Bavagnoli: "Siamo un gruppo unito e tutte devono esserci con la testa, dobbiamo fare un salto di qualità mentale”

Elisabetta Bavagnoli, tecnico della Roma Femminile, ha parlato ai microfoni di Sky Sport dopo il grande inizio di stagione. Queste le sue parole:

Ti aspettavi questo avvio di stagione?
“Dopo cinque giornate, devo dire che non mi aspettavo questo percorso, anche se è arrivato attraverso tante difficoltà. Devo dire però che questi tre punti contro il Sassuolo sono fondamentali. Abbiamo già affrontato due big del campionato, trovarci a meno uno dal secondo posto è un ottimo risultato”.

I prossimi impegni?
“Non ci poniamo limiti, sicuramente la partita di ieri ci ha messo di fronte a tante cose belle che abbiamo fatto, ma ci sono anche difficoltà su cui lavorare”.

Il cambio di modulo?
“Nel calcio femminile, se vogliamo crescere, dobbiamo trovare soluzioni diverse. Il cambio di modulo è dovuto anche alle caratteristiche di alcune calciatrici. Andressa fino ad ora non era al 100%, ora che sta crescendo ho pensato di metterla nella condizione migliore per potersi esprimere. Quello del 4-2-3-1 di ieri (contro il Sassuolo, ndr) era un esperimento, sono contenta per alcune cose, molto arrabbiata per altre”.

Nel secondo tempo contro il Sassuolo c’è stato un calo mentale?
“Penso che sia stato un calo mentale e mi preoccupa di più rispetto ad un calo fisico. Ci dovrò lavorare tanto con le ragazze, siamo un gruppo unito e tutte devono esserci con la testa, dobbiamo fare un salto di qualità mentale”.

Giugliano ha parlato della sofferenza nel secondo tempo, sei d’accordo con la sua analisi?
“Non ho parlato ieri dopo la gara con la squadra, sono contenta che Giugliano abbia fatto un’analisi puntuale sulla partita. Quando torneremo tutti insieme parleremo e analizzeremo i problemi. Dobbiamo migliorare da un punto di vista agonistico. Ieri abbiamo avuto occasioni per chiudere la partita, ma non le abbiamo sfruttate, dobbiamo essere più cattive”.

Credi nello Scudetto?
“In questo momento credo a tutto, perché credo moltissimo nelle mie giocatrici e nella loro voglia di migliorarsi. È mia responsabilità lavorare bene sulla loro testa”.

Un giudizio su Girelli?
“Parliamo di una grandissima professionista, in forma straordinaria. Per la Nazionale non si può prescindere da lei in questo momento. È sempre stata una calciatrice duttile e intelligente tatticamente, che si adatta al sistema di gioco e tutti la vorrebbero”.

Sulla Nazionale?
“È giusto analizzare le nostre gare, non si può prescindere dal bel gioco e l’Italia è nella condizione di mostrarlo. Bertolini (CT dell’Italia, ndr) ora sta sperimentando, come giusto che sia”.


Pastore: "Il mio obiettivo è essere sempre a disposizione dell'allenatore, per novanta o dieci minuti"

Javier Pastore, si è raccontato al sito del club giallorosso asroma.com. Queste le sue parole:

Che ricordi hai del tuo rapporto con il calcio quando eri bambino?

“I ricordi sono tanti, perché era l’unica cosa che facevo da quando avevo quattro anni. Ho ancora delle foto, con la palla sempre accanto. Volevo fare solo quello, a scuola o per la strada con gli amici. Non c’erano i videogiochi come oggi e noi da piccoli pensavamo solo al calcio”.

Dove giocavi?

“Ogni quartiere della mia città natale, Cordoba, organizzava un piccolo torneo amatoriale. E io mi ricordo che li facevo tutti. Anche quello organizzato nella zona in cui viveva mio cugino o altri miei amici. Ognuno portava una squadra, con il papà di uno di noi come allenatore. E io andavo ovunque pur di giocare”.

Sei sempre stato un calciatore tecnico?

“Mi ricordo che giocavo con mio zio in garage con la pallina da tennis. Mi diceva “se riesci a giocare con questa poi con quella più grande sarà più facile”. Provavo i palleggi, la calciavo sul muro di potenza e dovevo farmela tornare sui piedi. Questo avveniva tutti i giorni, era la mia passione”.

Il tuo desiderio è sempre stato quello di diventare un calciatore professionista?

“Era il mio pensiero fisso, sempre”.

Chi era il tuo idolo da bambino?

“Quando ero piccolo senza dubbio Batistuta. In quel momento giocava in nazionale, in Italia segnava tanto e si parlava solo di lui. Avevo il poster nella mia camera. Quando venne alla Roma, mio padre mi regalò la sua maglia, fu una cosa bellissima. Poi quando sono cresciuto un po’ di più adoravo Riquelme. Era un punto di riferimento come numero 10”.

Com’è iniziata la tua carriera? Hai subito capito che ce l’avresti fatta?

“In realtà non è stato semplicissimo. In Argentina è avvenuto tutto molto velocemente. Ho iniziato a giocare in Serie B con il Talleres di Cordoba, la squadra della mia città. Ho fatto l’esordio con la prima squadra, giocando tre o quattro partite. E poi sono tornato a giocare con le giovanili. È stato un momento molto difficile, perché pensavo di essere già arrivato. Dal ritiro e l’esordio con in più grandi, tornare indietro rappresentò una delusione. Ho dovuto ricominciare, con la stessa voglia di sempre, ma non fu facile”.

