Totti, separarsi dal passato

LA REPUBBLICA - MENSURATI - «Sono Francesco Totti e mi hanno fatto smettere». Era il primo giorno del corso allenatori di Coverciano, e ogni candidato era stato invitato a presentarsi agli altri con una breve sintesi della propria carriera. Il capitano si alzò dalla sedia e con quella faccia spenta e senza sorriso che gli abbiamo visto tante volte da quando ha dovuto sostituire la fascia sul braccio con la cravatta sociale, disse solo questo: «Sono Francesco Totti e mi hanno fatto smettere». A pensarci oggi, quelle poche parole appaiono rapide e illuminanti come certi assist. Dentro c’era tutto. La consapevolezza del proprio ruolo e del proprio talento, l’accusa esplicita nei confronti di una società, la Roma made in Usa che, a suo avviso, non lo ha mai amato o, almeno non quanto doveva, la voglia incontenibile di continuare a giocare a pallone. Ma soprattutto, nascosta nella scelta di guardare al passato piuttosto che al futuro, a quello che era stato piuttosto che a quello che avrebbe potuto essere, c’era evidentissima la paura. Del resto, parlando direttamente al suo popolo, in quella sera commovente del maggio 2017, lo aveva ammesso lui stesso: «Adesso ho paura. E non è quella che si prova di fronte alla porta quando devi segnare un calcio di rigore. Questa volta non posso vedere attraverso i buchi della rete cosa ci sarà “dopo”».

Aveva ragione Francesco ad aver paura. Perché “dopo”, c’era solo questo. C’era la noia e la fatica di un nuovo mestiere difficile da imparare, c’erano le complessità e i sotterfugi di un ambiente che sotto i riflettori e lontano dal talento vive di lotte di potere e, spesso, di colpi bassi, ma c’era soprattutto la malinconia del tramonto, della gloria che, alla fine, dura sempre solo un attimo. E così, oggi che Totti si separa, forse per sempre, da questa Roma non più sua, sarebbe disonesto non chiedersi di chi sia davvero la responsabilità di una storia finita male. Se sia di una società che, dopo l’ennesima stagione sacrificata sull’altare di quel dio bizzoso e imprevedibile che è lo Spogliatoio, ha deciso di cambiare pagina affidandosi a un allenatore “esterno” e senza amici italiani, uno nato in Mozambico, cresciuto in Portogallo, maturato calcisticamente in Ucraina. Oppure se sia del dirigente Francesco Totti che in due anni non ha saputo reinventarsi, e comunque non è riuscito a recuperare alcun tipo di centralità all’interno di un progetto. Da domani e chissà per quanto tempo, Roma — una città maledetta da una strana inclinazione all’autofagia — non parlerà d’altro. I tottiani rinfacceranno agli americani, il ruolo di Baldini (il consulente societario da sempre individuato come il “nemico di Totti” numero uno), l’ipocrisia di Pallotta, finanche le scelte di Spalletti. A loro risponderanno quanti, in questi mesi, a Trigoria e non solo, hanno vissuto con insofferenza la vita mondana dell’ex Capitano, sempre pronto a mettere la Roma in secondo piano a favore di qualche evento personale — la presentazione di un libro, le riprese di una docufiction, i tornei di calcetto. L’impressione è però che quello che si preannuncia come l’ennesimo drammone sportivo della Capitale, in realtà non sia altro che la versione romana dell’eterna tragedia personale del grande campione che, arrivato al momento di chiudere la propria carriera, semplicemente non ci riesce, o comunque non riesce a farlo come vorrebbe o dovrebbe, e che, dunque, dopo tante luminose vittorie, finisce per conoscere la più amara delle sconfitte.


