con la Roma. Totti resta in piedi vicino alla porta: c'è chi gli consiglia, sui social, di imboccarla per scappare con l'amico. Il vicepresidente Baldissoni se ne sta defilato su una sedia. C'è distanza con la società pure nelle inquadrature. A Fienga spetta l'introduzione. In primo piano De Rossi. In borghese, già senza la maglia della vita. Sportivo con il pullover girocollo grigio sotto la giacca bluette. Niente cravatta, rischierebbe di soffocare. «Se guardo i compagni scoppio». Il sorriso accarezza la commozione.
APPELLO ALLA PIAZZA - Nessun ripensamento, oggi come ieri: «Non tornerei mai indietro e non cambierei una virgola sulla decisione di restare sempre fedele alla Roma. Se avessi la bacchetta magica metterei qualche coppa in più nella mia bacheca ma la bacchetta non ce l'ha nessuno. Ho imparato dai tifosi ad amare la Roma. A loro chiedo di essere vicini ai giocatori. Sono persone per bene. Il romanismo è importante ed è in mani salde con Lorenzo e Alessandro, ma non gli deve essere chiesto di scimmiottare me e Francesco: sarebbe la cosa più sbagliata del mondo. Con la loro personalità devono portare avanti l'attaccamento alla maglia. C'è Cristante che viene da Bergamo, non è romanista, ma io ne voglio altri 100 così: dà l'anima in allenamento e in campo. La Roma ha bisogno di professionisti, poi se sono romanisti abbiamo fatto bingo». De Rossi si dedica ai tifosi: «Hanno dimostrato con gli episodi di tenere realmente a me. Io ho fatto la stessa scelta, non li ho cambiati per qualche ipotetica coppa che poi quando vai via non sai mai se vincerai. Ho avuto l'opportunità di andare dove si ipotizzava di vincere più che qui, ci siamo scelti a vicenda ed oggi sarebbe un dramma se uno dei due avesse preferito fare altro, vincere di più piuttosto che rimanere a vita con questi colori. Il nostro grande amore che continuerà sotto forme diverse». L'applauso esclusivo e indicativo di Dzeko, pure lui con la valigia. L'abbraccio individuale di Daniele ai compagni, avvisati lunedì via sms. Lungo con l'erede Florenzi. «Il 27 maggio ho alle 15 un aereo. Vado in vacanza. Mi è mancata: a dicembre sono rimasto qui a lavorare sul ginocchio». Il flash back porta nel futuro. «Poi sceglierò la nuova squadra».
Il timore di finire come l’amico Totti
IL MESSAGGERO - FERRETTI - Da una parte la voglia di continuare a giocare con la Roma; dall'altra la decisione di non rinnovargli il contratto, con il club pronto a far restare De Rossi in azienda (cit. Fienga) ma con mansioni inedite. Tutte fuori dal campo. Non si è arrivati ad un accordo perché Daniele vuole continuare a fare il calciatore («Ma loro non hanno voluto»), anche lontano dalla Capitale e forse nel nostro campionato (occhio all'estero, cioè Usa), e pure perché - analizzando il suo virgolettato - non condivide la gestione della Roma attuale. Da qui il suo no all'offerta formulatagli dal ceo Fienga di restare/entrare nei quadri societari.