Poi cosa è successo?

“Dopo sei mesi sono andato a Buenos Aires con l’Huracan, in Prima Squadra. Ho fatto il ritiro con loro ma non potevo giocare per una questione burocratica, mi allenavo da solo a volte e ho saltato il campionato di Apertura. Quando i documenti si sono sbloccati, ho fatto il secondo ritiro con loro e mi sono rotto la caviglia. Per questo ho dovuto saltare anche il torneo di Clausura. Mi sembrava di avere tutto contro. È stato davvero difficile, ho giocato solo cinque partite. Il campionato seguente l’ho giocato tutto da titolare e in sei mesi mi è cambiata la vita”.

Come ti sei sentito a quel punto?

“Non avevo mai fatto una presenza da titolare nella Primera Division e sono arrivato a giocare venti partite di seguito, tutte bene. A quel punto è arrivata la chiamata dall’Italia e non ho avuto nemmeno il tempo di realizzare costa stesse accadendo”.

Come nasce la tua cessione al Palermo?

“Sono venuti a osservare le mie prestazioni per due mesi. Per me era un sogno giocare in Europa. È stato straordinario, mi hanno convinto subito. Non ci ho pensato due volte. Alla prima possibilità ho accettato”.

Hai avuto un po’ di paura?

“Mai, nessuna paura. Era il mio sogno. Venivo per la cosa che so fare meglio: giocare a calcio. La mia famiglia mi ha supportato, perché è venuta con me. E tutto questo mi ha dato tanta fiducia”.

Cosa di porti dentro dall’esperienza al Palermo?

“È stata un’esperienza bellissima. Rappresentano due anni indimenticabili. La squadra giocava bene, abbiamo fatto cose importanti in quegli anni. Siamo arrivati quarti in campionato, a un punto dalla Champions, in finale di Coppa Italia, abbiamo giocato l’Europa League. Abbiamo fatto delle cose che non si vedevano da anni in quella città. Ho tanti bei ricordi, la gente è stata magnifica con me. È il posto in cui ho conosciuto mia moglie. Rimarrà sempre nel mio cuore, una parte della Sicilia è con me a casa”.

Che differenza hai notato tra il calcio argentino e quello italiano?

“La differenza è tattica. Qui si preparano molto di più le partite. Lì si lascia molta più libertà ai calciatori. Qui è differente, anche rispetto alla Francia. Poi in campo si va sempre undici contro undici, ma qui nella preparazione e negli allenamenti si sta molto più attenti a certi aspetti”.

Quando è arrivata l’opportunità del PSG?

“Il secondo anno ho fatto molto bene a Palermo e avevo già capito che per la società la mia cessione avrebbe rappresentato una grande opportunità, con i ricavi potevano mettere su una nuova squadra. Per me rappresentava un passo importante per crescere e migliorare. Negli ultimi due mesi della mia seconda stagione al Palermo si parlava già di una mia uscita. C’era il mio agente a lavorare su questo aspetto, ma gli ho detto che non ne volevo sapere niente, volevo concentrarmi sul campionato”.

E alla fine sei andato in Francia. Cosa ha rappresentato questa esperienza per te?

“Una grande esperienza. Sono stati sette anni densi di avvenimenti. Sono arrivato in una squadra completamente diversa rispetto a quella che avevo lasciato. Ho visto il club crescere assieme a me, hanno cambiato allenatori, hanno fatto passi da gigante con i media, hanno rinnovato il centro sportivo e lo stadio, hanno migliorato tutto. Sono molto felice di essere stato con loro attraverso tutti questi cambiamenti. Mi hanno reso felice. Quando sono arrivato, il PSG non era quello che conosciamo oggi e io sono orgoglioso di aver dato il mio apporto. Non cambierei nulla di questi anni. Abbiamo vinto tanti titoli e ho lasciato un bel ricordo ai tifosi e alla gente in Francia: questa è la cosa più importante”.

E poi c’è stata la chiamata della Roma.

“Ha rappresentato una bellissima opportunità. Volevo cambiare squadra per sentirmi di nuovo un giocatore importante e riprendermi il ruolo perso al PSG, per l’arrivo di tanti altri giocatori di livello. La Roma era la miglior proposta, parliamo di una grande città che io e mia moglie adoriamo”.

Il primo anno però non è stato semplice. Cosa hai provato in quel periodo?

“L’avventura è partita bene ed ero molto entusiasta di giocare qui. Poi purtroppo mi sono fatto male un paio di volte di seguito e poi c’è stato l’infortunio al Derby di andata. A settembre già è iniziato ad andare tutto male. Avevo perso la fiducia dell’allenatore, perché non ero mai in campo. Fisicamente non sono stato mai bene, non riuscivo a gestire bene gli allenamenti o a migliorare la condizione fisica. Ho fatto pochissime partite e non è stato un anno facile, a livello personale e sportivo”.

Poi è arrivata l’estate, cosa hai pensato prima dell’inizio della stagione?