Salutando disse: «Ho paura». Adesso sappiamo perché… Aspettative, dubbi e veleni hanno divorato l’ultimo re

LA GAZZETTA DELLO SPORT - Trent’anni d’amore, vissuti nell’adorazione laica di una città, sono stati un anestetico formidabile verso il male di vivere che alla fine, in qualche maniera, cresce fino a presentarti il conto. Il capitano di una generazione, d’altronde, aveva iniziato a capirlo quando la sua parabola calcistica stava giungendo alla conclusione (…). Il tramonto della sua carriera di artista del calcio, sublimato in quell’addio che ha fatto il giro del mondo, lo aveva fiaccato nell’anima per quello che certificava: il senso della fine e la necessità di un rito di passaggio. Totti infatti due anni fa, in uno dei momenti più struggenti del suo discorso alla gente, lo aveva detto chiaramente: «Adesso ho paura». Niente poteva essere più sincero, niente poteva rendercelo più fratello (…). Chissà quante volte Francesco avrà riattraversato quella linea d’ombra che lo riportava con la memoria ai giorni del calcio giocato. Belli a prescindere, perché i problemi si risolvevano con un assist, un tacco, un tiro che scuoteva la rete e l’anima della città. Quello che a quasi tutti era impossibile, al Capitano veniva naturale. Niente a che vedere con ciò che è venuto subito dopo. Che fare? Un corso da allenatore? Sì, no, magari più tardi. Da direttore sportivo? Più avanti. E l’inglese che serve per parlare col mondo del calcio fuori dalle Alpi? Verrà anche quello. Il problema è che nella vita ciò che non afferri, viene preso da altri. Gli uomini in grigio (copyright Ranieri), quelli che sanno far di conto, hanno conoscenze giuste, fanno un passo indietro e uno di lato (…).

Non è escluso che abbia peccato d’ingenuità, credendo davvero che sarebbe bastato indicare la bravura o meno di un calciatore - come se fosse uno scout di alto livello - per materializzare un percorso da direttore tecnico. Non è andata così, e persino i suoi stessi tifosi non hanno mai avuto certezze sulla sua grandezza da manager, anche se tutti di sicuro hanno pensato: visti i risultati degli altri, almeno lasciate provare lui. Quel giorno non è mai arrivato. Come nel «Ritratto di Dorian Gray» ad un certo punto Totti deve essersi guardato allo specchio scoprendo di essere diventato ciò che aveva sempre detto di non voler essere: solo una bandiera buona da sventolare ai sorteggi e in tv. Troppo poco per uno che voleva essere grande con la Roma, scoprendo però che, se da calciatore almeno conosceva la strada, da dirigente avrebbe dovuto impararla (…).Se è vero che gli eroi muoiono tutti giovani, forse la gioventù di Francesco termina davvero solo adesso.


Totti lascia la Roma «matrigna». Mai più con Pallotta e Baldini

CORRIERE DELLA SERA - Era il 26 maggio scorso: Bruno Conti, Daniele De Rossi e Francesco Totti stretti nell'abbraccio della romanità calcistica. Ultima partita in giallorosso di DDR, ma, a pensarci, anche ultima apparizione di Totti come dirigente. Da lì in poi, una discesa a perdifiato verso l’addio che sarà sancito domani, alle 14, nel Salone d’onore del Coni. Quanto a Bruno Conti, ha il contratto in scadenza... Non è bastato il lavoro diplomatico di Guido Fienga, il nuovo Ceo giallorosso che in un mese ha dovuto mettere la faccia su decisioni che hanno portato ai minimi storici l’indice di popolarità della dirigenza (…). Totti si è sentito preso in giro per l’ennesima volta, descritto come un «talent scout» buono per valutare i ragazzini e non come un vero dirigente. E anche l’offerta della carica di d.t. è stata vista come una scatola vuota, arrivata quando le decisioni sul nuovo d.s. (Petrachi) e sul nuovo allenatore (Paulo Fonseca) erano già state prese da altri senza ascoltare le sue indicazioni (…). Data e luogo scelte per l’addio sono simboliche. Il 17 giugno 2001 è stato il giorno del terzo e ultimo scudetto della Roma, conquistato all’Olimpico con il 3-1 al Parma, aperto dal gol del numero 10 all’amico Gigi Buffon. Il Salone d’onore del Coni, diciotto anni dopo, è la nuova casa al posto di Trigoria «detottizzata» (…).