Le sue parole aiutano a capire l'intera questione. «Il non rinnovo del contratto mi è stato comunicato ieri (lunedì, ndr), ma ho trentasei anni e non sono scemo. Ho vissuto nel mondo del calcio: se nessuno ti chiama per un anno o per dieci mesi, nemmeno per ipotizzare il contratto, la direzione è quella». Nessuno, insomma, a Trigoria si è preoccupato di affrontare la faccenda nei tempi giusti. Ci ha provato un paio di volte l'ex ds Monchi («Mi aveva rassicurato»), che però a marzo ha fatto i bagagli ed è tornato in Spagna. E da quel momento in poi, come riferito da Fienga, nella Roma ha regnato tanta, troppa confusione. «Ci siamo parlati poco quest'anno, un po' mi è dispiaciuto. Le distanze a volte creano questo... E spero che si migliori perché sono un tifoso della Roma». Chiarissimo il riferimento al presidente James Pallotta, che da oltre un anno non mette piede a Trigoria. Con una frecciata anche a chi rappresenta il bostoniano nella Capitale e che, al di là del mea culpa di Fienga, non ha preso in considerazione la faccenda nei tempi e con i modi dovuti. Problema sottovalutato? Troppo rinviato, piuttosto. «Non ho rancore nei confronti di nessuno, parlerò col presidente un giorno... E con Franco Baldini (sdoganato per la prima volta in Casa Roma, ndr)». Baldini, dunque, esiste. E da lontano detta la linea e suggerisce molte mosse a Pallotta. Una figura che nell'azienda (AS Roma, si chiama) non c'è, ma in realtà c'è. Eccome. «Io a un giocatore come me avrei rinnovato il contratto, perché quando ho giocato ho fatto bene e nello spogliatoio non creo problemi, anzi li risolvo. Se fossi un bravo dirigente, come dice Fienga, mi sarei rinnovato il contratto».
IL LAVORO SPORCO - Poi, una frase che non lascia spazio a dubbi sui motivi che l'hanno portato a dire no alla scrivania. «Fare il dirigente non mi attira particolarmente, anche se qui a Roma avrebbe un senso diverso. La sensazione è che, anche guardando chi mi ha preceduto, ancora si possa incidere poco (e guardava Totti... ndr), si possa mettere poco in un ambiente che conosciamo bene. Faccio fare il lavoro sporco a Francesco e un giorno se cambierò idea lo raggiungerò. E' vero che mi accoglieranno a braccia aperte, ma mi piacerebbe fare il lavoro che vorrei fare». Traduzione: non voglio fare la fine di Totti, che due anni dopo il suo ingresso in società non ha ancora un ruolo operativo definito. Parole che alimentano le ombre sull'attuale ruolo del Capitano, ma che - osservando la realtà - non fanno una piega. Totti era lì, a due passi da Daniele. In silenzio, un po' defilato. «Oggi è un giorno triste. Oggi si chiude un altro capitolo importante della storia dell'As Roma, ma sopratutto di Roma... della nostra Roma», il post di Francesco più tardi.
Infine, il tasto probabilmente più doloroso per la piazza. «Un piccolo dispiacere che ho è che negli anni tante volte ho avuto la sensazione che la squadra diventasse molto forte, molto vicina a quelli che vincevano, poi è stato fatto un passo indietro. Sono leggi del mercato: alcuni possono permettersi una macchina ed altri macchine diverse. Non posso farne una colpa, non entro nei numeri ma spero che la Roma con lo stadio possa diventare forte».
Giannini: «Ma il 26 maggio vada al mare con la famiglia»
IL MESSAGGERO - CARINA - Giuseppe Giannini, come Francesco Totti, è uno dei pochi che sa realmente quello che sta provando in queste ore De Rossi. Anzi, il Principe - rispetto ai suoi successori - visse addirittura una duplice beffa. Perché impossibilitato a salutare la tifoseria in campionato all'Olimpico il 12 maggio del 1996 contro l'Inter (era squalificato), lo fece con una festa postuma (nel 2000), rovinata da un mix di amore nei suoi confronti e rabbia della tifoseria verso la precedente gestione, a tre giorni dalla vittoria dello scudetto della Lazio.
Trova analogie con il suo addio?
«Tante ma è trascorso tanto tempo e alcune persone non ci sono più. Sarebbe indelicato».
Come ha reagito quando è venuto a conoscenza della notizia? «Male. Sono nervoso, amareggiato, deluso. Un altro pezzo di storia che viene scaricato e allontanato. Mi dispiace, meritava ben altro. Uno che fa oltre 600 presenze con la Roma non può essere salutato con mezz'ora di conferenza stampa o un ringraziamento via tweet. Mi auguro solo che non sia un'indicazione del prossimo tecnico. L'unica cosa che mi ha fatto sorridere è quando Daniele ha detto che la sua auto va in automatico a Trigoria. Mi ha rubato una frase di 20 anni fa. Da casa impiegavo 12 minuti e posso raccontarle anche come erano posizionate le buche».