“Avevo tante cose per la testa. Stavano avvenendo tanti cambiamenti nel Club ed era tutto un punto interrogativo per me. Mi sono preso i primi giorni di vacanza con la mia famiglia, ma prima di ricominciare la stagione ho voluto parlare con la Società e con l’allenatore, volevo sapere cosa pensavano di me. Ero a conoscenza di non aver fatto bene l’anno precedente, mi faceva male ripensare alla mia ultima stagione e non volevo che le idee del nuovo tecnico venissero influenzate da quelle prestazioni. Dal primo giorno la Società mi ha comunicato che il cambio di allenatore sarebbe stato positivo per tutti. Nei primi allenamenti ho dimostrato subito di voler cambiare quello che era stato un anno brutto, da parte mia e di tutta la squadra. L’allenatore è stato sempre molto onesto, ha dimostrato di aver fiducia in me. Mi ha chiesto di dimenticare quanto accaduto prima, di allenarmi al cento per cento. Mi hanno gestito bene. Ho parlato con lo staff, gli ho detto che l’anno precedente non ero mai riuscito a trovare la forma giusta: per diverse necessità ero dovuto comunque scendere in campo e per questo non facevo bene per la squadra e mi facevo male pure io”.

In che modo ti sei preparato per la nuova stagione?

“In quei giorni ho parlato molto con l’allenatore e con lo staff. Potevo provare a raggiungere la migliore condizione fisica giocando tutte le amichevoli, ma per una settimana abbiamo scelto insieme di fermarci. Non è stato un infortunio, ma con le doppie sedute ogni giorno, conoscendo bene il mio corpo, ho chiesto di poter recuperare un po’ di più, non giocare qualche amichevole e allenarmi da solo, perché avevo sentito dei crampi. Sono consapevole che in quei giorni durante le amichevoli ti guadagni un posto e sapevo che non giocando rischiavo di perdere un’opportunità. Ma ho preferito non rischiare di farmi male subito, per evitare di stare fuori durante le partite importanti. L’allenatore ha accettato, mi ha detto “allenati bene in questi giorni perché per la prima partita devi stare bene”. Il mister mi ha fatto giocare per pochi minuti, per poter riprendere con calma la condizione giusta. E ora il mio fisico inizia a sentirsi lo stesso di prima”.

Oltre a questo lavoro fisico, a livello tattico cosa ti ha richiesto Fonseca?

“Tanto, soprattutto i primi mesi. Abbiamo lavorato su diversi aspetti. Vuole che un centrocampista punti sempre la porta avversaria e che non sia rivolto verso la nostra area. Ho dovuto concentrarmi molto in allenamento, perché io ero abituato a stare spalle alla porta, per fare uno-due con i compagni. Il mister, però, vuole che giochiamo in avanti, facendo un continuo cambio gioco da destra a sinistra. Ma la cosa più importante è la fiducia che ci dà il tecnico e il modo in cui ci parla. Io ho avuto diversi allenatori e ho appreso tanto da tutti: posso dire che questo staff tecnico ha un'enorme voglia di fare e bene e di vincere. Sono tutti ragazzi giovani, hanno tante convinzioni importanti e ce le trasmettono. Per una squadra come la Roma che vuole puntare in alto tutto questo è fondamentale”.

E sei riuscito a trasformare i fischi in applausi con le ultime prestazioni. Quanto è stato difficile sentire che non avevi la fiducia del pubblico?

“I fischi li ho presi in tutte le squadre in cui ho giocato, così come gli applausi. È per il mio stile di gioco. Se sto bene riesco a dare il meglio, ma se fisicamente non ci sono non riesco a dare il massimo. A volte se non hai la forza di correre indietro ti tieni per fare una corsa buona in avanti. E tutto questo lo spettatore lo nota. Io a volte apprezzo più i fischi. Quando le cose vanno bene è evidente, ma quando vanno male hai bisogno di una reazione del pubblico. Sono cose che personalmente mi danno qualcosa in più, mi dico “ok, forse è meglio che vado due ore prima all’allenamento”. Lo ha visto la gente che non stavo bene e lo vedevano anche mia moglie e mia mamma. La mia famiglia si è preoccupata tanto, si rendevano conto che qualcosa non andava, venivano qui tutti i mesi facendomi delle domande sulle mie condizioni. E se riuscivano a rendersene conto loro, figuriamoci i tifosi che sono tutte le domeniche allo stadio. Queste sono cose che ti fanno riflettere. Alla fine questa rappresenta una passione per noi, ma è anche un lavoro e dobbiamo rispettare la gente che ci segue per la professione che pratichiamo”.

Forse c’è l’imbarazzo della scelta tra tutti quelli con cui hai giocato: ma qual è il calciatore con cui ti sei trovato meglio?

“Ce ne sono stati tanti. L’attaccante più forte con cui ho giocato è Cavani, perché va a genio con le mie qualità. A me piace fare assist per i gol e ho avuto un buon feeling con tanti compagni di squadra, ma con lui più di tutti: è devastante come punta. E poi non posso non citare Ibrahimovic. Se includiamo tutti gli aspetti, tra cui la mentalità, la professionalità, è incredibile: è il giocatore che mi ha ispirato di più a migliorare. Se lo guardi in allenamento impari. Ci sono ancora in contatto, sono molto legato a lui, è uno dei migliori compagni di squadra che abbia mai avuto”.

Sei andato a Parigi a 22 anni, quanto ti ha aiutato a crescere quell'esperienza?

“Tanto. Il primo anno è stato un po’ difficile, per la lingua e la cultura diversa, ero giovane, più chiuso e molto timido. Parlavo meno con i compagni e con la gente, non mi relazionavo bene con loro. Ero davvero un ragazzino. Mi ero demoralizzato, dentro di me pensavo “non riuscirò mai a imparare il francese, non riesco a capirlo”. Era tutta una questione di testa. Dal secondo anno mi sono messo sotto, ho messo la timidezza da una parte e ho iniziato a parlare: parlavo male ma non me ne importava niente, l’importante era farmi capire. Da quel momento sono riuscito a entrare in contatto con in compagni e con la città, anche assieme a mia moglie. Ho capito che Parigi è un posto magico. Lì sono diventato un uomo e ci è nata mia figlia: ero un ragazzino e sono diventato un padre”.