Totti sarà il testimonial della parte italiana di Euro 2020, l’edizione itinerante che vedrà la partita inaugurale proprio all’Olimpico. Da escludere, per ora, un incarico con la Nazionale di Roberto Mancini, che ha già i suoi delicati equilibri. Più che probabile, invece, lo sbarco tra gli opinionisti di Sky: nessun ex calciatore «buca» lo schermo come Totti. In questo momento, però, l’unico pensiero è staccare in vacanza con la famiglia.

Fino a quando ci sarà Pallotta presidente — e Franco Baldini consigliere — Totti non rientrerà più nella Roma (…). Riletto oggi, il saluto di Francesco all’amico Daniele De Rossi diventa profetico: «Torneremo grandi insieme!». Sottinteso: quando Pallotta non ci sarà più.


Sconcerto e rabbia in città: «Se non incide giusto andar via»

LA GAZZETTA DELLO SPORT - Domani, 17 giugno, l’ex numero 10 parlerà in conferenza stampa, chiarirà la propria posizione. Il 17 giugno, proprio come il giorno nel quale, grazie a un suo gol, la Roma vinse lo scudetto nel 2001. Per questo sui social sono tantissimi i tifosi che pubblicano la foto di Totti che esulta per la rete al Parma e accompagnano l’immagine con la didascalia «il 17 giugno che vorrei ricordare». Già, perché se Totti dovesse effettivamente annunciare il proprio addio, il trauma sarebbe forte. Ieri a Roma non si è parlato d’altro (…). Non un caso che anche altri ex giallorossi non vogliano sbilanciarsi in commenti prima di sapere che cosa dirà Totti in conferenza: «Non è ancora detto che vada via, la società lo vuole convincere a restare – precisa Lionello Manfredonia, in giallorosso dal 1987 al 1990 – (…)». Simile la posizione di Marco Amelia, che in giallorosso ha mosso i primi passi della propria carriera: «Se Francesco si rende conto di non poter incidere come vorrebbe, è giusto che vada via (…)».

La Roma è più americana che romanista, questa la sensazione della gente. Peggio, è il timore della piazza. Perché la Roma c’era prima di Totti e ci sarà anche dopo. In molti però non hanno mai vissuto i giallorossi senza di lui. Per questo c’è incredulità, c’è sbigottimento, c’è rabbia, c’è timore. Perché i tifosi hanno sempre fatto del romanismo presente fra campo e società il proprio vanto. Ora però, dopo l’addio di De Rossi, senza Totti la piazza si sente orfana, derubata dei propri simboli. E far rimarginare la ferita non sarà facile.


Francesco fenomeno nazionale

IL MESSAGGERO - ANGELONI - Una vacanza per schiarire i pensieri, per sciacquare i bollori e per rimettere la (sua) vita al centro del villaggio, che non sarà più Trigoria. Francesco Totti domani spiegherà, ci dirà la sua e poi aprirà l'agenda degli impegni. Andrà a fare la risorsa per il calcio, altrove. Ci guardiamo indietro e pensiamo a Bruno Conti, quando litigò con Franco Sensi e stava per andare a lavorare in Federcalcio. Sono passati circa quindici anni, anche all'epoca un figlio di Roma stava per abbandonare casa. Poi non fu così, le cose tornarono al loro posto e Bruno ha continuato a scrivere la storia della Roma. Stavolta non c'è Sensi, c'è Pallotta, dall'altra parte non c'è Conti ma Totti: tra loro sempre la Federcalcio ad aprire le porte, ma stavolta a via Allegri si chiuderanno forse con Francesco all'interno. Sì, quella è una opzione, la più accreditata. Totti in Nazionale con un ruolo alla Gigi Riva, un uomo oltre l'immagine. Lui, per la Figc, è un volto da esportare nel mondo, il trait d'union tra la dirigenza e la squadra, lo stesso presidente Gravina ha mostrato sensibilità ad accogliere personaggi importati per la Nazionale.