Dopo l'addio, lei fece un'esperienza allo Sturm Graz e poi accettò offerte dal Napoli e dal Lecce. E fu rimproverato.
«In molti si dimenticano che lo feci soltanto per Mazzone. A Napoli, quando il mister venne allontanato dopo un mese, andai subito in sede e rescissi il contratto».
Che cosa consiglia a De Rossi?
«Di andarsene al mare con la famiglia il giorno di Roma-Parma. Sarebbe un segnale forte. C'è poi il rischio, come accadde con me, che un giorno di festa si trasformi in una contestazione forte nei confronti del club. Tanto la gente che gli vuole bene, ora che lo sa, andrà in trasferta per salutarlo».
In città, alcuni lamentano una presa di posizione di Totti nella vicenda. Condivide la critica?
«Francesco sa come la penso. Tre mesi fa ci siamo incontrati e mi sono permesso di dargli qualche consiglio. Su tutti, quello di andare dal presidente, parlargli e chiedere un ruolo importante. Ognuno poi fa quello che ritiene più opportuno. Se a lui sta bene così...»
De Rossi, l’addio del gladiatore nella città che perde i simboli
LA REPUBBLICA - D'ALBERGO, MONACO - Per un giorno la capitale pallonara ha smesso di affannarsi dietro al calciomercato, al totoallenatore, al «famo ‘sto stadio». Ma che importa della Champions, dell’Europa. Riflettori puntati su Daniele De Rossi. Sul biondo di Ostia che per anni è stato «Capitan futuro». Un eroe in perenne attesa della fascia di Francesco Totti che, dopo solo due anni al timone, va già riposto nel cassetto. Giù lacrime per ogni video sui social, mai tanto beffardi: la vena sul collo del gladiatore, il rigore nella remuntada al Barcellona, le Coppe Italia e la Supercoppa, le corse sotto la Sud, il mondiale con gli Azzurri, i derby, quelle espulsioni evitabili ma genuine, la barba che un tempo non c’era e il tatuaggio sul polpaccio. Un segnale stradale inequivocabile: «Attenzione, scivolate in arrivo». Ecco. L’ultimo tackle, davanti al resto della squadra, De Rossi lo ha condito con parole pesanti. Sconvolgenti per i meccanismi della Roma e di Roma. L’addio stavolta è indigesto. Quello di Totti, seppur imputato ai litigi con l’ex mister Spalletti, è stato metabolizzato. Troppi 40 anni per continuare a stupire. Il saluto di De Rossi, invece, è uno schiaffo. È la privazione inattesa del simbolo. La bandiera che, senza un perché, smette di sventolare. Peraltro nel nome di una rivoluzione a cui ha già detto «no» Antonio Conte, stracorteggiato big della panchina. Inevitabile effetto del commiato, la presa di coscienza collettiva. Il tifo giallorosso, forse mai tanto compatto, chiede trofei. E, siccome i titoli non sono mai arrivati con la gestione americana di James Pallotta, fino a ieri si era accontentato del trofeo della romanità: «De Rossi il nostro vanto». Ora il petto è sgonfio. Certo, in rosa ci sono Florenzi e Pellegrini, romani e romanisti. Ma anche la forza dei numeri e della cabala. “Danielino” si ritirerà il 26 maggio contro il Parma: la data è la stessa della finale di Coppa Italia persa contro la Lazio nel 2013 e l’avversario lo stesso di uno scudetto lontano 18 anni. Gli stessi che De Rossi ha passato in giallorosso. Ora il conto si azzera, con i romanisti costretti a un’eterna pubertà emotiva e calcistica. Sempiterni adolescenti, gli ultrà sono confusi. Hanno convocato un sit in a Trigoria per sabato mattina. Ma la squadra sarà in Emilia, per la sfida con il Sassuolo, e