Qual è il tuo gol a cui sei più legato?

“Quello che ho fatto in Champions contro il Chelsea, con il PSG. Sono entrato a cinque minuti dalla fine della partita e da un’azione così è uscito un gran col che nessuno si aspettava. È uno dei più belli”.

Quanto è cambiato il calcio rispetto a quando sei arrivato in Italia?

“Oggi si difende tutti insieme e si attacca tutti insieme. Dieci anni fa era diverso. Quando sono arrivato, però, ero giovane e pensavo solo a divertirmi”.

Oggi per un giovane è più facile o più difficile fare carriera?

“Posso parlare per quello che ho vissuto io, ma per me è più difficile. Penso anche alle relazioni che ho con i giovani in argentina. Oggi si pensano solo ai soldi. Ci sono tante famiglie o ragazzini che pensano a giocare per fare i soldi e basta, anche nelle basse categorie. Non dico che io non ne abbia fatti in carriera, ma non può essere quello il primo motivo. Così si lasciano la passione e il calcio da parte. Quando fai così arrivare in alto è più difficile. Una cosa devi farla perché la ami. I soldi arrivano dopo. Non puoi pensare al denaro prima di arrivare in Serie A. Oggi a tanti ragazzini vengono date certe cose prima di guadagnarsele”.

Che consigli daresti a un giovane?

“Giocare con passione a calcio, dare tutto. Imparare da ogni allenamento, questa è la base. Il resto arriva da solo. Serve la testa e anche un po’ di fortuna. Poi le cose arrivano”.

Qual è il consiglio più importante che hai ricevuto in carriera?

“Io ho tante persone che mi hanno aiutato. Il mio agente per primo, Simonian, sto con lui da 16 anni e mi ha sempre detto di concentrarmi solo a giocare. Una delle tante cose che mi ha insegnato. Poi calcisticamente mi ha toccato tanto Walter Sabatini, la persona che mi ha portato in Europa. Lui mi dava tanti consigli quando lavoravamo insieme a Palermo, parlavamo praticamente ogni giorno”.

Cosa ti diceva?

“Mi parlava di tutto, di vita e di calcio. Ero come un figlio. Arrivato a Palermo non riuscivo a fare nulla, nemmeno in allenamento. Mi chiamava nel suo ufficio a rivedere la partita giocata la domenica. Facevano quaranta gradi in quell’ufficio e io volevo andare in spiaggia. Lui mi teneva lì a rivedere il match e mi diceva “riguardatelo tre volte e poi mi dici cosa hai notato”. Andava via e faceva le sue cose, dopo il novantesimo tornava e mi diceva “ok, cosa hai notato?”. E io rispondevo: “Direttore, ho fatto qualche giocata buona”. E lui ribatteva “no, qua hai alzato un braccio contro un compagno perché non ti ha passato la palla, qui non hai corso dieci metri indietro”. Mi segnalava una serie di cose che uno non vede a 19 anni. E lui me le ha fatte notare tutte. Sono stati dettagli importanti dentro e fuori dal campo. Calcisticamente mi ha aiutato tanto”.

Quanto ti hanno fatto crescere gli anni al Palermo?

“Moltissimo. Oltre al rapporto con Sabatini, Delio Rossi mi ha insegnato dei movimenti in un mese che nessuno mi aveva mai detto in tutta la mia carriera. Facevamo un lavoro individuale, io e lui da soli al termine dell’allenamento. Pensavo che non mi servisse a niente, ma mi disse “per un po’ non giochi titolare e vai in panchina, quando finisci un mese di tattica con me ti rimetto in campo”. Fu di parola: dopo trenta giorni mi schierò titolare, ero un altro giocatore”.

Chi è Javier Pastore fuori dal campo?

“Un ragazzo, anzi un vecchietto (ride, ndr), normale. Mi piace stare a casa con la famiglia, voglio vivere tranquillo”.

Qual è il tuo hobby preferito?

“Ora passare tempo con la mia famiglia. Quando ero giovane giocavo ai videogames. Adesso se ho un giorno libero magari gioco a volley. Mi piace tanto il cinema, con mia moglie ci andiamo tanto. In Francia non era semplice vederli in un’altra lingua quando avevamo un giorno libero venivamo a Roma con mia moglie per vedercene uno e tornavamo la mattina presto. Da quando sono qui è tutto più semplice”.

Cosa vedi nel tuo futuro quando smetterai fra tanti anni?

“Ora penso di farmi altri anni calcisticamente belli e poi ci penserò. Il calcio è la mia vita, farò sicuramente qualcosa in questo mondo. Ma ora ancora non lo so, la vita può cambiare da un giorno all’altro. Io sono argentino, mia moglie italiana, i miei figli sono nati in Francia. Chissà dove vivrò un giorno. Sceglieranno loro, sicuramente. Prima penso alla famiglia”.

Qual è l’obiettivo di questa stagione?

“Essere sempre a disposizione dell’allenatore, in ogni momento. Per novanta o dieci minuti. Voglio stare bene fisicamente e portare la Roma più in alto possibile. Il calcio è un gioco di squadra e se la Roma finisce in alto è perché tutta la squadra ha fatto bene, non solo un giocatore”.