CLUB ITALIA Va solo capito che nome avrà questo ruolo. Da capo delegazione (anche se qui in pole c'è Gianluca Vialli), a team manager, quest'ultimo incarico di Gabriele Oriali, pronto a tornare all'Inter. Un ruolo vicino a Roberto Mancini, suo vecchio idolo da campo e ora amico di padel. Se la Roma è stata casa sua per trent'anni, la Nazionale è stata la casa al mare. Con l'azzurro ha vinto un campionato del mondo e Totti è sempre stato un personaggio significativo per l'Italia azzurra. A tal punto che la Figc ha nominato lui e Vialli come ambasciatori di Euro 2020, visto che proprio Roma sarà protagonista con la cerimonia di apertura con partita inaugurale e un quarto di finale che si disputerà all'Olimpico. Così come, sempre Totti, è stato proposto come uomo immagine italiana del prossimo mondiale in Qatar, 2022. Quindi buono per una poltrona in Figc e in Fifa, per conto di Infantino.

LE CHIAMATE Francesco da domani sarà a disposizione dello sport italiano, non a caso il luogo scelto per comunicare l'addio sarà il Coni e lì c'è il suo amico Malagò, che saprà come indirizzarlo nell'immediato futuro. Totti resterà nel calcio, perché quello ama, ma intanto se lo litigano le televisioni, sia come opinionista/talent, sia per fiction e comparsate varie qui o là, come noto c'è in cantiere un film sulla sua vita. Non avrà problemi e non erano i soldi a trattenerlo nella Roma. Quelli ne riceverà tanti in qualsiasi ambito. Il problema è non sentirsi utile là dove lo è sempre stato. E' un po' il concetto espresso da Batistuta proprio ieri sul suo ritorno a Firenze. «Con Commisso ci siamo salutati e ci ho parlato. Per il momento è finito tutto lì, dipende cosa vogliono loro che io faccia, vivo in Argentina e mi dovrei spostare. Vediamo, io aspetto. Se mi chiamano vorrei essere utile, altrimenti restiamo così come siamo». Utile. Ciò che Totti non può più essere nella Roma. Lo sarà per tutto il resto.


Il Napoli su Manolas con la regia di Raiola

CORRIERE DELLA SERA - Il Napoli, che sta per salutare Raul Albiol che vuole tornare in Spagna, si è unito a Milan e Juve nella caccia a Kostas Manolas, che può liberarsi con la clausola da 36 milioni di euro (…).I partenopei hanno offerto al greco un ingaggio da 3,5 milioni di euro netti a stagione, più ricchi bonus, proposta gradita al difensore. Non sono previste contropartite tecniche: la Roma vuole il pagamento della clausola e ha rifiutato Diawara. Il Napoli ha blindato invece Mertens


Totti addio, la caduta dell’impero: "Vado via, niente più alibi". L’annuncio domani nell'anniversario dello scudetto

LA REPUBBLICA - PINCI - È finita venerdì, intorno alle 17, quando Francesco Totti ha chiamato uno dei dirigenti di punta della società annullando l’appuntamento che avevano in programma per annunciargli la sua decisione: «Lascio la Roma». La decisione più sofferta della sua vita, persino più di quella che due anni fa lo convinse a rinunciare al campo per non tradire la società che non lo voleva più calciatore. E dovuta a una esasperazione cresciuta nei mesi, nell’attesa, nella delusioni quotidiane del sentirsi inascoltato da chi a parole ne tesseva le lodi. Quando con la voce grave ha detto basta, era passato un mese esatto dal comunicato con cui la Roma aveva salutato Daniele De Rossi, l’altro gemello allattato dalla lupa. Domani alle 14, riempiendo il salone d’onore del Coni concesso dall’amico Malagò per annunciare al mondo quello che ormai tutti sanno, sovrascriverà un altro anniversario, persino più rilevante: il 17 giugno di 18 anni fa Totti festeggiava il suo primo e ultimo scudetto con la Roma, promessa di una storia mai compiuta. La chiuderà nel peggiore dei modi possibili: raccontando chi a suo dire non l’ha voluto più, chi lo ha costretto a farsi da parte per non dover restare un gagliardetto senza utilità.