gli uffici della società sono all’Eur. I dirigenti, appunto. A loro quest’anno si concede solo la vittoria del nocciolinaro cacciato e poi riammesso in curva. Perché l’annata è stata la peggiore dell’era statunitense: nel giro di un anno la Roma è passata dalla semifinale di Champions al congedo del guerriero. Che non smetterà, perché a 35 anni si sente ancora calciatore. Non colletto bianco come avrebbe voluto il club. Andrà al Boca di Maradona? Si sta preparando a un paradossale finale americano? Si vedrà. De Rossi, concentrato di passione giallorossa con un papà mister della primavera, per i tifosi resta un modello. I primi calci sulla spiaggia, la fama, il privilegio di difendere i colori della sua città. E poi la vita privata di un mediano speciale, rimasto uomo normale: i figli, il travagliato matrimonio con Tamara Pisnoli, nome finito a più riprese sulle cronache giudiziarie, l’amore con l’attrice SarahFelberbaum. Un incontro decisivo per il salto in quella maturità che per tanti dei suoi tifosi adesso è un miraggio. Il distacco fa male, risveglia gli istinti di chi aspetta stadio e vittorie da dieci anni. Tutto fermo, tranne le vele sangue e oro. Ammainata quella di Totti, sotto con De Rossi. Per Giovanni Malagò, numero uno del Coni, DDR resterà «un gigante». In suo nome il romanistissimo Valerio Mastandrea propone «una festa in ogni quartiere». Alessandro Gassmann rilancia: «Una ogni anno». Magari, dicono i tifosi, dopo aver fatto «calare il sipario su questa società». Senza bandiere, arriveranno gli striscioni. E una contestazione che pare già scritta.
Il 26 festa, ma ora è contestazione
IL TEMPO - BIAFORA - Più di ventimila biglietti venduti in meno di dieci ore e Stadio Olimpico praticamente sold-out. Per l’ultima partita di De Rossi con la maglia della Roma, si è ripetuto quanto accaduto con l’addio al calcio di Totti. I tifosi giallorossi, immediatamente dopo il messaggio sui social che annunciava la fine dell’era DDR, hanno preso d’assalto le ricevitorie e il sito del club (mandando in tilt il sistema d’acquisto) per assicurarsi i biglietti della sfida con il Parma. In molti resteranno senza l’agognato tagliando, ma a Trigoria la speranza è quella di poter mettere in vendita i cinquemila posti dei Distinti Nord Ovest, solitamente assegnati agli ospiti. Oltre al clima, un misto tra festa e rammarico, che ci sarà il 26 maggio, con l’orario che sarà definito dalla Lega all’inizio della prossima settimana, in città c’è un’aria di pesante contestazione nei confronti della dirigenza e di Pallotta. La tifoseria, che con il Sassuolo non risparmierà di certo attacchi al presidente americano, ha intenzione di manifestare da subito all’esterno del Bernardini il proprio dissenso per le modalità del congedo di De Rossi, idolo di un popolo che appena due anni fa aveva salutato Totti, altro simbolo eterno. Saranno giorni bollenti nella Capitale.
De Rossi addio: la Roma cancella il passato
IL TEMPO - BIAFORA - Trentadue minuti struggenti ed emozionanti. De Rossi, accompagnato dal CEO Fienga e omaggiato da squadra, staff e dirigenza presenti nelle prime file della sala stampa, ha parlato in conferenza per commentare la fine della sua epoca alla Roma. Queste le parole del capitano giallorosso, che hanno fatto versare qualche lacrima all’erede Florenzi, visibilmente emozionato:
Cambierebbe qualcosa della sua carriera alla Roma?