Smentite le voci su Pepè, nessuna offerta dai giallorossi

Nei giorni scorsi si è parlato di un interesse della Roma per Pepè, talento brasiliano del Gremio. Romildo Bolza, presidente del club carioca, smentisce di aver ricevuto offerte dai giallorossi per il talento classe '97, per il quale serviranno più di 10 milioni e su cui si stanno muovendo anche Psg e Porto.


Allenamento Roma, domani appuntamento alle 10:45

La Roma torna ad allenarsi a Trigoria per prepararsi alla sfida di giovedì contro il Borussia Moenchengladbach. La seduta si svolgerà domani al Fulvio Bernardini a partire dalle 10:45.


Sempre Zaniolo. Roma sul podio, il Napoli in calo

LA REPUBBLICA - AZZI -  I nervi più saldi della Roma hanno prevalso su quelli scoperti del Napoli, al termine di una girandola di prodezze ed errori che hanno tenuto comunque in bilico il risultato fino alla fine, con il recupero allungato a dismisura da Rocchi (sei minuti) per colpa dell'inevitabile sospensione della partita nel secondo tempo, imposta dagli insistiti cori discriminatori scanditi dalla curva giallorossa. Non erano serviti nemmeno gli avvertimenti attraverso l'altoparlante e dunque al direttore di gara non è rimasta altra scelta: stop durato due minuti. E' stata l'unica macchia di una sfida zeppa di emozioni, in cui la squadra di Fonseca ha prevalso di misura (2-1) grazie alle reti di Zaniolo e Veretout, ma a conti fatti certamente con merito.

Ancelotti deve fare invece i conti con la peggior partenza degli azzurri nelle ultime cinque stagioni. Sono infatti addirittura sette - dopo sole undici giornate - i punti in meno rispetto a un anno fa. Era pure uno scontro diretto per la zona Champions League, e la vittoria della Roma ha dunque un peso specifico ancora maggiore, come ha sottolineato con grande soddisfazione Fonseca. "Avevamo di fronte un avversario forte e tutto sommato abbiamo sofferto davvero soltanto nella fase finale del primo tempo". I giallorossi a quel punto erano già avanti grazie a un bel gol di Zaniolo, ma il rigore parato poco dopo da Meret a Kolarov (mani di Callejon visto dal Var) aveva restituito entusiasmo al Napoli, partito invece malissimo e incapace di scrollarsi di dosso le polemiche del post Atalanta. Ieri mattina Ancelotti si era presentato davanti ai giudici della Corte d'Appello Federale nella speranza, vana, di farsi cancellare la squalifica. Poi ha assistito dalla tribuna alla partita e ai vani tentative degli azzurri di riaprirla subito prima dell'intervallo, con la traversa di Milik e il palo colpito da Zielinski.

La Roma ha barcollato, ma è rimasta in piedi. Merito di Fonseca, che ha trovato ancora una volta gli antidoti giusti per l'emergenza (bravo Mancini a centrocampo) e nella ripresa ha rimesso le cose a posto con l'aiuto del secondo rigore fischiato da Rocchi: netto mani di Mario Rui e trasformazione di Veretout. Il Napoli non ha invece mai dimostrato equilibrio, nemmeno nei suoi momenti migliori. Non a caso il portiere più impegnato è stato Meret. Si è sentita troppo l'assenza di Allan e la rete nel finale di Milik e servita dunque soltanto a placare i cori della curva giallorossa, ripresi purtroppo subito dopo il fischio finale.


Roma, allungo Champions

IL MESSAGGERO - TRANI -  L'allungo è prepotente e rumoroso. In campo e in classifica. Il 2-1 all'Olimpico contro il Napoli è il messaggio inviato al campionato dalla Roma. Che, con il 3° successo di fila, passa la notte al 3° posto, in attesa del risultato di Atalanta-Cagliari, lunch match di oggi a Bergamo. Fonseca, insomma, accelera in zona Champions e stacca proprio Ancelotti che, dopo aver perso terreno nella corsa scudetto (-11), adesso è scivolato al 7° posto con 4 punti di ritardo dai giallorossi.

PERCORSO COINVOLGENTE - La Roma, dunque, fa sul serio. Il tris di vittorie acquista più valore per il modo in cui è stato presentato. Evidente la crescita nelle ultime 3 partite. Tatticamente e caratterialmente: la prestazione di sostanza contro il Milan, quella in pieno controllo a Udine e la promozione nell'esame di maturità contro il Napoli, partito all'inizio del torneo come principale sfidante della Juve e già in frenata (appena 2 punti in 3 gare). Batterlo, quindi, nello spareggio Champions dà un senso al lavoro di Fonseca, ormai al centro del pianeta giallorosso. Il gioco lo fa lui.