Ringrazierà chi in questa avventura dirigenziale gli è stato vicino e lo ha coinvolto, come il CeoGuido Fienga. Per il resto, l’intenzione è di far conoscere a tutti la propria versione dei fatti. E sarà un atto d’accusa al nemico di sempre, Franco Baldini, ieri dg della Roma americana, oggi consulente personale del presidente Pallotta, l’esecutore di quello che Francesco ha vissuto come un mandato: «Ora però senza più me e Daniele, gli alibi sono finiti», la sintesi del suo pensiero. A Totti, che dimissioni formali non ne ha ancora presentate, hanno provato a far cambiare idea: invitandolo a rimandare le decisioni a dopo le vacanze, in fondo martedì partirà per Ibiza. Ma non c’è stato verso, la decisione era presa. Una situazione tracimata nelle ultime settimane: a marzo s’illuse di poter contare davvero nei giorni più bui della stagione. Lo disse apertamente, ma da quel momento anziché guadagnare posizioni ne ha perse. Ignorato nella scelta di Petrachi come futuro ds. Bocciato nella scelta dell’allenatore. Non informato del viaggio a Madrid per ingaggiare il tecnico Paulo Fonseca. Ha aspettato per quasi due anni un ruolo da “dt” che Trigoria riteneva superfuo. Quando glielo hanno offerto senza coinvolgerlo in nulla, s’è sentito preso in giro: «Mi chiamano per presentare figure che non ho scelto». Il nuovo ruolo avrebbe comportato pure controindicazioni per tutto l’universo che ruota intorno a Francesco: la sit com con la moglie Ilary, le comparse nei tornei di calcetto in giro per il mondo, gli spot, attività collaterali sostanzialmente incompatibili con la vita di un dirigente operativo. Per questo il lato angloamericano della Roma si sente di essere la “scusa” perfetta per una rottura di comodo. Non solo: il segreto inconfessabile è che a Trigoria in tanti rimproverano al Totti dirigente di avere dato priorità a questioni personali come la sua biografia piuttosto che a quelle di squadra, come la trasferta a Baku del 2017, il viaggio a Londra di gennaio 2018, il ritiro dell’estate scorsa e persino la trasferta di Reggio Emilia con il Sassuolo, disertata per un compleanno. Mesi fa al presidente della Figc Gravina Totti confessò che con la dirigenza romanista con ci fosse un gran feeling. Un mese fa alla Hall of fame della Federcalcio, proprio Gravina lo tentò: «La nostra porta è aperta». Oggi gli offrirebbe di sviluppare le Academy azzurree valorizzare i giovani. Ma c’è pure chi gli propone ruoli da procuratore o da ambasciatore dei Mondiali in Qatar e dell’Expo 2020 a Dubai. Un modo per non doversi ritrovare all’Olimpico a tifare quella Roma da cui si sente tradito.


Napoli su Manolas: accordo raggiunto, ma la Roma chiede tutti i 36 milioni

LA GAZZETTA DELLO SPORT - Aurelio De Laurentiis vuole Kostas Manolas per sostituire Raul Albiol. E in meno di 48 ore il presidente ha persino raggiunto l’accordo con il difensore della Roma: 3,5 milioni di euro a stagione per il prossimo quadriennio (…). Nell’ambiente Napoli danno già per fatta l’operazione. Ma, in effetti, non è così, perché manca l’accordo con la Roma che ne detiene la proprietà del cartellino (…). La questione si semplificherebbe se il Napoli decidesse di pagare per intero la clausola, che è di 36 milioni di euro: a quel punto non ci vorrebbe nessuno assenso da parte del club giallorosso. Il diesse napoletano ha parlato con Mino Raiola, che assiste il difensore della Nazionale di Grecia, dal quale ha ricevuto la disponibilità del giocatore al trasferimento. Tutto, dicevamo, in un baleno, tanto che persino la Juventus, interessata al giocatore, è rimasta spiazzata dalla manovra del Napoli (…).