Farei delle scelte diverse riguardo episodi quotidiani, alcune cose dette o alcune cose di campo. Per la decisione di rimanere per sempre fedele alla Roma non cambierei una virgola. Se avessi la bacchetta magica metterei qualche coppa in più in bacheca, ma non ce l’ha nessuno. Sono fortunato perché ho fatto il lavoro che mi piaceva nella squadra che amo tantissimo. I tifosi non la cambierebbero con una vittoria. Hanno dimostrato in tanti anni di tenere veramente a me. Io ho fatto la stessa scelta, non li ho cambiati per qualche ipotetica coppa. Ci sono stati 3-4 anni in cui effettivamente ho avuto l’opportunità di andare in squadra che poteva vincere più della Roma. Ci siamo scelti a vicenda. C’è un grande amore che continuerà, anche se sotto forme diverse. Non escludo di andare, magari con un panino e con la birra, in qualche settore ospiti a tifare per i miei amici. Ho imparato da loro ad amare la Roma. Gli dico di stare vicino ai giocatori. E’ un gruppo di persone per bene e meritano grande sostegno.
Il romanismo è in mani salde con Pellegrini e Florenzi. Che cosa ha pensato quando le hanno comunicato la scelta?
Mi è stato detto ieri, ma non sono scemo. Il mondo del calcio l’ho vissuto, lo avevo capito. Lo sapevamo tutti quanti che ero in scadenza, se non c’è mai un colloquio… Con Monchi avevamo parlato e mi aveva rassicurato, senza di lui non sono andato più a chiedere nulla a nessuno. Questo scombussolamento societario forse non ha aiutato.
Il suo futuro è già deciso?
Ringrazio Fienga e Massara ,per l’offerta e per come mi hanno trattato. La sensazione che ci fosse grande affetto e stima reciproca era forte e che forse si poteva andare avanti per uno o due anni da calciatore, ma è una decisione che si prendere globalmente e come sappiamo la società è divisa in più parti. Sono cose che vanno rispettate e accettate. Io a Roma non posso uscire diversamente da questa maniera. Riguardo alle squadre ho sentito qualcosa, ma non ho chiesto niente a nessuno. Mi sono sentito calciatore tutto quest’anno anche se ho avuto problemi fisici e ho ancora voglia di giocare a pallone. Mi farei un grande torto se smettessi.
Preclusioni?
Vediamo, è una cosa completamente nuova.
Non pensa che doveva decidere lei sull’addio?
Non sono d’accordo e l’ho detto anche a Totti. Ci sta una società che sta li per decidere chi deve giocare e chi no. Possiamo discutere ore sul fatto che secondo me sarei potuto essere importante, le decisioni poi le prende la società. Qualcuno un punto lo deve mettere. Il fatto che ci siamo parlati poco quest’anno un pochino mi è dispiaciuto, ma le distanze a volte creano anche incomprensioni di questo genere. Spero che la società migliori in questo perché ci tengo, resto un tifoso.
Cambierà idea sul voler allenare?
Ho la sensazione che potrebbe piacermi, fare il dirigente non mi attira particolarmente, qui a Roma poteva avere un senso diverso. Però, anche guardando chi mi ha preceduto, penso si possa incidere poco. Faccio fare il lavoro sporco a Totti, spero che prenda più potere possibile e poi magari, se cambierò totalmente idea, lo raggiungerò. C’è distacco con la società? Un po’ sì, perché io voglio giocare e loro non vogliono. Non posso essere felice, non ho rancore nei confronti di Fienga e di Massara. Un giorno magari parlerò anche con Pallotta e con Baldini, non ho problemi. Fienga dice che io sono già un bravo dirigente, ma se io fossi stato un dirigente avrei rinnovato il contratto a uno come me. Quando ho giocato mi sono difeso e l’ho fatto abbastanza bene. Non abbiamo mai parlato di soldi.
Perché tutti questi addii dopo la semifinale di Champions?
Negli anni ho avuto la sensazione che la squadra diventasse davvero forte, poi sempre più forte, poi molto vicina a quelli che vincevano per poi fare sempre un passo indietro. Queste sono leggi del mercato. Spero che la Roma, magari con lo stadio, diventi forte tanto quanto le altre. La rosa è valida, ha tanti giocatori giovani da cui si può ripartire, è una squadra che ha futuro e la piazza è calda quanto necessario.