STRAPPO DECISIVO - L'identità è riconoscibile nell'organizzazione di squadra. I giocatori sanno che cosa fare in campo: corti nei reparti, alti nella linea difensiva, sereni nel palleggio, assatanati nel pressing offensivo ed efficace dentro e fuori l'area di rigore. L'approccio, insomma, è per lasciare subito il segno. La famiglia Ancelotti, con il 4-4-2 che è l'assetto di casa, si è presto arresa davanti alla traccia essenziale e propositiva del portoghese: Carlo in tribuna (respinto in mattinata dalla Corte d'Appello Federale il ricorso d'urgenza per il turno di squalifica), e Davide in panchina. Ai 7 assenti. Fonseca ha fatto l'abitudine: il 4-1-4-1 è nato in piena emergenza, piazzando alle spalle di Dzeko sia Veretout, straordinario nel dinamismo, che Pastore, superbo per la qualità. E, sull'onda del guardiolismo, ha fatto la differenza nell'ultimo periodo. Solo 2 novità dopo il turno infrasettimanale, in difesa: Cetin per lo squalificato Fazio e Spinazzola al posto di Santon. Ribadito lo spartito: Mancini fa il play basso, lo stopper aggiunto e il motivatore scelto. Aiuta i compagni, a cominciare da Cetin, alla prima da titolare. Il lancio di Mancini, in stile Bonucci, per Spinazzola a destra, è il timbro sul vantaggio. Palla a rimorchio del terzino e sinistro terra aria di Zaniolo per il 4° gol consecutivo. A Rocchi sfugge il tocco di mano di Callejon. Ci pensa Aureliano: Var e rigore. Meret respinge il tiro di piatto del mancino Kolarov. La Roma si blocca dopo lo spreco. Il Napoli ne approfitta: sono 20 minuti di fuoco e 7 occasioni: Smalling salva sulla linea e in acrobazia dopo il colpo di testa di Di Lorenzo, Insigne di sinistro sull'esterno della rete, Milik di destro fuori, Insigne di destro e volo di Pau Lopez, traversa di Milik e palo di Zielinski nella stessa azione, rigore in movimento di Mertens in cielo.

AGGIUSTAMENTO IN CORSA - Fonseca sistema la Roma nell'intervallo. Avanti in pressing e partenza nella ripresa come quella di inizio match. Show sotto il diluvio. Ora il braccio è di Mario Rui. Rocchi vede e interviene: rigore. Veretout trasforma e raddoppia (10° marcatore in 14 gare). Traversa di Kluivert e ancora spettacolo. L'arbitro, dopo il richiamo dello speaker, sospende per 1 minuto la partita: cori della Sud contro i partenopei. Dzeko lo aiuta, ma i giallorossi si fermano di nuovo, come se il match non fosse ripreso. Lozano, dentro per Callejon, regala il 5° gol in 4 partite a Milik (6° in 5, contando quello con la Polonia) e l'apprensione finale ai giallorossi. Cetin scivola sul più bello. Ecco Perotti per Kluivert, Under (dopo 2 mesi) per Zaniolo e Santon per Pastore. Annullata la rete di testa di Dzeko (fuorigioco). Espulso, doppio giallo, Cetin a fine recupero. Ma il 3° posto rimane al sicuro (ultima volta il 20 maggio 2018).


Il segno di Zaniolo: "Felici e vincenti, puntiamo in alto"

LA REPUBBLICA - FERRAZZA - La Roma allunga il passo, lasciandosi il Napoli alle spalle con quattro punti di distanza. E piazzandosi comodamente in zona Champions. Una vittoria (la terza consecutiva) fatta di convinzione (2-1) ed equilibri ritrovati, una prova di maturità per un gruppo che cresce a vista d'occhio, nonostante le tante difficoltà legate a infortuni e arbitraggi. "Sono felicissimo per il periodo che sto attraversando e per il mio gol — è euforico di Nicolò Zaniolo, alla sua quarta rete consecutiva (Europa compresa) nel giorno in cui battezza la sua presenza numero 50 in giallorosso — ma soprattutto lo sono perché abbiamo battuto il Napoli, avversario che ci contende l'Europa. Ora continuiamo ad allenarci sperando di raggiungere qualcosa di grande".

Il segreto della svolta passa per Genova, dalla prova sottotono contro la Sampdoria. "Ci siamo parlati dicendoci che dovevamo fare di più e ritrovarci dopo lo scorso anno, e ce la stiamo facendo". Da quella trasferta la Roma è cambiata, ha voltato pagina improvvisamente, trovando un'identità all'interno dei tanti infortuni. "Abbiamo parlato con Fonseca e con il direttore Petrachi e dopo la Samp siamo cambiati", conferma Edin Dzeko, sempre più capitano in campo, con la maschera nel primo tempo, senza nella ripresa perché troppo fastidiosa. Il bosniaco ha anche calmato i tifosi, incitandoli a sostenere la Roma e a fermare i cori di discriminazione razziale, e contro i napoletani, che avevano costretto l'arbitro a sospendere la partita. "Tutti insieme stiamo diventando più forti — la spiegazione di Fonseca — i giocatori hanno capito che è un momento in cui dobbiamo lottare più che mai e per me la cosa più importante è l'atteggiamento della squadra. Ma ricordiamoci che non abbiamo vinto niente e dobbiamo pensare solo alla prossima partita".

La vittoria contro il Napoli cambia la stagione dei giallorossi, ed esalta Zaniolo e Jordan Veretout, al suo primo centro nella capitale. Il francese è stato preciso su rigore, dopo l'errore dal dischetto di Kolarov. Impressionante la crescita di Javier Pastore, uscito tra gli applausi dell'Olimpico, bravo a far dimenticare i fischi presi a inizio stagione. "Sono momenti belli perché i tifosi ci seguono sempre — le parole dell'argentino — tutto dipende da ciò che facciamo in campo e la squadra ora sta facendo cose belle. Io sento tanto la vicinanza della società e del mister, la loro fiducia mi ha aiutato".