Resta da capire se la Juventus riuscirà a convincere Gonzalo Higuain ad accettare il trasferimento alla Roma: il fratello procuratore ha dichiarato che in Italia, il pipita giocherà soltanto con la Juve. Una presa di posizione che condizionerebbe e non poco l’entourage bianconero, che ha proposto uno scambio alla pari. Il Napoli, intanto, è già forte dell’accordo trovato col giocatore e già domani potrebbe presentare alla Roma un’offerta comprensiva anche di una contropartita tecnica: nella Capitale potrebbe trasferirsi Amadou Diawara, il centrocampista guineano che non rientra nei piani tecnici di Ancelotti.


Il fuoco amico di Baldini per una Roma senza romani

LA REPUBBLICA - PINCI - «Deromanizzazione». È la parola che da otto anni circola a Roma ad ogni scricchiolio dei rapporti. Figurarsi ora che in un mese saltano le due teste coronate più ingombranti, i simboli della romanità nello spogliatoio e nella dirigenza: De Rossi prima, Totti poi. Era l’estate 2011 e Franco Baldini tornò a Roma al timone della nuova proprietà americana. Il primo atto pubblico fu un’intervista a Repubblica in cui appiccicò a Totti un’etichetta: «Pigro». Ne voleva sottolineare le potenzialità inespresse, per Francesco fu una coltellata. Peggio, la traccia di un intento concretizzato nel 2017: nella sua testa chi lo ha «fatto smettere» di giocare è uno solo: Franco Baldini. Chi c’era, all’epoca, ancora ricorda la prima riunione operativa: Baldini da una parte della sala, i “romani” della dirigenza dall’altra a evidenziare una distanza non solo filosofica. E l’annuncio del direttore generale: «L’ufficio di Totti a Trigoria? Nella sede del Real, Raul non ne ha uno». Il proposito di spogliare Totti della sua stanza fu il primo vero terreno di scontro di Baldini con il mito. La scelta di Luis Enrique di mandarlo in panchina nella prima partita della nuova gestione a metà agosto, per far posto a Okaka e Caprari, sembrò a Francesco la prova, una dichiarazione di intenti: fare a meno di lui. I sussurri di quell’estate del 2011 raccontavano che l’idea dei nuovi proprietari fosse di liberare dei totem per tornare vincenti. Pensieri che i fatti di lì a poco avrebbero smentito, visto che il contratto in scadenza di De Rossi fu rinnovato a cifre record e che a Totti fu “regalato” il ritorno dell’amico Zeman dopo la prima stagione.

A Baldini sono state imputate tante decapitazioni, all’ombra del ruolo da consulente che Pallotta gli ha cucito su misura. Quella dell’ex direttore sportivo Sabatini. Quella del Totti giocatore. Quella di Di Francesco e quindi quella di Monchi. Infine, quella più netta, del Totti dirigente. Londra, sua sede operativa nei mesi caldi, è vista universalmente come il centro di un potere parallelo a Trigoria, quello da cui passano le decisioni, soltanto subite a Trigoria. «Fa tutto Franco», è il ritornello. Ma il peso specifico che Roma riconosce a Baldini nelle scelte del presidente è un macigno che lui rigetta riducendolo a mera leggenda, sentendosi semmai alternativamente il capro espiatorio di chiunque fallisca o incontri il giudizio negativo del vulcanico Pallotta o la scusa di chi abbia bisogno di un alibi. Ai suoi occhi, forse, pure Totti lo ha usato come pretesto per giustificare la rinuncia a un ruolo impegnativo. C’era una festa ieri sera a casa di Totti: la organizza tutti gli anni, per festeggiare l’inizio dell’estate. Baldini non era nella lista degli invitati.


Liti, sgarbi e divergenze: un amore lungo 30 anni logorato negli ultimi tre

LA REPUBBLICA - FERRAZZA - «Torneremo grandi insieme». A rileggerle adesso le parole scelte da Totti per salutare De Rossi, un mesetto fa, suonano come un prematuro addio alla Roma, legato alla promessa di rientrare, un giorno, da protagonisti. È in quel momento che l’ex numero 10 ha forse davvero maturato la volontà di lasciare dopo trent’anni Trigoria, la sua seconda casa, stanco di essere usato solo come una bandiera da sventolare nei momenti di difficoltà. D’altra parte gli ultimi tre anni e mezzo di Francesco in giallorosso non sono stati dei più semplici, costretto ad avvicinarsi prima all’addio al calcio, e poi alla società, in mezzo a troppe incomprensioni. Tutto comincia con l’arrivo di Spalletti sulla panchina, scelto da Baldini — come svelerà lo stesso Francesco nella sua biografia — proprio per spingerlo ad attaccare gli scarpini al chiodo. È il 14 gennaio 2016, al posto di Garcia torna il toscano, e il feeling con il capitano non decolla. Totti, un mese dopo l’arrivo del tecnico, rilascia da Trigoria un’intervista a Rai Uno in cui parla di un rapporto freddo con l’allenatore, fatto solo di «Buongiorno e buonasera», chiedendo da lui più rispetto e correttezza. Spalletti reagisce così: non convoca Francesco per la partita col Palermo, e lo allontana da Trigoria. Seguono mesi complicati, nei quali il giocatore si rivela ancora decisivo nonostante l’età e Pallotta si ritrova costretto, a furor di popolo, a rinnovargli per un anno il contratto. Scelta mal digerita da Spalletti che comincia una battaglia dialettica con i giornalisti sulla questione Totti. Per i quarant’anni del capitano, arriva poi l’intervista alla Gazzetta della moglie Ilary, che scuote di nuovo le acque semi-calme. «È un piccolo uomo», l’accusa della showgirl a Spalletti. L’ultima stagione da giocatore è complicata, tra tantissime panchine e passerelle negate, come quella di Milano. Fino al 28 maggio 2017, giorno di Roma-Genoa e di quello straziante addio al calcio che ha fatto il giro del mondo. Dopo qualche settimana Francesco, ancora sotto choc per la fine della sua carriera, accetta di restare in società senza un ruolo definito. Esce la sua biografia in occasione dei 41 anni, con la parte dedicata a Baldini («Mi ha detto a Londra che voleva vendermi da anni, ma tutti gli allenatori gli chiedevano di tenermi. Fino a Spalletti»), e la richiesta di diventare vice-presidente.

Negli ultimi mesi si è parlato molto della possibilità di una promozione a direttore tecnico, con Tottia dichiarare: «Se avrò più potere cambierò qualcosa», dopo aver scelto e contattato Ranieri per sostituire Di Francesco. Arriva però la decisione da Londra di non lasciar fare un altro anno da calciatore a De Rossi, decisione a cui Francesco era contrario («Deve decidere Daniele») e che ribadisce all’amico il giorno di Roma-Parma in un audio rubato dai microfoni («Io non volevo»). De Rossi nella conferenza stampa di addio auspica maggior operatività per Francesco. Lui resta in silenzio, ormai sempre più vicino all’idea di andarsene. Poi l’inchiesta di Repubblica, la pubblicazione della mail che racconta di una fronda guidata da De Rossi proprio contro Totti, che fa infuriare l’ex capitano, avvicinandolo ancora di più a Daniele perché convinti di essere vittime, con la fuga di notizie, di una manovra societaria per metterli uno contro l’altro. Fino all’incontro di Madrid con Fonseca, presenti Fienga e Petrachi, dal quale viene escluso, salvo essere invitato a Londra, a giochi fatti, da Pallotta. Lì il rifiuto, non solo al summit, ma alla carica di dt e a un’ulteriore permanenza nella Roma.