Paulo smorza l'euforia e incorona Mancini

IL MESSAGGERO - CARINA - «Non abbiamo vinto nulla». Fonseca vola basso. Per una notte (almeno) la Roma è terza ma il tecnico frena gli entusiasmi. È appena arrivato ma dà l'idea di aver già capito tutto: «I ragazzi stanno capendo che insieme sono più forti. Dzeko, ad esempio, non ha fatto gol ma ha lavorato tanto per la squadra. La prova di Mancini? Dà un equilibrio importante, è un calciatore molto intelligente tatticamente, sta facendo un lavoro importante. Abbiamo fatto una bella partita, battuto una grande squadra, ma bisogna capire che non abbiamo vinto ancora niente. Sono tuttavia felice perché nelle difficoltà la squadra s'è ritrovata». Analizza la gara: «Dopo il primo rigore abbiamo smesso di pressare alto e il Napoli e ha iniziato a giocare sul corridoio sinistro. Lì serviva che Mancini si abbassasse più vicino ai difensori. Nella ripresa non ce n'è stato bisogno, abbiamo pressato meglio sulla loro prima costruzione e non abbiamo avuto problemi. Se possiamo dare fastidio a Juve e Inter? Sono due squadre molto forti, pensiamo alla prossima gara di giovedì».

LA GIOIA DI NICOLÒ - Copertina per Zaniolo, al quarto gol consecutivo: «Spero di segnarne tanti altri. Abbiamo grandi mezzi, dovevamo ritrovarci dopo la scorsa stagione e lo stiamo facendo». Poi rivela: «Nell'intervallo Fonseca ci ha detto che il secondo tempo avremmo dovuto affrontarlo come i primi 25 minuti, noi lo abbiamo seguito. Sono felicissimo per questo periodo che sto attraversando». Palla a Pastore, ancora una volta tra i più positivi: «Abbiamo corso un'altra volta tantissimo. Cosa è cambiato con Fonseca? Mi ha dato molta più fiducia. Ha parlato molto con me all'inizio del campionato. Ha gestito molto bene i miei allenamenti, adesso sto bene. L'errore da non commettere? Di pensare che abbiamo già vinto qualcosa». Veretout affida invece a Twitter la sua gioia: «Finalmente è arrivato! Il mio primo gol in giallorosso. La settimana è perfetta! Tre partite, 9 punti e la consapevolezza di essere forti». Di altro tenore le parole di Insigne: «Non era facile scendere in campo dopo quello che è successo con l'Atalanta. I rigori? Contro la Roma ne è stato fischiato uno grazie alla tecnologia, cosa che non è accaduta a noi. Il Var deve funzionare per tutti. Ora testa al Lipsia, è una finale».


La rotta di Fonseca: «Mentalità giusta, ma senza esaltarsi»

GAZZETTA DELLO SPORT - Alla fine Fonseca si gode ovviamente la terza vittoria consecutiva in campionato, quella che proietta lui e la Roma temporaneamente al terzo posto, in attesa di vedere cosa farà oggi l’Atalanta con il Cagliari. Ma, soprattutto, non perde occasione per sottolineare una cosa: «Non abbiamo vinto niente, dobbiamo continuare a giocare con questo atteggiamento e pensare solo alla prossima partita». Lo ripete quasi come un mantra, perché quello è l’obiettivo. Tenere basso l’entusiasmo, evitare che ci siano voli pindarici, impedire che si alzi l’asticella e non si resti con i piedi per terra. [...]

Se Cetin, all’esordio da titolare, chiede scusa via social per l’espulsione, anche ieri a giocare una partita strepitosa è stato Gianluca Mancini, capace di dare anche un paio di palle meravigliose, con il contagiri. «Mancini ci sta dando un equilibrio importante, è tatticamente molto intelligente e si carica un lavoro fondamentale per la squadra». E Cetin? «Per me ha fatto una grande partita, non dobbiamo dimenticarci che era la prima volta che giocava e che è un ragazzo che ha poca esperienza».

[...] Buona notizia per la Roma: Cristante non si opererà ma farà una terapia conservativa (60 giorni) per il problema al tendine del pube. [...]


«Vesuvio lavali col fuoco». E Rocchi ferma il match

IL MESSAGGERO - Al minuto 68' di Roma-Napoli mentre i giallorossi erano in vantaggio 2-0 è in piena fase offensiva, l'arbitro Rocchi ha sospeso la partita perché dalla Curva Sud si è alzato il becero coro: «Vesuvio lavali col fuoco», segnalato da Koulibaly e indirizzato ai tifosi partenopei. Una decisione presa dopo che lo speaker dell'Olimpico aveva avvisato il pubblico che se fossero continuati i cori a sfondo razzista l'arbitro avrebbe potuto fermare il match.

NUOVE REGOLE - In effetti il nuovo regolamento prevede che già al primo annuncio il direttore di gara può fermare il gioco, di sua iniziativa o su suggerimento del responsabile dell'ordine pubblico designato dal ministero dell'Interno, dei collaboratori della Procura federale o, in loro assenza, del delegato della Lega Serie A. Così è stato, perché le due squadre sono state chiamate a centrocampo e ci sono rimaste per circa un minuto e mezzo durante il quale capitan Dzeko ha chiesto alla Curva di sostenere esclusivamente la squadra, senza insultare gli avversari. Rocchi lo ha ringraziato stringendogli la mano e ha fatto ricominciare la partita. Tutto è filato liscio fino al termine della gara, ma quando le squadre erano ormai negli spogliatoi qualche tifoso ha ricominciato con gli stessi cori.