Verdone: «Non posso pensare a una Roma senza più Francesco»

LA REPUBBLICA - MONTINI - «Se era difficile immaginare una Roma senza Totti in campo, è quasi impensabile pensare a Totti lontano dalla Roma». Le parole di Carlo Verdone esprimono un sentimento diffuso fra i tifosi giallorossi. «Sono interdetto — prosegue l’attore e regista impegnato sul set del suo nuovo film in Puglia — e ovviamente dispiaciuto. Conosco Francesco, ma di questi argomenti non abbiamo mai avuto occasione di parlare. Pertanto azzardo solo delle ipotesi: credo che Totti non riesca ad identificare un proprio ruolo nella società e non abbia voglia di continuare a funzionare semplicemente come uomo immagine. Francesco è una persona sincera e onesta e, se la situazione non è di suo gradimento, è giusto che esprima dubbi e perplessità».

Del resto non è il solo ...
«Tutti i tifosi della Roma sono giustamente preoccupati: in questi giorni si parla solo di cessioni. Pare scontato che se ne andranno i giocatori più talentuosi e, forse, anche i nomi più promettenti. Stando ad alcune indiscrezioni stampa, perfino Zaniolo sarebbe in procinto di partire, destinazione Juventus. La Roma in questo momento ha un nuovo allenatore, ma non ha una squadra. Non credo si possa pensare di affrontare il prossimo campionato senza alcuna ambizione: sarebbe un suicidio».

Il rischio è che si ingigantisca ulteriormente il contrasto fra la dirigenza e i tifosi?
«Più che la contestazione nei confronti della società, che può essere perfino un segnale di amore e di vitalità, mi preoccupa il progressivo disamoramento nei confronti della squadra. Non vorrei che i tifosi giallorossi si siano già rassegnati al peggio. Ora tocca alla società mandare qualche segnale: personalmente mi auguro qualche mossa a sorpresa, in grado di fornire un’iniezione di entusiasmo ad un ambiente complessivamente depresso».

Non pensa che, come accaduto in passato con Giacomo Losi, Paulo Roberto Falcao, Agostino Di Bartolomei, a Roma ogni volta che un giocatore bandiera abbandona tutto viene eccessivamente esasperato?
«Forse è così: il fatto è che il tifoso giallorosso brucia di passione pura, autentica, irrefrenabile».


Totti dice basta, ha vinto Baldini. Addio alla Roma dei romanisti

CORRIERE DELLA SERA - La Roma romana e romanista non esiste più. Via Daniele De Rossi, a cui non è stato rinnovato il contratto. Via Claudio Ranieri, al termine del suo periodo in panchina da traghettatore. Via Francesco Totti, che domani alle 14 spiegherà nel Salone d’onore del Coni perché ha deciso di separare la sua strada da quella di James Pallotta e Franco Baldini. Basta rileggere qualche passo di «Un capitano», l’autobiografia scritta con Paolo Condò, per capire che la rottura che sarà sancita tra poche ore era il fuoco che covava sotto la cenere. Per descrivere il suo addio al calcio, per esempio, Totti ha usato addirittura il paragone della rivelazione dell’assassino: «Quando io e Ilary andiamo a Londra per incontrare Pallotta troviamo all’incontro anche Franco Baldini... “Sono stato io, Francesco”. “A fare cosa, Franco?”. “A farti ritirare. (…) Vedrai che dalla prossima stagione, la Roma, liberata da una presenza così ingombrante, e per la quale nutre una profonda gratitudine, aprirà un nuovo capitolo della sua storia. Un capitolo felice e tu ci sarai comunque”». Totti c’è stato, come dirigente, per due anni. Ma non è stato certo un capitolo felice. Il gruppo di lavoro con Di Francesco e Monchi è stato smantellato con l’esonero dell’allenatore e il ritorno a Siviglia del direttore sportivo. L’ultimo campionato si è chiuso con la Roma fuori dalla Champions League e in mezzo a polemiche di tutti i tipi. La società, ora, è «detottizzata» e «deromanizzata».