PROVVEDIMENTI - Cosa rischia la Roma? Si va da una multa, fino alla squalifica del settore, con sospensiva, per una giornata. Da segnalare che mentre la Curva cantava il coro di discriminazione razziale il resto dello stadio fischiava per esprimere la propria disapprovazione. In conferenza stampa Fonseca racconta come ha vissuto quel momento: «Devo dire che non avevo capito cosa fosse successo. Sono contro qualsiasi discriminazione, ma succede in molte partite e in tutto il mondo. Per me è stato più importante che il nostro capitano abbia parlato con i tifosi e loro non lo hanno più fatto». Infine, per Rocchi (di Firenze) i complimenti del suo concittadino e leader di Italia Viva, Matteo Renzi: «Conosco Gianluca Rocchi da anni - è il tweet dell'ex premier -. Fin dal settore giovanile ha sempre dimostrato di essere un grandissimo arbitro. Oggi bloccando la partita all'Olimpico per i cori contro la città di Napoli ha dimostrato a tutti di essere anche una grandissima persona».


Roma show: Zaniolo e Veretout affondano il Napoli. La Fonseca band sale al 3° posto

GAZZETTA DELLO SPORT - Ma che bella partita, di quelle che riconciliano con il calcio. Così bella che ha resistito al tentativo di avvelenamento: bravissimo l’arbitro Rocchi a sospendere il match per i soliti cori discriminatori. Un Roma-Napoli pieno di gioco e di talento, uno scrigno in cui hanno brillato due ragazzi italiani, Nicolò Zaniolo e Alex Meret. La Roma ha raggiunto una notevole maturità di squadra, con traiettorie definite, ha vinto e in attesa dell’Atalanta si è goduta una notte al terzo posto. [...]

Roma-Napoli è cominciata piano, reciproca diffidenza iniziale, ma due tendenze erano chiare. [...] Mancini, difensore adattato a centrocampista, ha innescato Spinazzola sulla destra, il terzino ha dispiegato la falcata da quattrocentista e ha servito Zaniolo al traino, che ha mirato l’incrocio alla sinistra di Meret e lì ha messo la palla, con tiro potente e preciso. [...] Dopo il rigore sbagliato da Kolarov e parato da Meret il Napoli ha edificato il suo momento migliore, venti minuti in cui ha messo la Roma alle corde, ma se la fortuna è cieca, la sfiga ci vede benissimo: salvataggio di Smalling sulla linea, gran Lopez su un tiro di Insigne, traversa di Milik, palo di Zielinski. [...] Nella ripresa un altro braccio, stavolta di Mario Rui, ha concesso alla Roma un’altra chance dagli undici metri: stavolta ha tirato Veretout e il francese non ha sbagliato [...].


Quel “vantaggio” di avere Fonseca in panchina

IL MESSAGGERO - FERRETTI - Sostengono, coloro che hanno una Lupa tatuata sul cuore, che la frase più bella al mondo non sia “Ti amo” ma “Roma in vantaggio”. Questo perché, dicono, non c’è nulla di più bello al mondo che vedere la propria squadra avanti di un gol. Al di là delle parole e dei romanticismi, c’è un dato eloquente che accompagna la storia della Roma di Paulo Fonseca: in 14 gare ufficiali, i giallorossi sono andati avanti 11 volte. Una costante, in pratica. In 3 sole circostanze, la Roma o non è proprio andata a segno (Atalanta e Sampdoria) oppure è stata costretta, riuscendoci, a rimontare (Cagliari). Tutte le altre volte è stata abile nel segnare il primo gol della partita. Come accaduto ieri contro il Napoli. Una qualità che non sempre l’ha portata alla vittoria (vedi le partite contro Genoa e Lazio, e le due di Europa League contro Wolfsberger e Borussia M’Gladbach), ma che va analizzato fino in fondo. Dandogli più di un’interpretazione. Tipo: la Roma è una squadra che cerca, sempre e comunque, di fare la partita, di imporre il proprio gioco o la propria qualità. Oppure: Paulo Fonseca è un tecnico che studia con grande attenzione le caratteristiche della squadra avversaria e la strategia di gioco, al punto che gli riesce spesso e volentieri di sfruttare i difetti altrui per trarne un più o meno immediato vantaggio. O ancora: l’approccio mentale alla partita della squadra romanista è sistematicamente positivo. Rovesciando il discorso, del resto, non può essere casuale che in 14 partite la Roma sia andata sotto soltanto 2 volte (Atalanta e Cagliari).

NICO IL RIPETITORE - Contro il Napoli ci ha pensato ancora una volta Nicolò Zaniolo, al quarto gol di fila tra campionato e coppa, a stappare la partita. Come era accaduto a Udine, ad esempio. Una botta di sinistro praticamente all’incrocio dei pali per battere Meret e confezionare la rete numero 11 con la maglia giallorossa, la decima allo stadio Olimpico. Nicolò sta crescendo di gara in gara e ultimamente ha cominciato a inquadrare la porta come mai gli era riuscito in passato. Fonseca continua a impiegarlo da esterno a destra, e questa - al di là di tutte le considerazioni che vengono fatte sul ruolo del ragazzo - sembra essere la sistemazione tatticamente migliore per esaltare le sue qualità tecniche e atletiche. Quando riesce a prender palla, a girarsi e a puntare la porta avversaria, Zaniolo diventa spesso immarcabile. E la Roma, con gioco, gol e tanto cuore, va.